BH90210, una metafiction per nostalgici incalliti che rende grazie all’ironia
La prima delle sei puntate del ‘reboot’ di Beverly Hills 90210 vista da chi era teen nel 1990.
Chiariamo subito una cosa: BH90210 – aka Beverly Hills, 90210 del 2019 – è televisivamente una pantomima, emotivamente una cascata di nostalgia canaglia.
Inutile dire che quella micidiale sensazione di tenerezza stringibudella è stata l’unica vera ragione che mi ha tenuto davanti allo schermo per 45′, di certo meglio utilizzabili se lo scopo fosse stato solo quello di vedere un nuovo prodotto tv. Ma non c’è niente da fare: per chi è vicino a- (o già ne-) gli ‘anta’, basta la sigla per raggiungere le 80 mph e tornare indietro nel futuro, in quell’adolescenza che era la porta verso se stessi, per restare a guardare quel che sarebbe potuto essere. E non è.
Cos’è BH90210?
Partiamo dagli aspetti più squisitamente televisivo-narrativi di questa metafiction, che sul piano della confezione ha molto poco da dire, vista l’attenzione maniacale alla quantità di inquadrature e ai minuti dedicati a ciascun personaggio (cfr i titoli di testa con il cast in rigoroso ordine alfabetico), il montaggio da studenti del liceo e la colonna sonora ridotta all’osso.
Di cosa potesse essere questo BH90210 si è parlato molto fin dal suo annuncio e alla luce della prima puntata direi che mockumentary è effettivamente la categoria più calzante per questo racconto che mescola vero e falso creando un verosimile prossimo alla parodia. Il racconto fictionalizza alcuni aspetti reali della vita dei protagonisti ma piegandoli affinché aderiscano ai characters e assecondino i (presunti) desiderata dei fans. In pratica una metafiction che rende gli attori più fake dei loro personaggi.
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C’è Brian Austin Green effettivamente sposato con una star, che però non è Megan Fox, che sembra non aver mai dimenticato, ricambiato, Tori Spelling, alle prese con i suoi tanti figli (5 nella vita reale, 6 nello show), ma con difficoltà economiche che la portano in un reality stile Kardashian (la cui cancellazione è l’incidente scatenante per l’idea del reboot nel reboot), mentre Jennie Garth al suo terzo matrimonio fallito (e fin qui nessuna finzione) non riesce a resistere a Jason Priestley, l’unico forse a prendere più di altri le distanze da quel personaggio che ha detto più volte di aver odiato, ma che nel reboot è sposato con la sua publicist e in attesa del primo figlio (mentre in realtà è felicemente sposato con la collega Naomi Lowde e hanno due figli) proprio mentre viene risucchiato dall’eterno ‘dramma’ à la Brandon Walsh, ovvero le donne che gli cadono ai piedi nel momento sbagliato. A questi si aggiungono Gabrielle Carteris, sì riconosciuta come presidente Screen Actors Guild, ma anche come fresca nonna di un figlio maschio che non ha, ma che come Andrea è sempre di fronte a una prima volta, Ian Ziering, che invece di presentarsi come amorevole marito di un’infermiera e padre soddisfatto di due bambine è rappresentato come Steve vorrebbe, tra case mozzafiato sulle colline di Beverly Hills e una moglie superpalestrata che lo cornifica. Infine c’è Shannen Doherty, che appare poco ma almeno concede che si prenda un po’ in giro la sua missione di paladina dei diritti vari ed eventuali.
” title=”+++ Attenzione, spoiler +++”]
Un gioco di specchi, deformati dalla voglia di raccontare un po’ di backstage ma senza violare la privacy, di portare sullo schermo qualcosa del proprio rapporto con il personaggio e con la serie, di giocare con i fans tra easter eggs e citazioni, di far riassaporare le atmosfere della serie originale, ma con un occhio sempre attento alla quantità di frames e battute per ciascun personaggio. E va da sé che la più star delle star resta Shannen Doherty che ha fatto ben pesare di aver concesso la sua presenza, dovuta solo alla prematura scomparsa di Luke Perry, cui è dedicata l’intera puntata ma che finora è il grande assente, liquidato con un brindisi a 3/4 di pilot e con un frame strappacuore alla fine, ma che restituisce ben poca ‘autenticità’.
Autenticità in tv è un parolone. Diciamo che è ‘sufficiente’ la verosimiglianza, almeno emotiva se non fattuale. Qui i piani del reale e del fictional sono talmente intrecciati e sovrapposti da perdere completamente di vista la verosimiglianza, ingrediente necessario per conquistare il pubblico, a prescindere dalla forma del racconto che si intende adottare. Necessaria come la carta moschicida per gli insetti.
Gabrielle, Jennie, Jason, Tori, Ian, Brian, Shannen sono quindi più falsi dei loro personaggi e lo sanno. E lo sa anche buona parte dell’audience, o almeno si spera. L’operazione è rischiosa perché da un lato rischia di creare una ‘realtà parallela’ presso i telespettatori meno preparati, dall’altra richiede anche ai fans della prima ora una grandissima dose di sospensione di incredulità per accettare questo continuo ibrido tra real & fake.
A compensare per fortuna c’è l’ironia che ben può apprezzare chi ha visto la serie originale: del resto solo a chi ha seguito le originali vicende di Brandon, Brenda, Dylan, Kelly, Steve, Andrea, David e Donna può davvero interessare questo prodotto altrimenti fuori da ogni logica narrativa (e l’inizio onirico al Peach Pit è quanto di più respingente la mente umana potesse immaginare). Ma l’ironia funziona, diventando il vero collante dell’intera operazione, almeno in questa prima puntata. Vivaddio.
Se volessimo davvero paragonare la serie al mockumentary, direi che siamo di fronte a una ricetta della nonna fatta dai nipoti appassionati di cucina fusion, ma con la battuta pronta.
BH90210 mette davanti alla realtà del tempo che passa
Quando si parla di tempo, il paradosso è sempre dietro l’angolo. In questo caso riportare in tv i protagonisti della serie cult di 30 anni fa non azzera il tempo, lo moltiplica: rivedere tutti (o quasi) segnati da rughe e botulino, tra figli e divorzi, ci ricorda solo quanto tempo è passato e cosa ne abbiamo fatto di questi anni.
La reunion a Las Vegas, spunto narrativo per l’inizio del reboot, è come la porta di Alice nel Paese delle Meraviglie: l’attraversiamo cercando cosa siamo e quanto siamo lontani dall’idea che di noi c’eravamo fatti da adolescenti, come se fossimo i protagonisti della serie che si rivedono sullo schermo, giovani e nel pieno del successo.
Non c’è niente di più duro che affrontare il tempo passato e penso che l’operazione valga per entrambi i ‘lati’ del teleschermo. E per ricollegarmi alla costruzione narrativa, ci sono passaggi talmente parodistici da farmi pensare che Jason Priestley sia perfettamente ‘truccato’ da Brandon invecchiato e non sia semplicemente un cinquantenne segnato dal tempo che gioca di nuovo a fare il teenager.
Va detto, però, che per un tempo ‘esploso’, c’è anche un tempo ‘congelato’, ovvero quello dei sentimenti: nonostante gli anni, sul fronte delle relazioni si resta eternamente 15enni. E in questo BH90210 non fa che fotografare la realtà.
BH90210, vale la pena vederlo?
Per i ’70’s direi di sì: è meglio di una seduta di autoconsapevolezza. E di certo è più onesta dello spin-off (atroce) che fecero nei ’00.
PS. Vale la pena ricordare almeno la ‘classe’ dei protagonisti: Gabrielle Carteris (1961), Ian Ziering (1964), Jason Priestley (1969), Shannen Doherty (1971), Jennie Garth (1972), Brian Austin Green (1973), Tori Spelling (1973). Giusto per capire perché per qualcuno il tempo è passato ‘più in fretta’.