Bones, Beatrice Belli (i-Bones) a Blogo: “Da fan della serie tv a Production Assistant: ecco come si lavora nel dietro le quinte”
Blogo ha intervistato Beatrice Belli, fondatrice di i-Bones e Production Assistant della dodicesima ed ultima stagione di Bones. Ci ha raccontato in cosa consista il suo lavoro e cosa accada in una giornata sul set della serie tv
Il nostro viaggio tra gli italiani ad Hollywood, iniziato la settimana scorsa con l’intervista a Gaia Violo, si chiude oggi con l’intervista a Beatrice Belli, la cui storia è degna di nota. Beatrice, nata e cresciuta a Roma, si è sempre appassionata al mondo della comunicazione, così come al mondo delle serie tv. Tra queste, però, è stata Bones a farle scattare una passione che ha superato i limiti del passatempo: nel 2006, contestualmente alla messa in onda della prima stagione dello show su Rete 4, ha fondato il sito i-Bones, che da semplice community per i fan del telefilm è diventato un punto di riferimento per tutti coloro che cercano informazioni sulla serie tv, sul cast e sulle anticipazioni (il sito ha anche una pagina ufficiale Facebook, un account Twitter, una pagina Youtube ed un profilo Tumblr).
La passione di Beatrice per questo show si è presto tramutata in una passione per la produzione televisiva, che l’ha portata, dopo studi specifici, a trasferirsi in America, dove ha iniziato a lavorare nel dietro le quinte di alcuni progetti. Quest’anno, la sua determinazione ed anche un po’ di fortuna le hanno permesso di realizzare il suo sogno, ovvero quello di lavorare proprio sul set di Bones, dove ha collaborato nella realizzazione della dodicesima ed ultima stagione (che partirà il 3 gennaio sulla Fox) in qualità di assistente alla produzione.
Blogo ha voluto parlare con Beatrice, sia per farsi raccontare la sua storia, ma anche per scoprire cosa si celi dietro al lavoro che porta alla realizzazione di una serie tv. Ci ha rivelato in questa lunga intervista (che però vi consigliamo di leggere tutta) un meccanismo ben rodato che, però, richiede tanti sforzi, in cui ognuno deve fare la sua parte: qualche risposta potrebbe sembrare un po’ troppo tecnica, ma scoprire che oltre al set di una serie tv c’è anche un dipartimento organizzativo che lavora per realizzare uno show potrebbe aiutarci a capire meglio il lavoro che c’è dietro anche ogni telefilm.
Ci puoi raccontare brevemente qual è la tua storia? Da dove vieni, cosa hai studiato, come sei finita a lavorare in America?
“Brevissimamente: laurea triennale in Scienze dei Media e della Comunicazione a Roma (Tor Vergata), poi laurea magistrale in Comunicazione per l’Impresa, i Media e le Organizzazioni Complesse presso l’Università Cattolica di Milano con tesi sull’allora nascente tema della Social Tv. Per quasi un anno dopo la seconda laurea, con già alle spalle 3 importanti esperienze di stage di cui 2 all’estero, ho cercato lavoro nel settore a cavallo tra industria televisiva e nuovi media, ottenendo solo offerte per stage non retribuiti. Delusa, ho cominciato a guardare ad opportunità oltreconfine e tramite un’agenzia media italiana ho avuto la possibilità di trasformare la mia attività di blogging sulle serie tv in qualcosa di concreto, iscrivermi all’albo dei pubblicisti e trasferirmi a Los Angeles con un visto da giornalista. Dopo qualche mese che ero lì, la vittoria di una borsa di studio richiesta l’anno precedente mi ha dato la possibilità economica di accedere ad un corso di Producing presso la UCLA a cui aspiravo da tempo e tramite il quale ho nuovamente ‘dirottato’ la mia carriera, sempre orbitante nel campo dell’intrattenimento e dell’industria televisiva, stavolta verso aspetti più pratici della produzione”.
Come ha reagito la tua famiglia di fronte al tuo desiderio di intraprendere una carriera che più delle altre si rivela precaria e rischiosa?
“Sono fortunata perché mi hanno sempre lasciato fare le mie scelte senza interferire e anche quando queste mi hanno portato a 9 fusi orari di distanza mi hanno sempre supportato. Credo che avere una base e delle radici così solide mi abbia aiutato molto ad osare sempre un pochino di più, sapendo di avere sempre e comunque una rete di sicurezza su cui ricadere anche nel peggiore dei casi. E al tempo stesso mi ha dato una motivazione in più per farcela a tutti i costi e ripagare quella fiducia riposta in me”.
Tu sei nota nell’ambiente degli appassionati di serie per aver fondato il sito iBones. Da dove nasce questa tua passione proprio per questa serie tv?
“Vidi il Pilot -quasi per sbaglio- ad una convention di Buffy a Milano e fu amore a prima vista. La cosa buffa è che non ero neanche particolarmente fan di David Boreanaz al tempo, ma il pilot di Bones veniva proiettato nella stessa sala dove subito dopo sarebbe stato proiettato Serenity e volevo accertarmi di avere buoni posti perché avevo sentito che la sala si sarebbe riempita. Mi ricordo ancora distintamente la scena in cui scoccò la scintilla: quando Brennan (Emily Deschanel) scende dalla macchina di Booth perché non lo sopporta e lui la insegue per cercare di convincerla ad aiutarlo con un caso di omicidio. Trovai il ritmo di quella scena con il serrato botta e risposta tra i due a dir poco ipnotizzante: avevo 19 anni, ancora poca cultura televisiva e cinematografica sulle spalle, e dovunque il loro viaggio li avesse condotti ero pronta a seguirli in capo al mondo”.
Il fatto che sia finita a lavorare proprio per Bones è qualcosa che hai cercato tu, o è stata una coincidenza?
“Come potrete immaginare, riuscire a lavorare proprio in Bones era un po’ il mio sogno nel cassetto, ma -realisticamente parlando- con tutte le produzioni che ci sono a Los Angeles, le probabilità di arrivare proprio in quella della mia serie preferita erano davvero molto basse. Avevo già provato a candidarmi come stagista alla vigilia della partenza della stagione 11 ma non mi presero, il che fu probabilmente un bene perché mi ha aiutato a concentrarmi su altre più concrete possibilità. Nel frattempo è trascorso un altro anno, ho fatto 3 ulteriori stage e quando il mio corso alla Ucla si è concluso ed è venuto il tempo di cercare un lavoro ‘vero’, il mio approccio è stato molto pragmatico: pur scegliendo di concentrare la ricerca nel settore delle produzioni televisive perché avevo bisogno di qualcosa di concreto che mi consentisse di pagare l’affitto, quindi ero pronta ad accettare la prima offerta dignitosa che mi sarebbe arrivata. Tra le tante candidature, riprovai anche con Bones. Ormai ci avevo praticamente rinunciato, ma sapevo che se non l’avessi fatto l’avrei rimpianto, così mandai una e-mail anche a loro, quasi per scaramanzia, per poi continuare la mia ricerca come se nulla fosse. Fino a che, cinque giorni dopo… l’impossibile è diventato possibile.”
Beatrice Belli (i-Bones): le differenze tra Italia ed America
Se fossi restata in Italia, avresti potuto svolgere il lavoro che fai ora in America?
“Premetto di non conoscere molto a fondo il mondo delle produzioni televisive italiane perché i miei studi in Italia hanno sempre riguardato altri aspetti dell’industria televisiva, come ad esempio la storia, la legislazione giuridica, i meccanismi economici, i risvolti sociologici, (ecc.) ma non si sono mai spinti nell’ambito della vera e propria ‘physical production’. Detto questo, sono certa che la figura dell’assistente di produzione esista ovunque, magari con incarichi leggermente diversi, ma con lo stesso fondamentale scopo di supportare al meglio gli altri dipartimenti della produzione. Quello che mi domando, considerato il mondo del lavoro in Italia, è se un assistente di produzione italiano sia abbastanza tutelato da riuscire a portare a casa uno stipendio quantomeno dignitoso con cui potersi pagare un affitto. Se la risposta è no, allora probabilmente avrei comunque lasciato l’Italia. Perché partire dal basso per fare la cosiddetta ‘gavetta’, cominciando con incarichi umili e lavorando orari massacranti va anche bene (all’inizio), dopotutto è quello che sto facendo qui negli Usa, ma anche l’ultimo assunto ha diritto alla dignità di potersi sostentare autonomamente tramite quel lavoro, cosa che in Italia ci dimentichiamo un po’ troppo spesso…e poi ci lamentiamo che i trentenni stanno ancora a casa con i genitori.”
Si dice che in America viene data una possibilità a tutti (il “sogno americano”) e che vige molto la meritocrazia. Tu come ti sei trovata quando sei arrivata e ti sei messa in cerca di un lavoro?
“Mah. Non lo so. Per quella che è stata la mia esperienza ho notato più meritocrazia, è vero, ma nel complesso l’idea del ‘sogno americano’ a cui siamo esposti attraverso i film e la cultura popolare non è più molto attuale, un po’ come l’idea che hanno loro dell’Italia e degli Italiani si è fermata agli stereotipi della coppia in Vespa di ‘Vacanze Romane’. Sarebbe un discorso troppo lungo e complicato da fare, che vi risparmio volentieri.”
Immagino che la tua reazione, quando hai capito che avresti lavorato in Bones, sia stata di grande euforia: ti ricordi il tuo primo giorno di lavoro?
“Ricordo esattamente il momento in cui ho ricevuto la telefonata in cui mi veniva comunicato che mi veniva offerto il lavoro: ho consumato le suole delle scarpe a forza di camminare avanti e dietro sulla strada pedonale di Westwood mentre, al telefono, raccontavo la buona novella a pochi intimi: non riuscivo a star ferma per l’emozione, mi sembrava di camminare a un metro da terra! I giorni successivi sono stati molto frenetici anche perché ero nel mezzo di un trasloco e del primo giorno in sé non ricordo moltissimo, solo tante scartoffie da compilare e la difficoltà nel cercare di ricordare i nomi di tutte le persone che mi venivano presentate, o quantomeno i loro ruoli. Con il tempo, poi, frequentandoli, li ho imparati tutti, ma i primi giorni è stata dura.”
Beatrice Belli (i-Bones): la mia giornata sul set di Bones
Esattamente di cosa ti occupi, qual è la tua giornata tipo a lavoro?
“Il ruolo dei PA (Production Assistant) dell’ufficio di produzione è quello di essere di aiuto e di supporto a tutti gli altri dipartimenti affinché questi possano svolgere al meglio i loro compiti, il che comprende un po’ di tutto, come ad esempio rispondere ai telefoni, recapitare la posta, tenere ordinate e rifornite cucina e cancelleria, distribuire e archiviare documenti e copioni, preparare le sale per le riunioni e mantenere aggiornati i report dal set e così via dicendo. La nostra giornata lavorativa consiste mediamente di 11 ore (varie volte abbiamo toccato le 12, ma difficilmente ce ne vengono chieste di più perché altrimenti si sconfina nello straordinario) e siamo organizzati su tre turni: il primo turno deve attaccare prima della crew e può iniziare anche alle 6 di mattina, il secondo turno attacca in genere allo stesso orario della crew e il terzo turno deve essere programmato in modo da finire almeno un paio d’ore dopo l’orario preventivato per la fine delle riprese. Giusto per darvi un’idea, gli ultimi giorni in cui hanno girato in notturna, ho fatto terzi turni che andavano dalle 18 di sera alle 6 di mattina. Raro, ma è capitato.
La routine della mattina consiste nell’aprire gli uffici, preparare il caffè, distribuire i documenti lasciati la sera prima, all’occorrenza andare a prendere le colazioni per i produttori. Se è prevista qualche riunione, è compito nostro preparare la sala conferenze con il materiale adeguato (per alcune riunioni servono le lavagne bianche, per altre i plastici o le foto delle location, per alcune bisogna stampare nuovi copioni, per altre bastano solo le copie delle schedule, ecc) e apparecchiare la tavola per il buffet. Il lunedì quando arriva il camion del supermercato a recapitare la spesa della settimana tocca a noi sistemare tutto al suo posto, mentre gli acquisti di cancelleria possono arrivare in qualsiasi momento del giorno con qualsiasi corriere.
La giornata tipo è solitamente scandita dagli aggiornamenti che ci arrivano dal set, da dove ci comunicano l’inizio delle riprese, l’orario in cui si passa ad una scena successiva, il numero di setup effettuati, i minuti di girato ed altre minuziose informazioni che noi PA dobbiamo annotare in appositi moduli e diffondere via email a chi di dovere, oltre che caricare sui server della Fox per essere a disposizione di tutti. Alle 11.30 uno di noi PA viene incaricato di partecipare al ‘Lot Meeting’, una riunione in cui tutte le produzioni dello Studio devono fornire informazioni sui loro movimenti per il giorno seguente così che (ad esempio) sapendo che New Girl girerà in esterna sull’avenue G, Bones farà in modo di avvisare il suo personale di passare su una strada secondaria per spostare le sue telecamere da uno stage all’altro. Entro mezzogiorno in cucina dobbiamo aver disposto il tavolo del buffet del pranzo per sceneggiatori e personale d’ufficio.
Una dei momenti più delicati della giornata è l’arrivo di nuove pagine revisionate o di un nuovo copione. In genere ci avvisano con un po’ di anticipo in modo che possiamo preparare la carta del colore giusto nelle fotocopiatrici perchè quando arriva l’email dobbiamo essere velocissimi a stampare, assemblare e recapitare ad ogni membro del cast e della crew il proprio copione con tanto di etichetta personalizzata. Alle 15 è tempo della ‘Lot Run’, ovvero un giro di tutti i maggiori edifici dello studio per recapitare o raccogliere posta, pacchi, materiali e quant’altro.
Anche sul set o al basecamp (il luogo in cui sono parcheggiati i trailer degli attori e degli Assistant Director) capita spesso di dover passare, per accompagnare qualcuno (ed evitargli la camminata sotto il sole cocente) o consegnare qualcosa. Per coloro che restano fino a tardi in ufficio la cena è alla carta, e nostro il compito di raccogliere le ordinazioni e andare a prendere il cibo presso i ristoranti di zona pagando con le bellissime American Express aziendali.La routine serale prevede la preparazione delle sides e la distribuzione delle call sheet per il giorno successivo, un ciclo di lavastoviglie, rifornire di carta stampanti e fotocopiatrici, chiudere gli uffici e mettere in carica i golf cart elettrici con cui ci spostiamo per gli studios. Poi non manca mai l’occasionale commissione al supermercato per comprare qualcosa che ci si è dimenticati di inserire nella lista della spesa settimanale o a casa di quella o quell’altra persona quando è troppo tardi per chiamare un corriere. Storie di ordinaria amministrazione. Insomma, cose da fare difficilmente ne mancano, ma essere 3 persone intercambiambili nello stesso ruolo di certo aiuta”.
Prima di lavorare in Bones hai lavorato ad altre produzioni?
“Sì, per diversi mesi sono stata l’assistente di una sceneggiatrice/produttrice durante la pre-produzione della sua serie indipendente che però non è stata mai finanziata. Poi ho avuto una bellissima -seppur breve- esperienza a Londra alla Big Light Productions di Frank Spotnitz mentre la writers room di The Man in The High Castle sviluppava la seconda stagione e ho contribuito con alcune ricerche storiche allo sviluppo di una possibile stagione 2 de I Medici, mentre la produzione della prima volgeva al termine. Di nuovo a Los Angeles, alla Lin Pictures ho indirettamente seguito la produzione dei pilot di Frequency (The Cw) e la serie tv di Lethal Weapon (Fox)”.
Cosa ti ha colpito di più della lavorazione ad una serie tv che non ti saresti aspettata?
“La perfetta simbiosi tra i diversi dipartimenti della produzione. Comprendere questo concetto sulla carta è un conto, ma vederlo quotidianamente messo in pratica mi ha letteralmente affascinato. Tutto ovviamente parte dalla writers room: quando l’episodio è pronto, viene passato al Production Office che lo stampa e lo distribuisce inizialmente solo ai capi dei vari dipartimenti. Sulla base di questo prima bozza confidenziale viene organizzato un ‘concept meeting’ dove le prime idee vengono portate al tavolo, dove showrunner, produttori e il regista di turno cominciano a definire i dettagli di quello che dovrà diventare l’episodio finito. Poi ognuno torna al suo dipartimento e si butta a capofitto nel suo compito: il casting deve ingaggiare gli attori e il guardaroba deve procurare loro i costumi adatti; i location manager devono trovare le location, sulla base delle quali art department e set dressing devono pianificare e costruire i set, mentre il dipartimento dei props si occupa di popolarli degli oggetti di scena, eventualmente da coordinare con il team degli effetti speciali se necessario; il tutto mentre produttori e AD cercano di incastrare i calendari e far tornare i conti e il regista pianifica angolazioni e movimenti di camera. E tutto il ciclo si ripete instancabilmente senza pausa e senza eccezioni ogni 8 giorni lavorativi, termine entro il quale l’episodio deve andare in scena e la preparazione per il successivo deve cominciare.”
Beatrice Belli (i-Bones): il dietro le quinte di Bones
Avrai avuto occasione di girare per il set della serie e di ficcanasare qua e là… Come descriveresti il set di Bones rispetto a quello che vediamo in televisione?
“Il set del Laboratorio era (purtroppo hanno già smontato tutto prima di Natale) qualcosa di spettacolare, persino più bello di come si vede in tv, dalla piattaforma agli uffici al camminamento sopraelevato erano tutti ambienti ‘veri’, non solo pannelli di legno appoggiati lì per l’occasione, ma vere e proprie stanze. L’unica cosa meno glamour di della versione tv era il pavimento, non esattamente composto di marmo lucente come ci suggeriscono i nostri schermi. Molto bello anche il set dell’Fbi, peccato solo che non è mai stato particolarmente sfruttato fotograficamente a causa degli spazi non grandissimi e il maggior numero di pareti a limitare lo spazio per i movimenti di camera”.
Ti devo fare la domanda che tutti vogliono farti (e che sicuramente qualcuno ti avrà già fatto): hai incontrato David Boreanaz, Emily Deschanel o il resto del cast, e che impressione ti hanno fatto?
“Seguendo la serie e i protagonisti da diversi anni anche dietro le quinte, avevo un’idea già abbastanza precisa di che tipo di persone aspettarmi e da quel punto di vista non ci sono state grandi sorprese. Anche se -diciamoci la verità- non è che io personalmente abbia avuto chissà quali interazioni con loro…anzi. La cosa che più di tutte mi ha colpito, comunque, specialmente all’inizio quando vedermeli davanti in carne ed ossa mi creava sempre un piccolo tuffo al cuore, è stata la realizzazione che, dopotutto, sono esseri umani come noi. Non che prima non lo sapessi, ovvio, sono anzi sempre stata contraria alla ‘deificazione delle celebrità’, ma quando sei abituato a vederli sempre e soltanto attraverso uno schermo, magari a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, inevitabilmente finisci per considerarli entità irraggiungibili e inavvicinabili. E invece poi cominci ad incrociarli ogni giorno per gli studios, a imparare che macchina guidano, a vederli interagire con lo spazzino o la controfigura, a scambiarci tu stesso un buongiorno o buonasera, ed ecco che diventano persone normalissime come tutti noi”.
Quella che si è appena finita di girare è l’ultima stagione di Bones: che clima si respirava sul set?
“È stato buffo perché quasi fino all’ultimo tutti cercavano di far finta di niente, che non gliene importasse nulla, qualcuno addirittura scherzava su come non vedesse l’ora di trovare qualcosa di meglio. Gli ultimi giorni della produzione, però, tutti i nodi sono venuti al pettine. C’è stata come una realizzazione collettiva che quel viaggio lungo 12 anni fosse in procinto di volgere al termine e ogni momento è diventato l’ultimo del suo genere: l’ultima scena al Royal Diner, l’ultima ripresa nello stage 9, l’ultimo giorno degli Squintern, l’ultimo giorno di riprese alla Fox, l’ultimo wrap party, l’ultima volta al Jeffersonian, l’ultima scena con B&B, l’ultima ripresa con Emily e infine l’ultimo ciak, alle 5 di mattina del 15 dicembre.”
Permettimi la domanda indiscreta, ma finito di lavorare a Bones sai già se lavorerai a qualche altra serie tv?
“Piacerebbe saperlo anche a me! Spero proprio di sì, al momento sono ancora in cerca del prossimo impiego, punto molto sulle serie che cominceranno la produzione in gennaio, anche perchè sennò a nuoto mi tocca tornare in Italia!”
Da quest’esperienza, cosa speri di imparare per il tuo futuro professionale?
“Devo confessare di aver imparato molto più di quanto avrei potuto sperare, sia da un punto di vista ‘tecnico’ e professionale, ma anche e soprattutto da un punto di vista umano e caratteriale. Le difficoltà non sono purtroppo mancate, ma nonostante lo sconforto del momento, anche quelle hanno contributo ad insegnarmi qualcosa e a forgiare il mio spirito in vista di nuove avventure”.
Ormai sei in America da molto tempo… Come viene percepita dagli addetti ai lavori e non la produzione seriale italiana, in un periodo in cui alcune nostre serie sono sbarcate o stanno per sbarcare negli Stati Uniti, come I Medici, Gomorra-La serie (nominata tra le migliori serie internazionali dell’anno dal The New York Times) e The Young Pope?
“Per quella che è la mia percezione, finora sono state trattate come gli Americani trattano tutto quello che è italiano, ovvero come un prodotto estremamente raffinato che solo persone di una certa classe e cultura possono davvero apprezzare. Allo stesso modo anche le serie che tu hai citato non sono neanche proposte alle masse, ma vengono direttamente riservate ad un pubblico di nicchia che ne possa apprezzare lo stile non propriamente mainstream. Almeno questa è la mia impressione, poi magari mi sbaglio.”
Hai un consiglio da dare a tutti quelli che, come te, da una passione così bella ma particolare vogliono ricavarne un lavoro?
“Il consiglio migliore che mi sento di poter dare è di coltivare sempre la propria passione con serietà e professionalità, per quanto piccola o di nicchia che sia. Alimentarla con costanza e determinazione ed essere pronti a seguirla dovunque questa ti condurrà senza troppe pretese di riuscire a domarla o indirizzarla, ma con la predisposizione ad accogliere gli spunti e le opportunità che ti suggerisce lungo il cammino, per quanto questi sembrino deviare dall’idea del tuo percorso originale. Non è facile. Richiede tempo, dedizione, determinazione e spesso purtroppo anche denaro. Talvolta ti sembrerà uno spreco di energia e talvolta l’apparente assenza di risultati esaspererà la tua frustrazione e ti spingerà a voler mollare tutto. Spesso e volentieri si ridurrà tutto ad una mera questione di fortuna. Il classico trovarsi ‘nel posto giusto al momento giusto’: non puoi sapere quando sarà, ma puoi lavorare per creare le condizioni giuste per farla accadere.”