Un Medico in famiglia… serve sempre
Questo post è in fase di gestazione da tempo, perchè l’argomento mi stava troppo a cuore per poterlo esaurire superficialmente. Un Medico in famiglia è una di quelle serie difficili da criticare se si è entrati per anni in casa Martini, sintonizzandosi puntualmente con le strampalate vicissitudini dei suoi componenti. Quest’anno, tuttavia, la serie non
Questo post è in fase di gestazione da tempo, perchè l’argomento mi stava troppo a cuore per poterlo esaurire superficialmente. Un Medico in famiglia è una di quelle serie difficili da criticare se si è entrati per anni in casa Martini, sintonizzandosi puntualmente con le strampalate vicissitudini dei suoi componenti. Quest’anno, tuttavia, la serie non era partita con i migliori auspici e io per primo avevo tenuto in serbo dei titoli al vetriolo per la pubblicazione di caustiche stroncature (poi conservate cautamente in draft), come ‘Chiamate un Medico per tutta la famiglia’ o ‘Dottore, stiamo perdendo la famiglia Martini’.
La saga familiare più amata d’Italia si era, infatti, aperta con lo strampalato dramma del figlio di Cettina, ormai in età da asilo dopo un certo dislivello temporale rispetto alla stagione che ne preannunciava la nascita: il bambino non riusciva a fare la cacca. Capite bene che ritrovare la famiglia Martini alle prese un problema così ridicolo – seppur gravoso e condivisibile da alcuni telespettatori alla visione – non faceva ben sperare sulla qualità della scrittura. In più, tra l’arrivo decisamente forzato di un personaggio fotocopia di Lunetta Savino, la colf fintamente filippina originaria di Mondragone imparentata con l’ormai emancipata Cettina (e interpretata da un altrettanto brava Beatrice Fazi) e il neo-incarico di sindaco affidato a Nonno Libero, non privo di risvolti imbarazzanti, sembrava davvero di assistere a un cartone animato, nella cornice paradossale di un irreale Poggiofiorito (ormai fuori dal tempo e dal mondo).
Ma l’apice del macchiettismo lo si è raggiunto nella grande farsa indiana incarnata dalla svolta multietnica della fiction, tesa a sopperire il vuoto narrativo lasciato dall’addio di Pietro Sermonti.
Ad impersonare la buffa recita del confronto tra civiltà un personaggio televisivamente ammiccante come Kabir Bedi, scelto come contraltare straniero della condizione universale di nonnità, e un’attrice indiana alle prime armi, che hanno avuto la folle idea di far recitare in Italia, come Shivani Gai. Quest’ultima ha incarnato di sicuro il lato più trash di questo capitolo della fiction, complice la totale ignoranza della nostra lingua che l’ha vista iniziamente recitare in inglese per poi imparare gradualmente a scandire in italiano (con, in entrambi i casi, effetti di doppiaggio inqualificabili per una produzione seriale così importante).
Il copione ha previsto che fosse lei, con la sua voce flemmatica e resa artificiale dalla sovrapposizione fuori syncro, a far battere il cuore del dottorino di turno, questa volta impersonato dall’anti sex-symbol per antonomasia, in quanto a totale mancanza di fascino, David Sebasti. Quando si dice, una coppia che non buca lo schermo (e che è passata inosservata sui settimanali).
Devo ammettere, però, che dopo il mio pessimo giudizio inferto alla serie, partita con le peggiori prospettive, qualcosa è cambiato in corso d’opera e sono pronto a riconoscerne i motivi. Gran parte del merito va indubbiamente a Margot Sikabonyi che, dopo i tira e molla della sua conferma nel cast, ha dato un gran valore aggiunto alla fumettistica sceneggiatura complessiva con la controversa evoluzione del suo personaggio.
Di ritorno dall’Africa, in cui si era trasferita con il suo novello sposo Guido per fare volontariato, la brava ragazza di un tempo pare essersi volatilizzata, lasciando spazio a una giovane donna inquieta e ricca di sfaccettature. La sua drammatica esperienza sul campo, minacciata da dilaganti casi di mortalità infantile, sembra offuscare il suo sogno di diventare medico e metterne sempre più a repentaglio l’imminente tesi di laurea. La nuova Maria è riuscita ad apportare alla serie, con il suo tardivo quanto auspicato ritorno rivelatosi di giovamento alla crescita degli ascolti, una grande carica umana, in grado di spezzare la piega attoriale sempre meno credibile presa da certi suoi colleghi. Si conferma lei la vera eroina di questa serie, seppur con un ruolo apparentemente in sordina e di contorno rispetto al classico contraltare amore-famiglia, proprio per essere riuscita a distinguersi emozionando lo spettatore. E il grande plauso va anche alla magnifica coppia Banfi-Vukotic che, con le sue schermaglie amorose funestate dal tema della lotta di classe, è riuscita a creare dei godibilissimi siparietti comici all’altezza dei rispettivi talenti.
Un Medico in famiglia, dunque, serve sempre, in primis alla Rai che, come fatto rilevare dallo stesso Banfi in dichiarazioni assai polemiche, se ne è servita come copertura di palinsesto cambiandone all’occorrenza giorno e durata di messa in onda (recentemente ridimensionata con un episodio alla domenica per arginare la concorrenza in più serate).
Ma, soprattutto, serve al pubblico, per scacciare via i cattivi pensieri, passare una serata in compagnia e ritrovare quell’acritica fidelizzazione a un prodotto televisivo che ci fa sentire i suoi protagonisti ‘come di famiglia’. Che poi la trama vacilli e inizi a svilire anche i professionisti più talentuosi è un altro discorso che, di fronte a un gradimento popolare così caloroso e longevo, arriva a smentire in toto l’equazione flop=bassa qualità.