Orange is The New Black 5, la recensione in anteprima Blogo (Video)
La recensione in anteprima Blogo della quinta stagione di Orange is The New Black, che vede le protagoniste alle prese con le conseguenze delle loro azioni
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“Benvenuti al Litchfield 2.0”: questa battuta, pronunciata da una delle detenute in una scena chiave, riassume bene la direzione intrapresa da Orange is The New Black nella quinta stagione che, nonostante l’attacco hacker che ne ha rilasciato illegalmente dieci episodi online, sarà rilasciata ufficialmente da Netflix il 9 giugno.
La serie tv, tra le prime delle produzioni originali della piattaforma, necessitava di un po’ di aria fresca, dopo una terza stagione che non ha convinto ed una quarta che, soprattutto nella seconda parte, è riuscita a riprendere il controllo di un racconto che ha sempre mischiato dramma e commedia (tanto da riuscire a comparire in entrambi i generi agli Emmy Awards, anche se non per volere dei produttori quanto per una regola dell’Academy).
La quinta stagione, quindi, deve proseguire questo percorso, e lo fa nella maniera più naturale e folle possibile, sempre in sintonia con il pazzo mondo che Jenji Kohan ha creato e fatto conoscere al mondo, in cui alle reali necessità delle donne protagoniste si affiancano situazioni surreali capaci di sciogliere la tensione in modo sempre originale e creativo.
Innanzitutto, va detto che la quinta stagione tenta qualcosa che la serie non ha mai provato, cioè comprimere l’arco temporale dei tredici episodi all’interno di soli tre giorni, ovvero da quando Poussey (Samira Wiley) viene uccisa da Bailey (Alan Aisenberg) durante una protesta in mensa delle detenute. Avevamo lasciato le protagoniste in subbuglio, mentre Daya (Dascha Polanco) riesce ad impossessarsi di una delle pistole delle guardie, puntandola contro una di loro, tra l’incitamento delle ragazze.
Il Litchfield 2.0 di cui parlavamo in apertura di post è proprio questo: la quinta stagione di Orange is The New Black racconta le conseguenze della rivolta delle donne all’interno del carcere che, tra problemi di comunicazione e difficoltà nel riuscire a fare fronte comune contro il nemico (vale a dire la Polizia che, da fuori, cerca di capire come intervenire per aiutare gli agenti intrappolati nel penitenziario), cambia totalmente aspetto.
Se eravamo infatti abituati a vedere un Litchfield in cui la vita scorreva -per le detenute- monotona, tra corsi scaccianoia ed attività ricreative poco stimolanti, ora le mura della prigione sono diventate teatro di una sommossa che inevitabilmente cambierà le carte in tavola non solo delle protagoniste, ma della serie stessa: rinnovata fino alla settima stagione, sembra che Orange is The New Black ora voglia dare una svolta al proprio racconto, aprendo una pagina differente rispetto alle altre e ribaltando i punti di vista. Ora le detenute non sono più succubi, ma dovranno presto accettare le conseguenze delle loro azioni.
Il mondo che ne esce fuori, però, è quello che la Kohan ci ha già fatto conoscere, composto da personaggi le cui esperienze sono sì differenti tra di loro (i flashback non mancano neanche in questa stagione), ma il cui comune denominatore sembra essere il disagio. Un disagio nel confronto non solo dell’ambiente ostile che li circonda ma anche degli altri, frutto di vite spesso al limite che li hanno segnati e portati in un modo o nell’altro al Litchfield.
Orange is The New Black diventa così sempre più rappresentativo di un’America che fa fatica a farsi sentire ma che c’è, e vuole il rispetto dei propri diritti. E, per ottenerlo, è disposto anche a capovolgere il mondo in cui vive.