Auditel, la grande approssimazione (soprattutto in America)
Se c’è una cosa in cui la tv americana e quella italiana si assomigliano è la modalità di rilevamento dei dati di ascolto. L’auditel, per intenderci, è da noi come negli Stati Uniti lo strumento necessario alle reti per poter attirare gli investitori pubblicitari, offrendo loro dei numeri che rispecchiano un preciso target di spettatori
Se c’è una cosa in cui la tv americana e quella italiana si assomigliano è la modalità di rilevamento dei dati di ascolto. L’auditel, per intenderci, è da noi come negli Stati Uniti lo strumento necessario alle reti per poter attirare gli investitori pubblicitari, offrendo loro dei numeri che rispecchiano un preciso target di spettatori a cui potrebbero interessare alcuni prodotti piuttosto che altri.
Non è una novità che l’utilizzo del meter, la famosa scatoletta usata per le rilevazioni, è nato inizialmente proprio con lo scopo di fornire un servizio a chi volesse pubblicizzare il proprio prodotto in televisione. Come sappiamo, col tempo questi dati sono diventati più “potenti”, trasformandosi in protagonisti delle sfide delle prime serate (e non solo) televisive, con tanto di possibilità di decretare la continuazione o meno di un programma, a prescindere dalla sua qualità. Noi su TvBlog lo sappiamo bene, grazie ai dati quotidiani che il nostro Share ci fornisce sempre in modo puntuale ed alle analisi di Hit, spesso fonte di pagine di commenti dei lettori.
In questo post, però, vogliamo soffermarci sulla funzione dell’auditel oltreoceano, in America. Là dove l’industria televisiva è la numero uno del mondo, dove le serie possono diventare cult nel giro di pochi mesi e dove le spese di produzione superano cifre che vanno ben oltre le nostre possibilità, l’Auditel ha ovviamente un ruolo importante -di cui ci occuperemo con i nostri post sugli ascolti Usa, che stanno per tornare-. Ma per quanto ancora? Ecco che, nella giornata in cui in America partono praticamente tutte le più famose serie televisive (qui il calendario), è interessante fare qualche osservazione a riguardo.
Il meter (che vedete nella foto in alto), negli Stati Uniti appartiene a 25 mila famiglie (in Italia a circa 5.200, ma bisogna tener conto della differenza di popolazione). E’ una scatoletta con otto pulsanti numerati, alcuni dei quali indicano un membro della famiglia in cui si trova l’apparecchio, mentre altri sono per eventuali ospiti. Inoltre, è possibile indicare sesso ed età di chi sta guardando la tv. Ovviamente, queste famiglie vengono scelte per rappresentare l’intero popolo americano, come spiega Jon Gibs, vicepresidente senior di Nielsen, in un articolo pubblicato su Io9:
“La ragione per cui questa gente viene scelta è perchè sono rappresentativi di una popolazione più ampia. Nielsen fa tutto il possibile per essere sicura che ogni casa scelta rappresenti un alto numero della popolazione.”
Eppure, ci si potrebbe chiedere come mai quest’apparecchio non venga assegnato a chiunque abbia una tv in casa, in modo da avere dei dati più specifici possibile. E’ un’idea che alletta Nielsen, spiega Gibs, ma che sarebbe anche difficile da attuare:
“C’è del materiale interessante che viene fuori da questi meter. Ma è molto difficile usare questo materiale. Non si sa quanta gente stia guardano la tv ad una certa ora, o se il meter sia acceso o spento, o se qualcuno stia ancora guardando il programma. Apprezziamo la frammentazione dei dati, ma la precisione è importante. I dati di ascolto sono la misura per la contabilità dell’industria tv. E’ così che vengono spesi dollari e centesimi”.
Pochi ma buoni, insomma. Usare poche famiglie come campione di misurazione permette così di avere dei dati che forse numericamente non saranno precisi, ma che cercano di esserlo dal punto di vista delle fasce di popolazione. Se la Abc sa che “Desperate Housewives” è visto prevalentemente da un pubblico femminile, allora collocarlo di domenica (quando la concorrenza propone il football) insieme ad un’altra serie “rosa” come “Brothers and sisters” è la soluzione ideale per garantire agli inserzionisti un certo tipo di pubblico. Così come The Cw, che da sempre punta sulle giovani donne, realizzerà serie indirizzate a loro, certo, ma potrà anche esplorare nuove fasce inserendo in palinsesto serie che attirino il pubblico maschile (leggasi “Nikita”).
Eppure, c’è un problema, che nel corso degli anni si è fatto sempre più pressante e che ha il nome di internet. La rete, grazie ai metodi di diffusione di file peer-to-peer ed allo streaming, sta danneggiando la credibilità dei dati Nielsen. L’analista Arash Amel ha osservato:
“Non c’è mai stato un metodo provato di quante persone stiano realmente guardando la tv, per quanto tempo e cosa stiano guardando. E’ una stenografica creata da un panel di alcune migliaia di case, che dovrebbero essere indicative di 100 milioni di famiglie, e che dovrebbero creare una base comune su cui poter vendere pubblicità… E’ solo un’immensa approssimazione, che proviene da una percentuale molto piccola. non importa quanto sia accurato il panel, è un metodo utile per una programmazione lineare, che si usava quando c’erano tre canali.”
Ed ora? Ora invece ci sono le reti via cavo (che c’erano già prima, ma che hanno iniziato a proporre show che inevitabilmente hanno portato via telespettatori alle generaliste) internet e il Dvr, ovvero il sistema che permette di registrare i programmi e di rivederli saltando la pubblicità. Le registrazioni Dvr sono contate da Nielsen, anche se con qualche giorno di ritardo rispetto ai dati che escono ogni giorno, ma l’utilità che hanno per gli investitori è minima, dal momento che, se si registra qualcosa, non lo si fa per vedere la pubblicità.
In un panorama come questo, in cui la visione attraverso la tv diventa sempre più una scelta piuttosto che l’unica possibilità, i dati rilevati non possono essere presi con la stessa importanza di prima. “Heroes” ad esempio, è stato chiuso dalla Nbc per via dei bassi ascolti (che non reggevano gli alti costi di produzione), ma la serie è stata per anni tra le più viste e scaricate in internet. Eppure, questo non interessa ai network. Lo aveva detto anche Zachary Levi, ospite al Telefilm Festival qualche mese fa:
“Al network interessano i telespettatori live in America, perchè chi investe in pubblicità è interessato a quello. Ci sono molti modi di vedere la serie (scaricandola o sulla pay tv), ma a loro interessa il live. Il download illegale va bene, lasciatemi spiegare. Non penso sia giusto, ma oggi il mondo è più piccolo con questa connettività. Three Rivers (della Cbs) ha avuto una sola stagione, ma ora va bene, perchè lo puoi vendere in dvd e su internet. Dovreste avere accesso alle serie su internet, chi vede Chuck vuole seguirlo ora. Il download illegale non è una bella cosa per un artista, serve per produrre altre cose, e la gente dovrebbe poter acquistare un episodio su internet come fa con le applicazione per l’iPhone. L’intrattenimento sta cambiando, e gli studi di produzione devono cambiare”.
Esatto, è l’industria che deve cambiare. Lo avevamo già detto in occasione della fine di alcune grandi serie degli ultimi anni, e lo ripetiamo ancora. Non ci si può più basare solo sulla scelta di vedere un programma in tv per decretarne la popolarità. Internet (download, streming e piattaforme come Hulu che stringono patti con i network per trasmettere legalmente sul web i propri show) e le registrazioni -che in Italia non vengono conteggiate, ma sono comunque un dato di cui tenere conto, anche se basso- ormai sono protagonisti come lo è il telecomando.
Ed alla viglia della partenza di molte nuove serie televisive, è forse il caso di iniziare a dar loro il giusto spazio anche nell’analisi dei dati. Fare in modo che non siano più dei numeri di contorno, ma permettergli di avere il giusto peso. Altrimenti, si rischiano troppe chiusure anticipate ed occasioni mancate per gli studios.