Di cosa parliamo quando parliamo di televisione (*)
Premessa: questa è una nuova categoria di TvBlog, che prende le mosse da vecchi post ormai in disuso, conversazioni epistolari con alcuni lettori che si sono fatti in qualche modo promotori di questa iniziativa, scambio di opinioni con il preziosissimo Italo Moscati e con altri addetti ai lavori. L’obiettivo di questa categoria è quello di
Premessa: questa è una nuova categoria di TvBlog, che prende le mosse da vecchi post ormai in disuso, conversazioni epistolari con alcuni lettori che si sono fatti in qualche modo promotori di questa iniziativa, scambio di opinioni con il preziosissimo Italo Moscati e con altri addetti ai lavori.
L’obiettivo di questa categoria è quello di creare un punto di ritrovo periodico in cui addetti ai lavori (autori televisivi, sceneggiatori, registi, critici, teorici) avranno modo di esprimere il loro pensiero sullo scrivere di e per la televisione, sul fare e criticare la televisione.
Cercheremo di rendere quanto più possibile variegato e articolato l’elenco dei nomi che si susseguiranno come autori di questa rubrica, attingendo a piene mani da conoscenze personali e da incontri sul campo che – come già naturalmente accade – si susseguiranno nel corso di questo particolare “viaggio”.
Il contenuto dei post che rientreranno nel progetto “Di cosa parliamo quando parliamo di televisione” sarà dunque più teorico, evidentemente più prolisso, meno orientato all’ascolto e più diretto verso la qualità (in termini di blog, ovviamente).
Cercheremo di dar voce a vari settori, dalla fiction all’intrattenimento, dal reality al documentario, dalla critica su carta stampata a quella video, con la speranza che sempre più addetti ai lavori abbiano voglia e piacere di partecipare a questa finestra sempre aperta sul mondo della televisione – di quella post-televisione che mi sono permesso di provare a teorizzare, o di quella che vorrebbero o di quella che c’è veramente -, e che i lettori apprezzino questo sforzo di fornire anche un contenuto altro a questo TvBlog che ci piace far crescere in maniera sempre più varia.
Chissà che da questo auspicabile scambio di idee non possa nascere qualche progetto più articolato.
Uno spunto di partenza. L’eterna dicotomia qualità/quantità.
Il tema di questo spunto – come sapranno i lettori più affezionati – mi è particolarmente caro, e già ne ho parlato a suo tempo, quando si levarono voci di dissenso (e di assenso, va detto) a certe svolte gossippare e farcite di donnine e notiziole leggere all’interno dei nostri post.
Il sublime dello scrivere di televisione sta proprio in questo, a giudizio del sottoscritto: è possibile parlare di trash, di questioni relativamente inutili o ascrivibili a quella categoria descritta dall’orrendo neologismo fuffa, in maniera altra e alta. Cosa che si può attribuire a tutta una serie di maestri cui sarebbe bello poter attingere, cui è auspicabile aspirare.
Le recenti affermazioni del Ministro Paolo Gentiloni – volte a sostenere una riforma della televisione che non cambia poi molto in termini di sostanza e che sembrerebbe scontentare un po’ tutti -, le esternazioni dell’onorevole Landolfi a proposito di una certa televisione pubblica hanno in qualche modo (ri)aperto il dibattito anche dal punto di vista di chi la televisione la scrive.
Io credo che il concetto di televisione educatrice sia ormai superato e largamente rimpiazzato da altro. Questo altro ha strettamente a che fare con logiche di mercato e tendenze al ribasso. Non è un mistero che la concorrenza in termini di ascolti e di raccolta pubblicitaria abbia instaurato un meccanismo a spirale dove invece di rincorrersi sul piano della qualità ci si rincorre su quello del diamo alla gente quel che la gente vuole.
Ecco la grande illusione – presunzione? – di chi scrive per la televisione: sapere, quotidianamente, quel che la gente vuole. Sulla base di cosa? Di dati statistici che noi stessi, che di tv scriviamo, ci troviamo quotidianamente a commentare ben sapendo che le regole del gioco e della misurazione falsano la misura stessa e che la mancanza di un indicatore preciso di qualità e gradimento rendono gli stessi dati freddi numeri. Appoggiarsi a essi è proprio il primo passo verso il naturale deperimento del contenuto.
La gente vorrà veramente vedere vip(pini) che si scagliano l’uno contro l’altro commentando questo o quel reality show? Fiction più o meno simili, più o meno interessanti, quasi sempre uguali a loro stesse e ai modelli precedenti e a quelli precedenti ancora? In termini percentuali sembrerebbe proprio di sì, ma la fuga dalla televisione generalista è in atto, e questo è un dato di fatto che si chiama valore assoluto.
Quanto ai singoli prodotti da lanciare – come altro chiamare format, fiction, programmi? – ci sono grosse responsabilità da parte di chi produce, di chi mette in onda. Anche qui, la presunzione è dilagante. Se da un lato non potrebbe essere altrimenti – ci vuole pur un ruolo decisionale, a un certo punto. E questo ruolo decisionale non può prescindere da gusti e convinzioni soggettive e personali, per quanto possa basarsi su indagini di mercato accurate -, dall’altro le scelte sono spesso poco oculate.
Sky e internet sono concorrenti pericolosissime per quanto riguarda il mondo della lunga serialità di provenienza d’oltreoceano (è il famoso flusso on demand), ma spesso le televisioni generaliste sembrano bearsi nell’affossare prodotti che ovunque spopolano e hanno successo. Il recente caso di Invasion messo in onda su Canale5 è, per cominciare, la prova che la fantascienza in Italia non funziona sia un pregiudizio da quattro centesimi. E per continuare, un investimento scarsamente lungimirante, visto che la serie era stata già chiusa negli Stati Uniti d’America.
Ma avrebbe potuto essere uno stimolo per osare, visti gli ottimi risultati in termini di ascolti. Stimolo perso.
Non parliamo poi dei reality show: troppi, snaturati, al punto che l’unico a andare veramente bene è stato quello che per scrittura era il più semplice e efficace. Certo, a proposito dei bassi istinti e del basso contenuto. Ma pur sempre di intrattenimento ultraleggero si trattava, e lì, per onestà, fin dal titolo, nessuno auspicava qualità: una televisione scritta e fatta per scelta, coerente fino al paradosso, senza velleità di sorta. Non è mica detto che l’italico popolo debba compatto guardare un documentario sulla Seconda Guerra Mondiale – a proposito, detto fuori dai denti: non se ne può davvero più – e che non possa fruire di show goliardi. C’è un limite a tutto, ovvio. Ma lì si entra in questioni di carattere personale.
Che poi una certa qualità paghi lo dimostrano certi eventi televisivi: il Fiorello che sbuca all’improvviso, le Invasioni Barbariche, il Tempo di Fazio, Report, Chi l’ha visto, il mai troppo rimpianto Invisibili e un’altra piccola serie di piccoli programmi portatori sani di grandi risultati.
La sensazione però, è che al momento chi scrive per la televisione si trovi sommerso, soffocato da mille miliardi di vincoli e cavilli e preoccupazioni e isterie e ansie da prestazione.
E chi scrive di non può che prendere atto, adeguarsi e provare a passare la palla a qualcun altro, che arricchisca questo breve, forse anche banale, volo pindarico che dà il via a questo piccolo progetto.
(*) Il nome di questa categoria, particolarmente lungo, lo riconosco, deriva da un insano amore del sottoscritto per Carver. Amore per il quale vi chiedo di perdonare fin d’ora l’uso di questa “citazione deformata” e un po’ abusata.