Giovanna Botteri: “Speravo che la Rai scegliesse me per la corrispondenza da Bruxelles”
La corrispondente Rai da Pechino si concede una pausa per tornare in Italia. In un’intervista per Il giornale racconta il calvario dei mesi del lockdown in Cina, la delusione per non essere stata spostata alla sede Rai di Bruxelles e torna sul servizio di Striscia la Notizia che le riguardava.
E’ stato ed è tuttora uno dei volti del giornalismo su cui i telespettatori si affidano per apprendere le ultime sull’emergenza legata al Coronavirus dalla capitale della Cina, Pechino. Giovanna Botteri, corrispondente estera per la Rai ha raccontato e vissuto i mesi più duri della pandemia direttamente sui luoghi in cui il Covid si è espanso a macchia d’olio, durante l’inverno.
Per la giornalista, dopo un periodo decisamente impegnativo fatto di impegni e dirette fiume, adesso è tempo di staccare la spina, dedicarsi ad un periodo di vacanze di ritorno in Italia dalla sua famiglia e ricaricare le pile in vista di una nuova lunga stagione.
In un’intervista a Il giornale la Botteri innanzitutto lascia filtrare dell’amarezza per il mancato spostamento alla sede Rai di Bruxelles, quello che poteva essere un premio al merito si è rivelato, invece, un desiderio al momento inesaudito:
Sarebbe stata per me una grande sfida. Avevo fatto domanda tramite il job posting interno all’azienda. Immaginavo che il mio curriculum fosse sufficiente… Dopo aver coperto i Balcani, il Medio Oriente, l’America e l’Asia, pensavo di raccontare l’Europa in modo diverso. E anche di avvicinarmi a casa. Ma rispetto le decisioni dell’ad Salini. Adesso penso solo a godermi mia figlia e dormire, poi vedremo cosa fare.
La sfida più grande, però, la giornalista probabilmente l’ha già vinta. Il racconto di un dramma come quello del Covid-19 sin dalle prime battute è apparsa subito come un muro da scavalcare:
Quando fai l’inviata, sai come comportarti, ti premunisci, cerchi di evitare pericoli, di metterti in salvo, con il virus non lo puoi fare, non ti puoi nascondere, non puoi scappare. Quando è iniziato il lockdown ho riempito il frigoifero dei nostri uffici della sede Rai. Spesso dormivo lì (…) Ho tenuto in servizio solo due montatori, gli altri sono rimasti a casa in smart working. Per gestire tutti i collegamenti c’è solo una possibilità: l’organizzazione.
Qualche momento di paura c’è stato, ammette la giornalista: “Ma bisogna tenerla per sé – dice – non ti puoi permettere di trasmetterla agli altri, altrimenti quelli che ti guardano cosa possono pensare? Andavo in panico all’inizio, magari avevo qualche linea di febbre e pensavo al peggio, soprattutto di finire in quei lebbrosari dove sono morte chissà quante persone.”
La tempra non le manca: “Quando cominci a raccontare le storie delle persone, non riesci più a fermarti. Non sono mai stata interessata ad altri tipi di carriera, alle direzioni. Faccio il lavoro che so fare”.
Qualche mese fa è diventata protagonista di un servizio di Striscia la Notizia che faceva satira sul suo look. Non sono mancate le polemiche che hanno alzato un polverone immediatamente abbassato dalle dichiarazioni della giornalista che sdrammatizzò il tutto levando l’accusa di body-shaming tirata in ballo:
Penso che sia stata anche un’occasione per parare di temi importanti come l’immagine della donna e la pressione della società sull’aspetto fisico. Discorsi che possono fare bene alle giovani generazioni. E poi, forse, non è stato casuale che l’argomento sia nato proprio in periodo di Covid quando non si poteva andare dal parrucchiere: la gente a casa ha avuto bisogno di vedere in tv persone normali e non modelli patinati irreali (…) E poi – conclude – vogliamo parlare delle magliette? Mi dicono che metto sempre la stessa, nera: ma io per praticità, ne ho 40, tutte simili: vanno bene per sistemare il microfono e per come mi stanno addosso.