Home Notizie Gli anni spezzati – Il Commissario, Emilio Solfrizzi replica alle accuse di revisionismo: “E’ stato un tentativo onesto”. Mario Calabresi: “Rispettata la figura di mio padre”

Gli anni spezzati – Il Commissario, Emilio Solfrizzi replica alle accuse di revisionismo: “E’ stato un tentativo onesto”. Mario Calabresi: “Rispettata la figura di mio padre”

Emilio Solfrizzi difende Gli anni spezzati-Il Commissario, anche se ammette la presenza di qualche errore. Mario Calabresi, figlio di Luigi, elogia il fatto che la figura di suo padre sia stata rispettata dalla miniserie

pubblicato 10 Gennaio 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 09:47

Accuse di revisionismo e di scarsa cura nei dettagli storici: “Gli anni spezzati-Il Commissario”, il film-tv andato in onda martedì e mercoledì su Raiuno, non ha convinto per via di alcuni errori notati da numerosi telespettatori e per alcune sviste a livello di sceneggiatura che, quando si tratta un argomento storico, non andrebbero fatte.

TVblog ha parlato di un ridimensionamento della storia sulle indagini di Luigi Calabresi (Emilio Solfrizzi) dopo la strage di piazza Fontana, rendendo il film-tv simile ad un poliziesco e senza approfondire le tematiche. Le critiche, però, arrivano anche da chi sostiene che la fiction abbia mostrato al pubblico elementi che non sono realmente esistiti, snaturando l’intenzione di raccontare una storia realmente accaduta. Mauro Decortes, portavoce del circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa”, a “La Repubblica”, spiega che la fiction non può essere così poco precisa su alcuni dettagli:

“Si difenderanno dicendo che una fiction è un’opera di fantasia, ma allora non dovevano chiamare il Commissario col nome di Calabresi e non dovevano ambientarla a Milano ma in una città di fantasia. Hanno fatto un’operazione orribile”.

In particolare, Decortes nota come l’ambientazione di parte del racconto in un bar abbia mostrato al pubblico qualcosa che non è attinente alla realtà:

“Il bar degli anarchici a Milano non è mai esistito. Ma l’operazione è sottile: lo spettatore ha l’impressione di entrare in un bar di malviventi. Se alla fine si fa capire che non hanno messo la bomba, restano lo stesso delinquenti e drogati”.

Per Guido Crainz, docente di Storia contemporanea alla facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Teramo, ci si deve soffermare sul senso della serie, che non riesce a dare allo spettatore un ritratto reale di quegli anni:

“Tralasciamo i dettagli, che pure hanno colpito il pubblico ed hanno valore. Nel momento in cui scompare il clima dell’autunno caldo, quello che accade dopo resta incomprensibile. Questo per me è l’aspetto centrale. Non se ne fa cenno e risulta incomprensibile, nella seconda puntata, l’emergere della pista nera. All’inizio del racconto non si spiega mai che la stragrande parte degli atti violenti sono fascisti: penso alle bombe dell’aprile e dell’agosto ’69. La responsabilità principale è far scomparire le offensive di quei mesi, ignorare la pista nera, che era battibile da subito”.

Secondo il docente, a non essere raccontata nella fiction è anche la tensione sociale di quegli anni:

“Manca il clima sociale. Quella rappresentata è un’Italia finta, inesistente. Vedo una falsificazione del periodo. Alcuni punti chiave ci sono. Per esempio mentre Pinelli scompare, Calabresi dice ‘E’ la mia stanza, quelli sono i miei uomini’ “.

Crainz confronta “Gli anni spezzati-Il Commissario” con un documentario trasmesso da “Tv7” nel 1969, dal titolo “Quelli che perdono”, sottolineando il ruolo del servizio pubblico nel mostrare al pubblico di oggi storie di questo tipo:

“[Il servizio pubblico] ha una grande responsabilità quando si tratta di raccontare la storia di questo Paese. Che sia un prodotto di quart’ordine si vede, ma è insensato prendersela con gli attori, fanno il loro lavoro. Non accennare al golpe Borghese, trattare in quel modo la morte di Annarumma, quelle sono colpe. Cancellando la pesante presenza dei neofascisti -c’è solo una scritta su un muro- non si capisce come nasca la pista nera. Ed infatti leggo che ai giornali di destra la serie è piaciuta… La sinistra da salotto, il modo di rappresentare Pansa o la Cederna, certe fesserie non le considero. Il punto è questo: scompaiono i fascisti, le ragioni da cui nasce la strage di piazza Fontana, e scusate se è poco”.

Anche Mario Calabresi, direttore de “La Stampa” e figlio di Luigi Calabresi, ha visto la fiction. Il giornalista non ha voluto collaborare alla lavorazione del progetto, ma ha apprezzato il fatto che, nonostante il film-tv sia stato troppo banale nella sceneggiatura, abbia rispettato la figura di suo padre:

“Non riesco a darne un giudizio distaccato perché per me, come per mia madre e i miei fratelli, è stata emozionante ma molto faticosa. Questo è il motivo per cui non abbiamo partecipato al progetto e non l’abbiamo voluta vedere prima. Perché le fiction per loro natura semplificano tutto, tendono a stereotipare personaggi e situazioni e non saranno mai somiglianti ai ricordi che ognuno si porta dentro. Devo dire che, per quanto la complessità di quegli anni sia stata semplificata fino all’eccesso, la verità storica sulla figura di mio padre è stata rispettata”.

Calabresi, però, sottolinea la scelta insolita di far interpretare il protagonista ad un attore come Emilio Solfrizzi, perchè anagraficamente quando i fatti sono avvenuti il Commissario era molto più giovane dell’attore:

“Luigi Calabresi nei giorni della strage di Piazza Fontana e della morte di Giuseppe Pinelli aveva solamente 32 anni. Era uno dei funzionari in assoluto più giovani della Questura, non uno dei vecchi esperti che spiegavano come va il mondo ai nuovi arrivati. Farlo interpretare da un attore cinquantenne cambia il senso della storia. Mio padre, proprio per la sua giovane età, era il più interessato a capire cosa stava succedendo nei movimenti di protesta” (Via “The Huffington Post”).

Proprio Solfrizzi, sempre su “La Repubblica”, difende la fiction:

“Da parte mia è stato un tentativo onesto, mi è costato notti insonni e fatica. Ecco, spiace essere accusato di revisionismo”.

L’attore, però, ammette che certi dettagli andavano curati:

“Mi sono lamentato che invece della 500 ci fosse la 600… E’ facile parlare da fuori, sul set si fa tutto velocemente. Questo è un tentativo non disonesto laddove ci sono errori non c’è malafede”.

Nonsotante questo, Solfrizzi è certo il progetto fosse un tentativo da fare:

“Abbiamo provato a raccontare le contraddizioni, la stagione dell’odio. Poi se qualcuno mi dice ‘Non ci siete riusciti’, rispondo: ‘Parliamone’. Accetto le critiche. Alcune cose mi sono piaciute, altre no. Metteremo Gli anni spezzati con altri tentativi che spero verranno. Ma se tutto si riduce ad un’aggressione non mi piace”.

Se il tentativo è giusto farlo, bisogna però anche riuscire a correggere gli errori. “Gli anni spezzati” tornerà lunedì e martedì prossimo con “Il giudice”, storia di Mario Sossi (Alessandro Preziosi), che ottiene la pena massima per gli imputati che compongono il gruppo dell’ultra sinistra “XXII Ottobre” e che sarà rapito. Il rischio è che anche questo film-tv possa presentare gli stessi difetti del precedente.