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48 ore – Compiti a casa

Il compito di chiunque voglia fare mestieri che riguardano il mondo dello spettacolo – siano essi relativi alla critica o direttamente coinvolti nella realizzazione e produzione di un prodotto di intrattenimento, televisivo o cinematografico – è quello di informarsi, aggiornarsi, studiare e capire. Ecco perché il compito a casa del sottoscritto è guardare la prima

2 Maggio 2006 19:19

Claudia Gerini in '48 ore' Il compito di chiunque voglia fare mestieri che riguardano il mondo dello spettacolo – siano essi relativi alla critica o direttamente coinvolti nella realizzazione e produzione di un prodotto di intrattenimento, televisivo o cinematografico – è quello di informarsi, aggiornarsi, studiare e capire. Ecco perché il compito a casa del sottoscritto è guardare la prima puntata di 48 ore, in onda fra pochi minuti su Canale 5. Questo post servirà a dedicare alcune note a questa visione.
Sigla: un tentativo di usare qualche strumento moderno, ma è poco ritmata, non ha appeal.
La prima inquadratura è su Genova di notte: che il capoloogo ligure somigliasse a una città americana l’ho sempre sostenuto, e non posso che apprezzare.
Poi interno notte, foto, una scena similtarantiniana senza il ritmo di Tarantino, uno sparo e l’orrore: per passare al flashback, 48 ore prima, l’effettaccio orrendo. Dei frame velocissimi – una sorta di recall – fra cui si intravede addirittura la maschera di Spiderman. Eccola poco dopo in versione mignon in mano a uno dei bambini.

Il concept di serie è spiegato in maniera fin troppo didascalica. “Abbiamo 48 ore, come sempre” dice uno della Squadra Catturandi. Hanno dietro di loro la mappa di genova e il Secolo XIX, ma parlano in romanaccio, oppure con un accento meridionale. Perché?

Le indagini sono troppo chiacchierate. Troppo scritte. Troppo poco ritmate. E Amendola non somiglia a Grissom.
Tutti i buoni sono buoni. I cattivi sono cattivi, ma anche un po’ buoni, eccezion fatta per i cattivissimi. Tipico di qualsiasi italica serie di genere poliziesco (e pensare che una volta i generi li sapevamo fare meglio di molti altri).
Per quel che mi riguarda, la visione della serie finisce qui: c’è qualcosa di buono, qualche idea di regia, la (dis)continuità fotografica di certe scene lascia perplessi, gli effetti non sono belli ma scimmiottano modelli alti – scadendo pertanto nel trash labranchiano – e la scrittura è quella che è. Sempre la solita roba. Niente di nuovo sul fronte della fiction italiana.
Non biasimatemi, né accusatemi di esterofilia. Vado a vedermi un paio di episodi di Prison Break.

Anche perché poi non ce l’ho fatta: ho portato a termine l’arduo compito, mi sono visto anche il secondo episodio.
Per quel che mi riguarda non ci siamo: i personaggi sono i soliti caratteri piatti delle altre fiction analoghe, non c’è alcuna differenza con Distretto o RIS, è una modulazione monocorde dello stesso tema.
Certe scene fanno saltare i nervi per la piattezza con cui sono girate, senza stacchi, senza tensione. Le battute non sono belle, e a me piacerebbe tanto sentire belle battute. E poi saltano anche fuori gli errori, narrativi e di sceneggiatura.
Perché, per esempio, un poliziotto infiltrato manderebbe una foto mms senza far capire dove si trova, senza prima telefonare? Perché una ricostruzione parlata, l’ennesima, – che inizia con Ah, ecco com’è andata – ci dovrebbe parlare di cose che lo spettatore ha già visto? Perché?