Roberto Saviano – Dall’inferno alla bellezza
Dall’inferno alla bellezza è il titolo del nuovo speciale di Che tempo che fa, dedicato a Roberto Saviano che seguiamo, parallelamente alla diretta di X Factor 3, in liveblogging su TvBlog.21:13: si comincia in silenzio, con Fabio Fazio che siede in quello che richiama un piccolo studio da lettura nel più grande studio di Che
Dall’inferno alla bellezza è il titolo del nuovo speciale di Che tempo che fa, dedicato a Roberto Saviano che seguiamo, parallelamente alla diretta di X Factor 3, in liveblogging su TvBlog.
21:13: si comincia in silenzio, con Fabio Fazio che siede in quello che richiama un piccolo studio da lettura nel più grande studio di Che tempo che fa.
Poi l’annuncio: Roberto Saviano ci racconterà delle storie. E noi non vediamo l’ora di sederci e di stare a sentirle. Il potere della parola, la verità ma anche la calunnia, la testimonianza ma anche la violenza. Dentro la parola convivono inferno e bellezza insieme.
La prima storia che racconta Saviano, è quella di Neda, simbolo della ribellione in Iran.
Neda muore con gli occhi aperti facendo vergognare noi che moriamo con gli occhi chiusi.
Ci piace, questa messa in scena semplice, con Fazio che ascolta, incantato, insieme a tutti noi, il racconto di Saviano, che ora parla dello stupro come strumento perpretrato sistematicamente dalla guardia nazionale iraniana. Uno strumento di violenza. Di controllo. Di distruzione della bellezza. E’ un bene che in prima serata si raccontino queste cose, perché il maggior numero possibile di persone le conoscano.
Poi si passa a parlare, pensate un po’, di calcio. E in particolare, della nazionale della Nigeria. Che ha a che fare con il libro Sozaboy, di Ken Saro-Wiwa, che muore – per impiccagione. Un’esecuzione voluta dal governo nigeriano – proprio il giorno in cui la Nigeria trionfa calcisticamente. Ken era anche autore di una sitcom. E faceva paura al potere, perché le sue storie circolavano. Circolavano, come le sue posizioni contro la Shell, contro le multinazionali del petrolio. E la Shell viene rinviata a giudizio per l’omicidio di Ken Saro-Wiwa, grazie a un avvocato donna degli States. La Shell evita il giudizio, pagando 15 milioni di dollari e dicendo, tuttavia, di non aver colpa.
La potenza della parola è al centro della chiosa di Saviano alla storia di Ken Saro Wiwa, poco prima della pubblicità.
Si rientra alle 21:43 e Fazio ci parla del branzino. Sì, il pesce. La storia è utile per parlare di questo pesce che nuota anche nel Volturno. Già, perché il mare rientra nel fiume. E la parola passa a Roberto Saviano, che ci racconta di Castel Volturno. E di 800mila metri quadri di villaggio abusivo costruiti sul territorio dai fratelli Coppola. Tutto abusivo, il più grande agglomerato abusivo dell’occidente.
I Coppola, racconta Saviano sotto lo sguardo attento di Fazio, volevano costruire una sorta di città stato. Una città tranquilla, controllata, con case sul mare. Il tutto, pubblicizzato persino da un video in televisione: Coppola Pineta Mare. Una nuova formula di vita accessibile a tutti, non per miliardari. Lo spot dell’epoca ha del geniale, come rileva Saviano.
Quel che mi piace di Saviano è che sa raccontare questi argomenti con pacatezza – alla faccia di chi reclama il ritmo a tutti i costi – anche se non esita a parlare della propria rabbia personale, che emerge in questo suo racconto di come è stato sventrato il Volturno. Di come i rapporti fra la camorra e lo stato siano sempre più intrecciati. Di come esistano eroi silenziosi (il sindaco dell’epoca di Castelvolturno).
L’abbattimento delle torri-ecomostro – voluto dagli stessi Coppola – viene proposto con una bella scelta registica, che spettacolarizza il momento, lo rende in tutta la sua drammaticità senza però speculare sulla retorica delle macerie.
22:22: questo è un programma coraggioso con un uomo coraggioso che racconta. Ci vuole coraggio a raccontare le cose che racconta lui – e molti altri come lui, magari più in ombra, e che non vanno mai dimenticati – e ci vuole coraggio, televisivamente parlando, a mandare in onda tutto questo in prima serata. Anche a mandare in onda uno schermo nero, con i loghi del programma e di RaiTre e l’audio degli spari.
Lo stesso coraggio che le comunità africane campana e calabrese hanno avuto nel fare le loro rivolte contro la camorra e la ‘ndrangheta: le uniche due grandi manifestazioni di rivolta recenti, nella storia d’Italia, contro la malavita organizzata. Stranieri che fanno lavori che non vogliono più fare gli italiani. E che difendono diritti che gli italiani non vogliono più difendere.
L’omertà, dice Saviano, ha due declinazioni, e la peggiore, probabilmente, è il non voler sapere.
22:30: c’è tempo per un intermezzo musicale brevissimo. Pata pata di Miriam Makeba. Ma è tanto breve, perché il racconto deve continuare. Possedere questo disco, in Sudafrica, poteva voler dire rischiare anni di carcere per banda armata. Un disco innocuo, di intrattenimento innocuo. E Miriam Makeba – corsi e ricorsi storici – va a Castel Volturno a tenere un concerto in solidarietà nei confronti delle vittime di camorra e anche di Roberto Saviano. E la storia, che diventa anche beffarda, racconta che la Makeba muore proprio lì, a Castel Volturno, per un malore. E con clamorosi ritardi nei soccorsi.
Dopo la pubblicità, è finito il momento-racconto e si passa all’intervista.
“Forse la parola non può cambiare le cose ma almeno ci prova” dovrebbe essere il motto di chiunque un giorno o l’altro, per qualunque motivo, decida di scrivere. Di qualsiasi argomento.
Saviano cita libri di scrittori perseguitati, libri pericolosi, libri che piacerebbero a tutti gli assetati di sapere e conoscenza.
Hikmet
(Poesie). Un sovversivo. Un sovversivo perché era letto da tutti, e raccontava di verità, di piacere. Ed era omosessuale.
Reinaldo Aerenas (Prima che sia notte). Per giudicare un governo ti devi fare la domanda se sei felice. Questo era uno dei concetti pericolosi per il regime castrista.
Danilo Dolci (Racconti siciliani)
Garcia Lorca – fucilato per aver firmato un documento di sostegno alla repubblica. Prescelto perché poeta e omosessuale.
E poi si ritorna al racconto, ma sempre utilizzando i libri come punto di partenza. I racconti della kolyma di Varlam Tichonovič Šalamov, scrittore condannato al gulag, fra l’altro, per aver definito Ivan Bunin “un classico scrittore russo”.
Il racconto della vita di Šalamov prosegue con l’amore di cui Saviano è capace. Se vogliamo trovare una piccola critica, questo momento è forse un po’ lungo. Ma si perdona anche la lunghezza, a chi porta concetti e tematiche così alte in televisione. Il bello merita anche la lunghezza.
Ora tocca a Anna Politkovskaja, essere oggetto di racconto da parte di Saviano. Brevissima, l’introduzione di Fazio che cita Putin:
Ma è giusto che sappiate che non aveva alcuna influenza sulla vita politica russa.
Saviano racconta della Politkovskaja con la solita passione pacata, il racconto è – come gli altri – duro, molto duro. E’ ancora una volta la potenza della parola, protagonista assoluta. Insieme al coraggio. Il coraggio di Saviano, il coraggio di Che tempo che fa e di tutta RaiTre.