Franco Quadri se n’è andato: non solo teatro…
Non avrei voluto. Devo riprendere la tastiera del computer e rimettermi a scrivere dopo aver tessuto un abito di lodi per il maestro di talento Elio Pandolfi.L’occasione è triste. E’ morto Franco Quadri che non era solo il critico teatrale a cui domani tutti i giornali e i media di qualche memoria dedicheranno il solito
Non avrei voluto. Devo riprendere la tastiera del computer e rimettermi a scrivere dopo aver tessuto un abito di lodi per il maestro di talento Elio Pandolfi.
L’occasione è triste. E’ morto Franco Quadri che non era solo il critico teatrale a cui domani tutti i giornali e i media di qualche memoria dedicheranno il solito coccodrillo. Quadri era un curioso osservatore culturale. Un intellettuale dal naso fino e dai riccioli afro. Era stato il direttore di “Sipario”, di sicuro la rivista di avanguardia più importante nel nostro Paese negli anni Sessanta- Settanta. Scriveva libri che raccolgono le storia di Carmelo Bene, Luca Ronconi, del Living Theatre e di tutto il meglio della ricerca in Europa e nel mondo.
Collaborò a prestigiosi settimanali e quotidiani (è stato il critico della “Repubblica” fino a ieri), fu direttore della sezione teatrale della Biennale di Venezia e del Premio Riccione in cui aprì una interessante sezione dedicata al teatro in tv. Organizzò il più importante convegno, nel 1967 a Ivrea, sullo spettacolo che voleva farla finita con le vecchie care e meno care cose o cosucce del teatro. Si dedicava ancora alla sua casa editrice Ubu, al premio Ubu e al catalogo Patalogo, summa della storia, anzi delle storie nelle vita culturale nel mondo. Un giorno di molti anni fa Quadri mi scrisse una lettera dopo aver letto un articolo che avevo scritto sulla necessità dell’avanguardia e mi chiese di collaborare a Sipario. Accettai di corsa e, seguendo Carmelo e tanti altri, italiani e stranieri, mi sono fatto le ossa a meno di vent’anni sui cambiamenti e su quella che è stata una vera e propria rivoluzione estetica, e non solo, di uno spettacolo dal vivo che si era chiuso in sè e non voleva guardare, superare se stesso, i suoi ritardi, le sue tare; e cercava di tornare vivo.
Venne un altro giorno in cui, molto più tardi nel tempo, quando avevo cominciato a fare il regista di film. avremmo dovuto realizzare insieme una trasmissioe televisiva sulle vicende dell’avanguardia. Non ci riuscimmo, e non per nostra responsabilità. La trasmissione sfumò e mi dispiacque molto. Non mi consolai girando il film ” A New York! A New York! A New York!” in cui mescolai insieme, davanti alla cinepresa, gruppi e personaggidi tutto il mondo. Nel mio cuore glielo dedicati. Come gli dedicai altri film su Kantor, Bob Wilson e tanti tanti altri esponenti di grande qualità ideativa. Una stagione purtroppo finita, e che si può rimpiangere a ciglio asciutto, ma commuovendosi per Quadri e la sua lezione.
Franco non era una persona facile, poteva essere inesorabile nei suoi giudizi e addirittura nei suoi pregiudizi. Era anche di tendenza, persino fazioso, nel sostenere gruppi o persone che gli piacevano. Ma era ed è molto al disopra della maggioranza dei critici, una categoria in inesorabile decadenza, persino oggi inesistente.
A “Sipario”, di cui era stato caporedattore, Quadri ed io eravamo persuasi che il teatro e l’avanguardia dovessero “vivere” dentro il cinema, la tv migliore, le immagini delle arti visive.
Ecco il punto: la grande scoperta del Novecento che consiste nel creare rapporti e corti circuiti, contro non solo gli ottusi ma anche contro gli operatori culturali affetti da burocratismo congenito. Il burocratismo: archiviare tutto, il nuovo insieme al vecchio, pur di soffocare, spegnere, eliminare le avanguardie e le tante inquietudini che sollevava e solleva (sempre che le avanguardie accettino di scomparire, di morire, perchè altro “nuovo” sta arrivando. Quel “nuovo” su cui lo sguardo, sia pure offuscato, e la intelligenza di Franco hanno sempre vigilato, con sensibilità e attenzione.
Italo Moscati