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La parolaccia in tv

Non è che ora la qualità di quello che viene detto e raccontato in televisione – non tanto della televisione stessa – sia poi così utile a rendere la televisione stessa un elemento di evoluzione del linguaggio. Anzi, al di là di pochi tormentoni che attecchiscono sempre meno e che funzionano se e solo se

3 Aprile 2007 07:36


Non è che ora la qualità di quello che viene detto e raccontato in televisione – non tanto della televisione stessa – sia poi così utile a rendere la televisione stessa un elemento di evoluzione del linguaggio.
Anzi, al di là di pochi tormentoni che attecchiscono sempre meno e che funzionano se e solo se – condizione necessaria, dunque, la loro esistenza, ma non sufficiente – vengono utilizzati e quindi consacrati dalla gente comune.

Il tono del linguaggio si abbassa, e anche se ci si scandalizza per la bestemmia – con pesi e misure diverse a seconda del bestemmiatore – i puristi come il sottoscritto si scaglierebbero molto più volentieri contro certi usi acrobatici della lingua italiana, contro certi contenuti esili ai limiti dell’inconsistenza, contro certi programmi che – per citar di nuovo il pilot di Studio 60 – non sono nemmeno pornografia fatta bene.

Certo, non è sempre stato così, mi dicevo nello scorso week end di relativa pausa televisiva. Poi accade che un evento del tutto estraneo alla televisione e al TvBlog generi queste riflessioni: praticando uno di quei giochi da tavola che non passano mai di moda (Trivial Pursuit edizione Genius 2000equalcosa, color viola. Terribile per chi lavora nel mondo dello spettacolo) ti capita una domanda sulla televisione e tutti al tavolo sbuffano, dando per scontato che tu conosca la risposta.
La domanda in questione era:

In quale programma televisivo (italiano, aggiungo io) è stata detta la prima parolaccia della storia della televisione

Andando per rapidi ragionamenti: doveva essere un programma in diretta e – non esistendo ancora i reality – doveva essere un programma sportivo. Entrambe considerazioni che si sono rivelate corrette. Ma non sufficienti per farmi arrivare alla soluzione, che mi fa propendere per il calcio, visti i lord che scorazzano oggi sui verdi prati calcistici. Sbagliavo. Del resto un tempo non c’erano ancora anticipi e posticipi.

Il programma che detiene questo primato – si giudicherà in seguito se sia o meno un primato di cui vantarsi – è lo storico Processo alla tappa che seguiva le tappe del Giro d’Italia.
Sconfitto a Trivial, mi venivano le naturali altre trecento domande: chi pronunciò il termine triviale (scusate, non ho resistito)? In che anno e in quale occasione? Quali furono le reazioni? Qual era il vocabolo incriminato?
Una rapida ricerca su internet non ha portato alcun risultato (anzi, se qualcuno di voi lettori fosse così gentile da risparmiarmi ulteriori scorribande, avrebbe la mia gratitudine eterna): le mie curiosità rimangono.
E rimane anche la conclusione di questa riflessione. La televisione dovrebbe in qualche modo essere specchio del linguaggio contemporaneo. Ecco perché fanno tanto ridere le fiction italiane in cui tutti parlano in maniera compita e quasi letteraria – letteratura bassa, percarità – ecco perché fanno sorridere certi atteggiamenti e toni compassati che poi riscoprono il moralismo e la moralità appena uno impreca.

Ma ce ne fossero, di parolacce in tv. Di processi alla tappa. Di programmi privi di quel falso pudore che non fa bene né allo spettatore né al mezzo.