Zoro 2011 – Finale di partita. Un documentario? No, un documento
La settantaseiesima puntata di Tolleranza Zoro, in onda su La7
Mentre scrivo, La7 sta mandando in onda Zoro 2011 – Finale di partita, ovvero la settantaseiesima puntata di Tolleranza Zoro, ovvero, il racconto dei fatti di piazza e di politica di questo assurdo 2011 commentati da Diego Bianchi (in arte Zoro).
Un racconto minimal-stralunato, con lo sguardo roman-satirico di Zoro che coglie le idiosincrasie dei politici e dei manifestanti, dei giornalisti e dei fotografi, del linguaggio e dei termini utilizzati; Zoro tratteggia con la sua voice over e con il montaggio sincopato un anno da sincope: il Pd-mille-facce e Berlusconi, gli scontri di Roma (che sembrano così lontani nel tempo, a rivederli), la fiducia dei 308, le dimissioni di Berlusconi. Il tutto con l'(auto?)ironia di sinistra. Una sinistra che forse non c’è ma che Zoro rappresenta perfettamente in tutte le sue speranze e illusioni disilluse.
Le riprese da “testimone” diretto degli eventi, il commento, il montaggio che diventa commento a sua volta, vere e proprie perle, fra cui proprio lui, Zoro, che il 5 novembre in piazza col Pd fa quello che va a portar Matteo Renzi a salutare gli altri, si incolla a Veltroni che, quando parla Gigi, per non far veder che si commuove gioca col telefonino, commenti alla fine del governo Berlusconi, tipo: «Epperò, per essere la fine del ventennio bbreve, de gente ce ne stava poca», «Semo libberi, però libberi un pezzetto». «E’ ‘na vita che aspettamo ‘sto momento, mo’ come lo festeggiamo? Che sonamo? Che cantamo?» (e parte il medley, da A-e-i-o-u-ipsilon a Voglia di vincere). E ancora, il racconto dell’arrivo del governo dei tecnici.
(“Documentario”, così è scritto sul palinsesto), scrive lui, autore e protagonista, sul suo Twitter. Ora, documentario non può essere, perché un documentario dovrebbe essere in qualche modo “scientifico”. Infatti è qualcosa di più: è un documento. Ironico e stralunato come può essere una spiegazione degli ultimi mesi dell’Italia fatta da uno che prova davvero a scherzarci su. Per capirlo bisogna avere un po’ di passione politica, non c’è dubbio. E bisogna avere anche uno sguardo disincantato e privo di quella componente “tifosa” che devasta ogni discorso politico in Italia.
Solo che, a guardarlo bene, sale soltanto una grande amarezza. Mica per il documento, che è fatto bene (i mezzi tecnici, se c’è un’idea, contano poco, l’estetica e l’apparenza non servono a niente, in questi casi). No, per quel che racconta. Fino al finale, affatto consolatorio:
«Riposa ‘sto cervello. Daje, su. Che mo’ ce pensa er tecnico».