Sanremo 2011: la peggior conduzione di sempre di Morandi e Canalis, a Belen la corona. Meglio Antonellina
Gli ascolti sono stati da record, la vittoria pure per il suo edificante valore ideologico: Vecchioni dà finalmente voce agli studenti, alle nuove generazioni, a chi crede nella cultura anziché nel culturismo.Eppure, per stendere un pietoso velo sul Festival più baciato dalla fortuna, e più castrato dal punto di vista dello spazio-tempo catodico, si potrebbe
Gli ascolti sono stati da record, la vittoria pure per il suo edificante valore ideologico: Vecchioni dà finalmente voce agli studenti, alle nuove generazioni, a chi crede nella cultura anziché nel culturismo.
Eppure, per stendere un pietoso velo sul Festival più baciato dalla fortuna, e più castrato dal punto di vista dello spazio-tempo catodico, si potrebbe trarre spunto da una magistrale affermazione del maestro Sperelli, alias Paolo Villaggio, in Speriamo che me la cavo di Lina Wertmüller. Capitato per caso in una terza elementare a Corzano, nella provincia di Napoli, il prof constata che nella sua nuova destinazione tutti “tengn che fà”.
E’ esattamente ciò che è accaduto in questo Sanremo, all’insegna di conferenze stampa disertate e presenze sul palco improvvisate. Insomma, è proprio il caso di dirlo, IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO. Assuefatti al valzer delle gaffes e degli imbarazzi a buon mercato, ci siamo dimenticati della cura maniacale di Paolo Bonolis per ogni suo intervento sul palco dell’Ariston, o della serenità familiare trasmessa da Antonella Clerici.
Ci siamo dimenticati persino di Eddy Martens, che l’anno scorso portò a casa il venerdì sera più cool nella storia di Sanremo, all’insegna di Bob Sinclar e di Jennifer Lopez.
La vera rovina di questo Festival di Sanremo sono stati, senza ombra di dubbio, Gianni Morandi ed Elisabetta Canalis.
Il capitano si è, infatti, trasformato nella più impenitente pecora nera. Dopo anni da eterno ragazzo, il caschetto di Monghidoro ci ha ricordato che l’età avanza per tutti e a risentirne, per lucidità e coerenza, è stata la sua conduzione. Morandi si è rivelato totalmente fuori da questo tempo storico e, anziché traghettare il Festival verso la vecchia generazione, ha totalmente azzerato la sua identità istituzionale e nazionalpopolare, salvo il rigurgito revivalistico della finale a tutta Canzonissima.
Un monumento della canzone italiana è diventato un vecchietto rintronato che fa tanta tenerezza, con tanti giovani intorno che lo prendono in giro. A badargli, più che a imparare dalla sua esperienza, sono state le sole e uniche attrazioni di questo Sanremo, che sono riuscite a fare della loro bellezza il principale incentivo a spogliare con gli occhi l’evento. Peccato che le due escano da questa avventura con una reputazione diametralmente opposta.
Belen Rodriguez è, infatti, la vera vincitrice morale di questa 61esima edizione. Arruolata come donna dello scandalo, dopo mesi di sculettamenti negli spot Tim e di odioso presenzialismo tra cinepanettoni e gossip con il dannato Corona, a Belen va la corona di showgirl a tutto tondo, che mangia il palco cantando e ballando dal vivo come più nessuna mai. Ora dovrebbero tutti fare a gara per affidarle un grande varietà, sia in Rai che a Mediaset (che non a caso l’ha lanciata a Scherzi a parte).
Al contrario, Elisabetta Canalis ha confermato – come brillantemente e coraggiosamente dichiarato da Erika Brenna a Tv Talk – tutta la sua “debolezza artistica strutturale”. Tolte le gag della prima ora sul suo George Clooney, l’ex velina è apparsa per quella che è: una ragazza arrivista che ha bruciato le tappe.
Ha provato a mettersi in gioco come intervistatrice, con la presunzione di poter farlo nella sua nuova lingua, cioè l’inglese. Risultato? A una pessima pronuncia ha accompagnato una totale inettitudine empatica e la totale mancanza di sincerità. Se Belen si è rivolta al pubblico raramente, ma con estrema gentilezza e umiltà, la Canalis ha tentato di piacere a tutti i costi, ora facendo della retorica sul maestro Benigni, ora cercando più spesso l’approvazione di Morandi.
Alla fine i due si sono fatti del male a vicenda rimettendoci più di tutti. Perché, dopo questo Sanremo, di Morandi ricorderemo l’incapacità dopo tanti anni di gestire gli spazi di un palco, di stare al passo col televoto e i new media, di fare interviste e spettacolo al di là delle sette note. Della Canalis, che non sa né ballare né cantare né esprimersi compiutamente, non ci resterà che la sua irritante risatina a coprire gli infiniti momenti di disagio e mancanza di argomenti.
E poi ci sono loro, Luca e Paolo, “quelli che fanno casino” per contratto e che hanno meritato una dignitosa sufficienza per aver fatto il compitino. Chi si aspettava satira vera sarà rimasto deluso. Ma chi era abituato a vederli fare i maschilisti sboccati alle Iene si sarà ricreduto. Perché Luca e Paolo sono soprattutto due attori, più che due comici, che hanno saputo interpretare gli stati d’animo di gran parte degli italiani, anziché dar voce a una parte politica.
E poi i loro tributi, a Ric e Gian e Gramsci ma soprattutto a Gianni Morandi con le parodie delle loro canzoni, hanno sottolineato la peculiarità british del loro stile, estremamente sobrio e attento ai particolari più che pungente a tutti i costi. Una cosa, però, è certa: senza i loro numeri riempire i troppi vuoti di questo Sanremo sarebbe stato come colmare una voragine, fatta di ipocrisia celata dall’Auditel e di una squadra esistente solo apparentemente.
Come ha detto Marinella Venegoni della Stampa in conferenza,
“Voi sarete stanchi, ma se vi parlaste qualche volta…”
E’ stato il Festival dell’incomunicabilità e ha celebrato il paraculismo dei tempi. Morandi non ha potuto dire realmente che ne pensava di Belen e della Canalis e viceversa. Meglio i finti sorrisi sullo sfondo, cattiverie da parrucchiere insomma, e poche parole al centro palco.
Tanto il pubblico si accontenta, poi – per scoprire il vero Morandi – basta vedere come ha lasciato la conferenza stampa dopo lo scandalo-televoto, o come si è rifiutato di presentare sul palco i Take That, in seguito alla lite con Robbie Williams.
Ormai la vera squadra che vince e non si cambia è quella di Mazzi e Presta, che azzeccata la formula giusta possono metterci al timone chiunque. Già li si immagina, l’anno prossimo, Paola Perego e Francesco Facchinetti a condurre con Massimo Ranieri. Un personaggio che legittima e altri della scuderia da “aiutare” a ripulirsi. Tanto l’italiano medio se la beve.