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C’era una volta la città dei matti: su Raiuno Fabrizio Gifuni ricorda Franco Basaglia

In occasione del trentennale dalla scomparsa, Raiuno ricorda lo psichiatra rivoluzionario Franco Basaglia attraverso la miniserie “C’era una volta la città dei matti…”, in onda stasera alle 21:30 e domani alle 21:10. Prodotta dalla Ciao Ragazzi di Claudia Mori, la fiction è stata girata da Marco Turco, già dietro la macchina da presa per “Rino

pubblicato 7 Febbraio 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 18:46


In occasione del trentennale dalla scomparsa, Raiuno ricorda lo psichiatra rivoluzionario Franco Basaglia attraverso la miniserie “C’era una volta la città dei matti…”, in onda stasera alle 21:30 e domani alle 21:10. Prodotta dalla Ciao Ragazzi di Claudia Mori, la fiction è stata girata da Marco Turco, già dietro la macchina da presa per “Rino Gaetano”.

La storia che vedremo, scritta da Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio (entrambi autori di “Codice Rosso”), Katja Colja e dallo stesso regista, è il frutto di un’intensa attività di ricerca negli istituti di igiene mentale, meglio noti negli anni ’60 come manicomi, “città dei matti” dove le persone che vi vivevano dovevano rinunciare alla loro dignità.

Camicie di forza, letti di contenzione, elettroshock ed una situazione molto simile -se non peggiore- a quella delle carceri: questa è una condizione che non risparmia nessun manicomio ai tempi, neanche quello di Gorizia, di cui il giovane Franco Basaglia (interpretato da Fabrizio Gifuni) diventa direttore. Il suo arrivo sarà la miccia che farà esplodere una rivoluzione nel modo di vedere e vivere i manicomi, e che sfocerà nel 1978 in una legge, la 180 intitolata a suo nome, grazie alla quale furono introdotte numerose novità nell’organizazzione di questi istituti.

C era una volta la città dei matti
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I personaggi che Basaglia incontrerà nelle due puntate in onda derivano dagli incontri degli autori con persone realmente esistite, da cui hanno preso l’ispirazione per creare nuove situazioni che rappresentassero al meglio uno spaccato dei “matti” che vivevano ai tempi negli istituti di igiene mentale. Come Margherita, interpretata da Vittoria Puccini, giovane ragazza la cui esuberanza non tarda a farsi sentire presso le suore del collegio a cui è affidata, che decidono di farla ricoverare.

Boris (Branko Djuric) è invece segnato dalla guerra, che lo portato ad uno stato di mutismo. Il manicomio, invece che aiutarlo, lo trascina in un vortice di elettroschock e costrizioni a letto, al quale sarà legato per quindici anni. L’ex partigiano Furlan (Maurizio Fanin) ha preso tempo prima la decisione di farsi rinchiudere, per evitare di diventare vittima dell’alcol e curare le proprie paure. Purtroppo per lui, non riuscirà in questo scopo.

Cicca-cicca (Federico Bonaconza), infine, nonostante i vent’anni ha un comportamento infantile che non viene stimolato a crescere dagli infermeri verso cui, anzi, nutre il terrore. Oltre a loro, saranno molti altri i personaggi a circondare Franco, che di fronte a loro accetterà la sfida di costruire un posto migliore.

Così, con l’aiuto della moglie Franca (Sandra Toffolatti), Basaglia inizierà a realizzare un progetto che elimina le camicie di forze, le costrizioni e gli elettroshock, e soprattutto che permette ai pazienti dell’istituto di vivere liberamente nell’edificio, passeggiando, mangiando all’aperto e svolgendo piccoli lavori. Il tutto vivendo fianco a fianco dei suoi nuovi amici, senza guardarli dall’alto del suo ufficio.

La rivoluzione di Basaglia non sarà priva, però, di ostacoli, sia dal mondo esterno dei colleghi sia da quello interno all’edificio: l’infermiera Nives (Michela Cescon, “Quando sei nato non puoi più nasconderti”) sarà una delle persone che si schiereanno contro le idee del protagonista, convinta che i pazienti altro non siano che un lavoro da svolgere senza soffermarsi su altri pensieri.

Sappiamo bene come Basaglia sia riuscito a vincere la sua scommessa, portando nel resto d’Italia e nel mondo un nuovo modo di pensare gli istituti di igiene mentale, e mostrando come chi vi vive meriti lo stesso rispetto di chi si trova fuori. L’abbattimento di questo “muro” attraverso il cavallo azzurro, l’opera realizzata dai pazienti dell’edificio e che entrerà trionfante in città, è simbolo di come il lavoro dello psichiatra abbia dato il via ad una rivoluzione che, ancora oggi, merita di essere ricordata.



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