Diavoli, la seconda stagione partirà dal Coronavirus: “È una serie mai vista prima”
Diavoli racconta dal punto di vista dell’alta finanza le grandi crisi politiche dell’ultimo decennio e debutta in piena pandemia: inevitabilmente si guarda già alla prossima stagione.
Una banca di investimenti leader nel mondo, trader pronti a far fallire Paesi per il massimo profitto, accordi finanziari che piegano politiche nazionali e indirizzano quelle delle banche centrali, sullo sfondo le principali crisi del decennio 2001-2011 e in primo piano il duello psicologico di due uomini che si muovono tra ambizione, potere e bisogno di primeggiare: sono questi gli ingredienti di Diavoli – Devils, serie in 10 puntate prodotta da Sky e Lux Vide e realizzata in collaborazione con Sky Studios, Orange Studio e OCS, in onda da venerdì 17 aprile alle 21.15 su Sky Atlantic e Now TV.
Al centro della serie il duello tra l’italiano Massimo Ruggero (Alessandro Borghi), self-made man arrivato nella City da un paesino della Costiera Amalfitana e diventato col suo istinto e la sua spregiudicatezza invidiato Head of Trading della New York – London Investment Bank (NYL), e l’americano Dominic Morgan (Patrick Dempsey), CEO della NYL e tra gli uomini più potenti della finanza mondiale. Una promozione desiderata, un suicidio misterioso, una catena di eventi che legano manovre sospette della banca e momenti cruciali della storia recente come lo scandalo Strauss-Kahn, la guerra in Libia e la crisi europea, diventano la cartina al tornasole di una guerra tra ambizione ed etica, lealtà e tradimenti, che lasciano sul campo amori distrutti e milioni di persone sul lastrico. Una lotta individuale e collettiva che vede nel cast anche Kasia Smutniak (Nina Morgan, moglie di Dominic), Laia Costa (Sofia Flores) e I Pirati, ovvero il team di Ruggero composto da Malachi Kirby (Oliver Harris), Paul Chowdhry (Kalim Chowdhrey) Pia Mechler (Eleanor Bourg) e Harry Michell (Paul McGinnan). Menzione speciale per Ben Miles, nel ruolo breve, ma cruciale di Edward Stewart.
Tratta da “I diavoli” di Guido Maria Brera, la serie si ritrova a fare da lente di ingrandimento sulle dinamiche della finanza internazionale proprio mentre infuria la peggior crisi economica e politica mondiale, causa Coronavirus. Una circostanza che certo era inimmaginabile tre anni fa, quando il progetto di Diavoli ha iniziato a prendere forma: la concomitanza, però, finisce per dare un valore ancora maggiore a un prodotto televisivo già di per sé ambizioso, come ripetono i protagonisti, che ambisce a fornire, suo malgrado, una chiave di lettura dell’attualità.
A presentarla in una conferenza stampa che è stata costruita come un vero e proprio evento audiovisivo in live-streaming – con tanto di studio, tappeto musicale, regia, conduttore/moderatore e wall che ha raccolto qualcosa come un centinaio di giornalisti collegati, per un format che a suo modo farà scuola – ci hanno pensato i protagonisti Alessandro Borghi, Patrick Dempsey e Kasia Smutniak, i registi Nick Hurran e Jan Maria Michelini, Nils Hartmann, Head of Sky’s originals productions, il produttore Lux Vide Luca Bernabei e l’autore del libro, Guido Maria Brera.
Un’occasione per mettere in evidenza i punti cruciali di questo racconto, introdotto come una delle produzioni più ambiziose di Sky. Gli elementi più interessanti sono arrivati proprio dal coté produttivo e autoriale. In primis la realizzazione di una seconda stagione, in fase di scrittura: e il Coronavirus ci sarà fin dalla prima scena.
“La prima scena della seconda stagione la immaginiamo con i due protagonisti che si incontrano in una Milano resa deserta dal Coronavirus. La storia, però, tornerà poi subito indietro per raccontare la Brexit. La scena iniziale quindi è un modo per far entrare nel racconto questa ‘guerra’, questa crisi che stiamo vivendo: non volevamo fare finta di nulla e riprendere una storia come questa senza un riferimento, ma non possiamo certo raccontarla perché non sappiamo ancora come andrà a finire”
come annuncia Nils Hartmann, cui viene riconosciuta dai registi la paternità di stile della serie e che a propria volta ringrazia i partner di questa avventura iniziata tre anni fa, in primis Nick Hurran per aver portato sul piccolo schermo “una cosa mai vista prima“. Di investimenti e di soldi non si parla (“E’ stato uno sforzo importante”), ma di circuitazione all’estero sì: il prodotto original Sky Italia, figlio di un’idea italiana e di una produzione di scuola internazionale, è stato venduto in 160 territori, dal Nord Europa all’Asia, passando per l’Africa e dopo la prima italiana sarà trasmesso, nell’ordine, in Germania, UK e Francia.
Una sfida di sicuro per la Lux Vide, raccontata da Luca Bernabei (e un collegamento con DOC – Nelle tue mani era difficile non farlo):
“Con Diavoli testiamo un nuovo modo di raccontare, ma in fondo sia con Devils che in Doc raccontiamo storie di uomini. Quello tra Massimo e Dominic è un bellissimo duello tra uomini intelligenti e super-potenti, ma innanzitutto ciascuno di loro rappresenta qualcosa di diverso: Massimo è il self-made man che porta con sé l’Europa, Dominic è un civil servant che rappresenta l’America”.
Un conflitto tra uomini, quindi, come vuole la quintessenza della narrazione, ma che si veste qui in modo diverso: e Bernabei non esita a ringraziare Sky e Nils Hartmann “che ci ha spinto a fare una serie molto intrigante ma nello stesso tempo accessibile a tutti, non solo agli appassionati di finanza“.
Un prodotto di cui Patrick Dempsey si è detto fiero (“La storia mi è piaciuta subito molto e ho colto l’opportunità di imparare e lavorare in Europa. Sono fiero del prodotto finale” e che mira a rendere affascinante un mondo solitamente respingente.
E in effetti il punto più complicato nella trasposizione televisiva è stato quello di rendere accessibile un mondo in sé ostico ai non addetti (“Noioso per una persona normale come me, che fatica a capire la commercialista, ma che Brera è riuscito a rendere appassionante” ha sintetizzato la Smutniak) in modo da non respingere i pubblici più pop. Un lavoro passato, come spiega Brera, anche per la lingua, di cui si sono mantenuti alcuni tecnicismi proprio per restituire un senso di realtà alla storia, non solo ai suoi protagonisti.
“In alcune scene, a vedere Patrick e Alessandro mi sembrava di essere in ufficio”
racconta Brera, che ha lavorato alla sceneggiatura con Alessandro Sermoneta, Mario Ruggeri, Elena Bucaccio, Chris Lunt, Michael Walker, Ben Harris, Daniele Cesarano, Ezio Abate e Barbara Petronio.
Un realismo cercato quindi nei dialoghi, negli schizzi di realtà offerti dall’inserimento di materiali di repertorio, nelle dinamiche di trading e anche nella ricerca di uno stacco con la ‘tradizionale’ rappresentazione cinematografica del mondo della finanza (molto meno nella resa visiva, come evidenziato nella nostra recensione):
“Se pensiamo ai vari film su Wall Street, la finanza è stata sempre raccontata con belle auto, donne, droga: io invece ho puntato al racconto di protagonisti che sono di fatto dei monaci-guerrieri. In questo è stato un progetto molto ambizioso, reso possibile dal grande lavoro di squadra e da attori che sono riusciti a trasferire perfettamente i personaggi sullo schermo”.
Il punto è quindi stato quello di andare oltre i luoghi comuni nella rappresentazione e nel racconto di un mondo in genere schiacciato dagli stereotipi.
“Si pensa che tutti quelli che lavorano nel settore siano ‘cattivi’, senza scrupoli: Diavoli mi ha insegnato che non è così”
dice Borghi parlando del suo Massimo. Brera rincara, evidenziando come il ‘lato umano’ della finanza permei l’intero racconto e si sveli via via che si capiscono i personaggi: quelli che sembrano ‘monoliti stereotipati’ insomma si mostrano nella loro umanità (non banale vulnerabilità) “quando vediamo Dominic svelarsi come un civil servant o quando Massimo si rende conto di non fare ‘semplicemente’ soldi, ma di condizionare vite”.
“Nel cuore è un thriller rappresentato magnificamente da Borghi e Dempsey: l’idea è quella di fare in modo che nessuno si fidi di nessuno”
aggiunge Hurran. L’ambiguità del resto è una delle chiavi principali di questo racconto. Abbiamo chiesto a Borghi e Dempsey proprio cosa vorrebbero che il pubblico apprezzasse e odiasse di più dei loro personaggi a marcare proprio il continuo altalenarsi di coscienza e spietatezza che emerge dal racconto.
Per Borghi
“nella domanda c’è in fondo la chiave della serie: in tutti i personaggi c’è un estremo dualismo che porta ciascuno a sembrare da una parte molto cattivo, dall’altra molto buono. Se alla fine della serie ciascun telespettatore riuscirà a crearsi una propria dimensione e una propria idea dei personaggi avremo raggiunto l’obiettivo. Io fino all’ultimo non so se considerare Massimo ‘dalla parte giusta’ o da quella ‘cattiva’: so che segue il suo istinto e sceglie una strada. Ognuno potrà farsi una propria idea proprio dalle scelte dei personaggi”.
Sulla stessa linea si inserisce Patrick Dempsey:
“Penso che il punto sia proprio questo: ci sono lati positivi e negativi in ciascuno dei personaggi e spesso dipendono dal momento e dalla situazione in cui si trovano e dalle scelte che fanno. L’ambiguità dei personaggi è affascinante”.
L’ambiguità, quindi, come parola chiave nel disegno dei personaggi, nei rapporti tra politica e finanza, nella gestione della cosa pubblica e privata. In questo la pandemia ha reso ancora più evidenti una serie di paradossi e ha mostrato la debolezza di un sistema arrivato al suo collasso. In questo, il contesto storico di messa in onda può dirsi un personaggio centrale di questa serie. Lo spiega bene Brera, ‘interrogato’ proprio su quanto sta succedendo nel mondo politico e finanziario con in corso la crisi più grave dal 1929:
“La pandemia ha mostrato come il sistema occidentale abbia miseramente fallito: l’unica risposta arrivata in tempi brevi è stata quella dei banchieri, che con le loro azioni hanno dato del tempo alla politica, che però, pavidamente, non sembra prendere decisioni. Il Coronavirus è la Chernobyl della globalizzazione: la catena di montaggio globale ha mostrato la sua insostenibilità”.
Intanto si guarda al difficile futuro di un settore bloccato dalla pandemia e che probabilmente sarà l’ultimo a riaprire: Borghi immagina che si inizerà a lavorare con troupe ridotte, ma si augura che presto si torni a regime perché nel cinema “tutti sono indispensabili e non si può pensare di fare in 50 un lavoro per il quale servono 100 persone”. Più realistico Jan Michelini, che prefigura un ritorno sul set da ‘sbarcati su Marte’, tra protezioni e protocolli: “Bisognerà però trovare un modo per fare il nostro lavoro in maniera fattibile, considerato anche la necessaria interazione tra gli attori”, ma per adesso è tutto in alto mare.
Per ora si scrive e si lavora, da remoto, anche alla seconda stagione di Diavoli. Intanto seguiamo la prima, da venerdì 17 aprile su Sky Atlantic e Now Tv dalle 21.15.
Photo credits: Antonello&Montesi