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Anche Google e i provider contestano il Decreto Tv

Il Decreto Legislativo sulla Tv, messo a punto dal viceministro Paolo Romani con delega alle Comunicazioni, e che aveva già scatenato polemiche per il taglio alla pubblicità di Sky nelle scorse settimane contiene un’altra norma che ha fatto imbestialire l’opposizione e reagire anche i provider internet italiani e la stessa Google. La Legge Romani, infatti,

pubblicato 15 Gennaio 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 19:24


Il Decreto Legislativo sulla Tv, messo a punto dal viceministro Paolo Romani con delega alle Comunicazioni, e che aveva già scatenato polemiche per il taglio alla pubblicità di Sky nelle scorse settimane contiene un’altra norma che ha fatto imbestialire l’opposizione e reagire anche i provider internet italiani e la stessa Google. La Legge Romani, infatti, equipara la disciplina dei siti internet che trasmettono video in maniera non occasionale (YouTube, i principali siti d’informazione e tutte le piattaforme di Video Sharing) a quella delle emittenti televisive tirando in mezzo anche i provider.

Tutto questo non considerando un fatto ovvio: YouTube non esercita un controllo preventivo sui contenuti. Questa equiparazione appare strumentale alla tesi sostenuta da Mediaset quando, nel luglio del 2008, chiese 500 milioni di danni a Google per i video di sua proprietà caricati su YouTube. Una scelta che rappresentò un punto di rottura nel panorama mondiale visto che normalmente i network si limitano a chiederne la cancellazione e cercano di contrastare il fenomeno sottoscrivendo accordi con la piattaforma di video sharing andando a caricare personalmente stralci o intere trasmissioni. La questione è stata analizzata, con grande chiarezza ed efficacia, da Guido Scorza su PuntoInformatico.

Marco Pancini, responsabile per le relazioni istituzionali di Google in Italia, ha commentato:

Siamo un po’ preoccupati. Il decreto dà ai provider su Internet le stesse responsabità delle emittenti televisive, solo che queste si occupano direttamente dei contenuti, mentre YouTube si limita a mettere a disposizione le proprie piattaforme agli utenti.


Il decreto obbliga, fra le altre cose, la rimozioni immediata (anche senza sollecito) dei contenuti vietati pena 150.000 euro di multa da parte dei provider. Il commento di Dario Denni, segretario generale dell’Associazione italiana degli Internet Provider, sta tutto in una metafora quanto mai efficace:

E’ come ritenere l’azienda che si occupa della manutenzione delle autostrade responsabile per quello che fanno coloro che guidano le automobili. Non ha senso.