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Nonostante il dossier non passa il Codice Masi

Il CdA della Rai di ieri è stato, come dire? abbastanza tumultuoso. Mauro Masi, il direttore generale ha presentato uno studio per dimostrare quanto la la Tv italiana sia faziosa, cioè troppo orientata a sinistra, rispetto alle colleghe europee. Come soluzione ha proposto un Codice Masi, una sorta di scure censoria che oltre a limitare

di marina
pubblicato 17 Settembre 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 12:44

Il CdA della Rai di ieri è stato, come dire? abbastanza tumultuoso. Mauro Masi, il direttore generale ha presentato uno studio per dimostrare quanto la la Tv italiana sia faziosa, cioè troppo orientata a sinistra, rispetto alle colleghe europee.

Come soluzione ha proposto un Codice Masi, una sorta di scure censoria che oltre a limitare la presenza del pubblico in studio, lasciava ampie libertà a Masi di intervenire direttamente sugli equilibri delle trasmissioni. L’idea non è garbata a Paolo Garimberti, che ha duramente contrastato la proposta e spiegato che eventualmente è sufficiente richiamare i conduttori all’imparzialità.

Comunque, come riferisce Il Salvagente già in una circolare del 24 agosto (a sinistra la foto) Masi aveva imposto una serie di limitazioni al pubblico presente nei talk show politici, scrivendo che:

dal prossimo palinsesto autunnale non dovrà essere consentito l’utilizzo del pubblico presente in sala come “parte attiva” del programma stesso.

Il che rimanda direttamente alla attiva partecipazione del pubblico presente in trasmissioni come AnnoZero. E a complicare la situazione, la presenza di Gherardo Colombo, ex magistrato del pool di Mani Pulite in prima serata a Articolo 3 il nuovo programma su RaiTre condotto dalla “epurata” Maria Luisa Busi.

Il Giornale si è preso la briga oggi di pubblicare ampi stralci del dossier di Masi, omettendo però di dire che il Codice non è stato approvato. Ma si sa, questi sono evidentemente dettagli. Comunque, ecco cosa si leggeva nel dossier:

In Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna «la natura del programma è sempre e dichiaratamente quella dell’approfondimento politico – si legge nella relazione riservata – attraverso il confronto di idee tra esponenti politici di schieramenti diversi. Tale confronto si svolge secondo regole ben definite ex ante; coerenti con i generali principi di pluralismo e di contraddittorio». La struttura dei programmi politici in tv è molto rigida, spiega Masi, proprio per rispettare l’indirizzo di imparzialità ed equilibrio (da qui forse nasce l’idea delle «schede» per guidare la fattura dei programmi, altro tema del codice Masi). «Questa articolazione – spiega la relazione del dg – non ammette deroghe. Lo scopo non è quello di fare “spettacolo” bensì autenticamente quello di consentire al telespettatore la formazione di un’opinione consapevole; la struttura della trasmissione prevede che la conduzione sia affidata a giornalisti equilibrati ed indipendenti in grado di garantire toni misurati e di evitare eccessi polemici, aggressività verbali e attacchi diretti e personali; la modalità dello studio televisivo non prevede in nessun caso la presenza del pubblico “parte attiva”. La partecipazione del pubblico da casa è, in alcuni casi, prevista attraverso domande poste via telefono o tramite sms».

Mauro Masi spiega che negli altri paesi europei nei talk show non c’è una preponderante e attiva presenza di pubblico. Scrive nel dossier:

In Francia la formula utilizzata «è quella di agevolare il contatto diretto tra l’ospite in studio e i telespettatori prevedendo l’invio di domande in redazione via e-mail o sms o webcam. In linea generale tale tipo di programmazione è raramente caratterizzata da eccessi polemici, aggressività verbali ed attacchi diretti e personali e non privilegia formati e contenuti che tendono ad esasperare il contraddittorio». In Spagna, «il presentatore svolge un ruolo neutrale facendo rigorosamente rispettare dei turni nel dare la parola ai diversi interlocutori», mentre in Inghilterra «non è prevista la presenza di pubblico in studio». In Germania, poi, «i talk show sono condotti da giornalisti equilibrati ed indipendenti, di cui è difficilissimo decifrare le declinazioni politiche, interessati a documentare nella maniera più incisiva il fondamento delle opinioni a confronti e, se del caso, a far maturare nel telespettatore il proprio autonomo convincimento. Le interruzioni e le sovrapposizioni di voci sono rarissime, le intemperanze e le risse verbali inimmaginabili». Il contrario esatto dell’Italia, si direbbe. Infatti conclude Masi, «da tale analisi comparata emerge con chiarezza la sostanziale difformità del talk show italiano rispetto a quello dei nostri principali partners europei».

Nel dossier però manca il richiamo storico. Ossia, chi ha iniziato a manipolare i talk show rendendoli simili a una vetrina di campagna pre elettorale? Perché se stabiliamo chi ha innescato questo meccanismo capiremo che certe trasmissioni sono una sorta di risposta immunitaria affinché la democrazia resti nel suo contraddittorio. Evidentemente tanto più l’attacco è violento , tanto più la risposta sarà aggressiva.