Home Notizie La Tv in bianco o nero – Due linee narrative e i non allineati. Una fine lontana

La Tv in bianco o nero – Due linee narrative e i non allineati. Una fine lontana

Un editoriale sulla televisione e la politica, sugli eroi e gli antieroi, sul nero e sul bianco.

pubblicato 14 Novembre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 01:59

Ogni volta che leggo, su TvBlog, qualcuno che scrive «Basta con la politica» mi interrogo. Mi interrogo perché, se non è una battuta ma una constatazione fatta in maniera realistica, una vera lamentela, allora c’è qualcosa che non quadra. E per spiegare cosa non quadri ci vuole un po’ di tempo. Dunque, cominciamo dalla fine. Quella presunta. Ieri sera, La7 ha mandato in onda, dopo un’interminabile introduzione a cura di Enrico Mentana che ha suscitato anche lamentele da parte di telespettatori – e che fa riflettere su una cosa sola: per vocazione, Mentana dovrebbe davvero aprire e dirigere una all news. Lo saprebbe fare benissimo e farebbe una seria concorrenza a RaiNews e SkyTg24 – Videocracy, film documentario di Eric Gandini. Il film-evento era stato previsto da tempo, con una lungimiranza che ha quasi del profetico, visto che è andato in onda nel giorno in cui è finito il Governo Berlusconi ed è iniziato il Governo Monti (passatemi la semplificazione). Nel giorno in cui Silvio Berlusconi ha registrato il suo ennesimo videomessaggio, molto lontano dagli esordi, per ars oratoria e capacità affabulatoria: era palesemente il videomessaggio di un personaggio in forte crisi, oltreché politica anche personale, nonostante il contenuto del discorso. E non temete: qui non si intende affatto cedere alla retorica della pietas. Anzi. Chi ha visto Videocracy sa, una volta di più, quale sia il potere della tv. Anche se non mi sembra il lavoro più riuscito di Gandini (consiglio la visione di Surplus: Terrorized into Being Consumers), il film racconta bene il modo in cui la televisione condiziona.

E allora, quando si stigmatizza la presenza di post politici su TvBlog – sarebbe più corretto dire che ci sono post su come la tv e la politica interagiscono, e che contengono anche le opinioni di chi li scrive – forse occorrerebbe farsi un’altra domanda, prima. La domanda è: perché ci sono, questi post? La risposta sarebbe: perché siamo in Italia oggi. La politica dentro la tv è iniziata con la lottizzazione della Rai. E’ proseguita con l’impero mediatico di Silvio Berlusconi, uomo che ha controllato, per un certo periodo, direttamente o indirettamente, l’andamento di 6 televisioni: le tre commerciali come proprietario, le tre pubbliche come Presidente del Consiglio. Nel controllo delle tre pubbliche, qualcosa gli è andata bene, qualcosa no. Ma di sicuro la Rai faticherà a riprendersi da un’operazione di progressivo e inesorabile smantellamento.

E’ iniziato tutto con un videomessaggio in tv. E la cosa è andata avanti per diciotto anni. E prosegue ancora. Perché TvBlog parla anche di politica? Perché la politica ha invaso la tv. Perché anche scegliere un palinsesto, scegliere se premiare e privilegiare solo l’intrattenimento leggero, scegliere che tipo di intrattenimento privilegiare, scegliere che immagine offrire in televisione delle donne (ha un bel dire, Ricci, che la velina è una parodia. Chi ci crede più?), degli immigrati, dei gay, delle minoranze etniche, linguistiche, sessuali, politiche, è politica.

Il consenso e la brodaglia

Questo era Mike Bongiorno a La ruota della fortuna. Poi c’era una risposta in una giovanissima Ambra che diceva a Non è la Rai, ingiustamente rivalutato, che il Padreterno tiene per Berlusconi, Satana tiene per Occhetto. C’era un Raimondo Vianello che a Pressing faceva dichiarazione di voto per Berlusconi a una svaporata Antonella Elia. E ancora.

Probabilmente non occorre aggiungere altro. In questo clima, iniziato in una maniera subdola, la tv proseguiva la sua deriva. E la politica la permeava. La utilizzava per creare consenso, per uniformare il pensiero. Contestualmente, però, la tv modificava la politica: i politici diventavano protagonisti di dibattiti, di telerisse, di quiz, di spettacoli, di varietà. Il confine fra lo show e la politica si azzerava in una brodaglia indistinguibile.

Gli slogan che annichiliscono

In questa situazione, creata senza dubbio alcuno da Berlusconi – è un fatto storico, non è un’opinione -, fin dal videomessaggio della sua discesa in campo, e cavalcata con una serie di slogan ripetuti migliaia di volte in televisione, cos’altro poteva succedere, se non assistere alla formazione di due fazioni? Di una specie di tifo da stadio? Di controslogan?

D’altro canto, l’anomalia italiana proseguiva: ad un certo punto Mediaset acquisiva Endemol che si trovava a produrre anche per la Rai. Fra l’altro, anche programmi potenzialmente “contro” Berlusconi (Che tempo che fa) su tutti. E il dualismo si acuiva. Buoni o cattivi. Bianchi o neri. Rossi o azzurri. Nemmeno ce ne siamo accorti, che sono passati diciott’anni, in questa brodaglia indistinta. In cui Berlusconi era l’eroe circondato da aiutanti (gli altri, dicano quel che vogliono, per quanto abbiano strillato o si siano esposti, non hanno mai raggiunto presso una fetta di italiani quella popolarità lì) e gli altri i nemici per una parte. In cui c’erano gli eroi anti B. e lui era il nemico per gli altri. E tutto questo succedeva, oltre che nella vita quotidiana, in televisione.

Fino ad arrivare ad una precisa occupazione di spazi (il Tg1 e quel che segue) da parte dei fedelissimi di Berlusconi, e ad un completo travisamento del ruolo del giornalismo; all’imposizione di regole farlocche e valide solo per alcuni; all’acuirsi del dualismo.

Le due linee narrative e i risultati

Che effetto hanno avuto, slogan e controslogan, eroi, antieroi, aiutanti, nemici, amici e narrazioni semplificate, sui telespettatori e su noi tutti?

Quello di rendere sempre più difficile coltivare lo spirito critico. Chi si è tenuto in allenamento – o almeno, chi presume di averlo fatto. Il sottoscritto, per esempio, presume di averlo fatto – fa sempre più fatica a spiegare il proprio punto di vista, perché si rende conto che non può riassumerlo in uno slogan, che non riesce a semplificare in un tempo di lettura da 30 secondi.

La prova? Se si pubblica il cliccatissimo monologo di Crozza a Ballarò, si è comunisti. Se non si parla bene di tutto quel che fanno, dicono, pensano e producono in tv Mentana o Santoro si è berlusconiani. Se non si esalta il Gf lo si fa per ragioni politiche: tutto questo succede, quotidianamente, su TvBlog.
E se qualcuno tenta di non allinearsi a una delle due linee narrative che vanno per la maggiore, allora è qualunquista, o cerchiobottista, o per forza critico, o comunista e berlusconiano al tempo stesso.

E’ il “senza se e senza ma” che dimostra tutta la sua potenza. Ecco un esempio, con accanto il grimaldello per scardinare il «senza se e senza ma».

«La violenza va condannata senza se e senza ma», disse l’imprenditore che sfruttava manodopera di extracomunitari.

La tv italiana oggi, fatte le debite e rarissime eccezioni, è in grado di raccontare la complessità racchiusa nella proposizione qui sopra?

La complessità

La tv racconta fatalmente per semplificazioni. E’ uno sguardo, è un occhio sul mondo, ma è un punto di vista: ecco perché è così importante sapere chi la controlla e di chi sia il punto di vista. Ecco perché è importante ricordare, ogni giorno, che anche la scelta di cosa mandare in onda è politica nel suo senso più lato (a cominciare dai Tg per finire con l’intrattenimento).

La tv racconta anche la politica, come tutti gli altri aspetti della realtà. Ma la semplifica. Racconta l’uscita di Berlusconi da Palazzo Grazioli, contestato. E poi i controslogan il giorno dopo. Quelle del giorno prima erano immagini paragonabili all’Hotel Raphael e all’uscita di Bettino Craxi, accolto dal lancio di monetine. Anche quelle trasmesse in televisione. Non ho alcun rimpianto per l’Italia prima del 1993, sia chiaro.

Ma il clima che racconta la televisione di oggi è molto simile ad allora. E’ quel che è uscito fuori allora, dopo l’illusione di una liberazione e l’illusorio slogan «Seconda Repubblica» è tragicamente sotto gli occhi di tutti. La realtà è sfaccettata e complessa e va guardata da diversi punti di vista. E chi propugna in tv il pensiero unico condiviso e condivisibile, qualunque sia la sua appartenenza politica, è, a mio modesto parere, da guardare con sospetto, così come chi si erge a paladino e vuol dimostrare di aver ragione ad ogni costo.

Il pensiero critico è l’unico anticorpo che ci è consentito “contro” la tv. Per guardarla e non subirla. Per vederla a colori, o almeno in scala di grigi, e non in bianco o nero. Consentiamocelo.