Fenomenologia di Silvia Toffanin, il trionfo dell’aurea mediocritas
Il successo di Verissimo, la parodia di Fiorello e la distanza dalle polemiche: quando lo stile medio vince
Mediocrazia. Una bestemmia solo menzionarla, in un’Italia che sogna per metà l’uomo forte al comando. La scelta della terza via, la centrale, un gesto di ignavia. Tra urla, saltimbanchi, coriandoli e trombette, il grigio sembra passato di moda. Bianco o nero, profonda assenza o massima presenza. Al medio non resta che strisciare sulla terra che gli altri hanno ormai lasciato per il cielo. Ma è tra la polvere che impara a conoscere il suo potere intrinseco, la sua capacità innata di garantire compromessi e stabilire connessioni. La politica l’ha dimenticato, viviamo la stagione dell’estremo, mentre le piattaforme di comunicazione si profilano sempre più come territorio ideale per brillare in moderazione. E il medio nei media ha il volto di Silvia Toffanin, sobria soubrette, nata miss e diventata conduttrice.
Silvia Toffanin, l’acqua cheta che rompe i ponti, la professionalità a capo chino, il prestigio discreto. “La mediocrazia non sopporta né i cialtroni, né gli incompetenti” scrive il filosofo Alain Denault nel suo saggio dedicato al potere del medio, recuperando il valore positivo dell’aggettivo mediocre, di oraziana memoria. I latini consideravano la mediocrità una caratteristica preziosa come l’oro, propria solo di chi sa governare ragione e sentimento. Un talento raro da individuare, impossibile da simulare, che ripaga nel lungo termine. Anzi lunghissimo, nel caso della conduttrice. Quasi quattordici anni al servizio di Verissimo, trasmissione di successo del sabato pomeriggio di Canale 5, l’unico porto franco della rete, garanzia di rigore e rispetto. Un salotto buono a rischio polemica pari a zero, che riverbera l’aurea mediocritas di Silvia Toffanin, che basa il suo stile linguistico sulla cordialità del registro medio e sulla naturalezza della paratassi. Noiosamente precisa, sempre impeccabile, mai un capello fuori posto. Nessuno ne propone l’imitazione, non ha colori evidenti da replicare, fugge persino dall’identificazione regionale, dalla comicità vernacolare tipica delle colleghe. Crea contatto col pubblico senza scimmiottarne gli stereotipi, interpretando i loro desideri: non fa la persona comune, lo è, e lo dimostra nelle domande semplici e chiare che pone ai propri ospiti.
Un doppio ideale del telespettatore, che come tale non ha volontariamente costruito intorno a sé un’alone di irraggiungibilità. Più operaia della televisione che diva intoccabile. Non esibisce davanti alle telecamere il proprio privato, sottraendosi così a facili polemiche, e alimentando al contempo quel processo di identificazione totale fra lei e la trasmissione, in televisione e sui social. Se Fabio Fazio ha ceduto alle lusinghe di Instagram, Silvia Toffanin lascia ancora che siano i canali ufficiali di Verissimo a parlare per lei. Schiva, riservata, vederla in video non di sabato pomeriggio suscita stupore. Dopo la partecipazione alla finale della scorsa edizione di Amici, ieri sera è stata ospite di Fiorello a Viva RaiPlay. E non è un caso se, fra tutte le professioniste del settore, il mattatore siciliano abbia scelto lei come modello di intervistatrice contemporanea da parodiare. #EPCFCFINT, E poi c’è Fiorello che fa il nuovo Toffanin, ma nello stile asganaway e riproducibile di Alessandro Cattelan. Non Barbara d’Urso, non Mara Venier, ma l’incrocio fra il patetismo e l’atarassia di Silvia Toffanin.
La sfida è in prospettiva: per sedere al tavolo di rappresentanza delle icone televisive, bisogna saper mettere in ballo il proprio talento anche lontani dalla bambagia del proprio luogo naturale. “Tra lavoro e famiglia, scelgo la famiglia“, ha dichiarato qualche tempo fa a chi le chiedeva se avesse mai preso in considerazione l’idea di condurre altri programmi. Peccato, dico io, ma poi ci ripenso: è una risposta mediocratica, non poteva essere altrimenti.