Hill House, recensione in anteprima Blogo della nuova serie Netflix
La recensione in anteprima Blogo di Hill House, la nuova serie Netflix creata e diretta da Mike Flanagan, tratta dal libro del 1959 e che presenta rispetto ad esso numerose ed azzeccate differenze
Tra le produzioni originali Netflix in arrivo ad ottobre, spicca Hill House, il cui debutto avverrà domani, 12 ottobre 2018, in tutti i Paesi in cui il servizio è disponibile. All’apparenza un semplice thriller dalle sfumature horror, la serie in realtà riesce a catturare nel corso degli episodi, sfruttando ma non imitando la fonte letteraria da cui deriva.
Hill House, infatti, è tratto dal capolavoro del 1959 “L’incubo di Hill House” (noto in Italia anche come “La casa degli invasati”) di Shirley Jackson, storia che vede al centro l’esperienza di tre giovani, Eleanor, Theodora e Luke, che si ritrovano a passare un’estate ad Hill House, per volere del professor Montague, che vuole appurare se l’abitazione sia davvero infestata.
La serie tv mantiene lo stesso tono ma porta numerose modifiche: Eleanor (Victoria Pedretti), Theodora (Kate Siegel) e Luke (Oliver Jackson-Cohen), innanzitutto, sono fratelli, appartenenti alla famiglia Crain, di cui fanno parte anche Steven (Michiel Huisman) e Shirley (Elizabeth Reaser), oltre ai genitori Hugh (Timothy Hutton) ed Olivia (Carla Gugino).
Tre i piani temporali su cui ruota la serie: quello del passato risalente al periodo in cui la famiglia si è trasferita ad Hill House ed ha iniziato a sperimentare la sua effettiva infestazione di spiriti malvagi; quella di un passato più recente che racconta come i membri della famiglia abbiano cercato di superare (ognuno a modo suo) il trauma e quello del presente che, complice la scomparsa di uno di loro, costringe i Crain a dover fare nuovamente i conti con quella casa e le sue oscure presenze, che sembrano non averli abbandonati mai.
Non ci si può mai distrarre, durante gli episodi di Hill House: si passa dalla narrazione presente a quella del passato nella casa ed ancora a quella del post-esperienza non troppo velocemente, ma il giusto per poter dare alla narrazione quel ritmo che costringe (per fortuna) lo spettatore a raccogliere le informazioni ricevute ed a costruire il puzzle di una complessa storia, come detto, dalle tinte horror.
A questo proposito, il merito va tutto al creatore della serie e regista, Mike Flanagan, da sempre dietro la macchina da presa di pellicole del genere, come “Absentia”. Flanagan rispetta il materiale della Jackson, ma non si limita a trasportarlo sul piccolo schermo (il libro ha già avuto due rivisitazioni cinematografiche, una nel 1963 ed una nel 1999).
Il suo lavoro è piuttosto quello di una interpretazione a vantaggio di un unico grande tema, quello dell’inquietudine. I protagonisti escono da Hill House con una grande inquietudine di vivere, che si portano dietro in ogni loro scelta, nonostante provino a mascherarla più o meno bene (Steven scrive una saga letteraria di successo tratta da quanto vissuto nella casa; Shirley lavora in un’agenzia di pompe funebri; Theodora è costretta ad indossare dei guanti perché ha poteri extrasensoriali; Luke è diventato tossicodipendente).
Un male di vivere che trova le sue radici in quella casa, che resta l’unico mistero dell’intera serie: un mistero che non importa quanto sia decifrabile, ma che regala allo show momenti di suspense che non sfociano mai nell’horror puro, ma riescono benissimo a tenere con il fiato sospeso il pubblico. L’operazione di Flanagan, insomma, è servita a dare a Netflix una serie che sfruttasse da una parte tutti gli elementi tipici del family drama e, dall’altra, di tingere personaggi e situazioni di colori cupi ed inaspettati: anche nell’era dello streaming, Hill House continua ad inquietare.