Olimpiadi in tv, Fabio Tavelli a Blogo: “Non avere diritti tv stimola fantasia. Lia Capizzi unica inviata Sky a Rio, ma ne vale almeno cinque”
“Non dico che sia meglio non avere i diritti che averli, perché non è così. Però ci ‘costringe’ a cercare storie. E questo fa la differenza”
Continua su TvBlog il ciclo di interviste a giornalisti sportivi che raccontano in tv le Olimpiadi. Oggi è la volta di Fabio Tavelli, che conduce su Sky Sport24 HD Vivendo Rio, l’appuntamento quotidiano dedicato proprio ai Giochi Olimpici in pieno svolgimento in questi giorni in Brasile.
Nello studio di Milano il giornalista classe 1969, che quattro anni fa a Londra gestiva con Eleonora Cottarelli lo studio di continuità (all’epoca Sky aveva i diritti dell’evento sportivo e ne trasmetteva tutte le gare), commenta e approfondisce i temi olimpici con i colleghi Giovanni Bruno, Francesco Pierantozzi e ospiti dal mondo dello sport come Luigi Mastrangelo, Martin Castrogiovanni, Andrea Zorzi e altri. A Rio, e più precisamente a Casa Italia, per la pay tv c’è solo una inviata, Lia Capizzi.
Tavelli, che da Milano ha condotto anche programmi di approfondimenti per le Olimpiadi invernali di Vancouver (Oro obiettivo Olimpiade) e di Soči (Olympic Room), è impegnato anche in giro per l’Italia con Quando Ero Cassius, monologo teatrale che racconta la storia di Cassius Clay prima della conversione all’Islam (riparte a fine settembre). E su Sky Sport F1 HD è alla guida di Race Anatomy di cui “siamo contentissimi perché ha decuplicato gli ascolti“.
A Vivendo Rio raccontiamo quello che succede a Rio, con evidentemente tutti i limiti derivanti dal fatto di essere non rights holder. Cerchiamo di dare un taglio curioso, andando a pesare, oltre che a contare, le medaglie. In base agli sport individuali e quelli di squadra, a quelli in cui c’è un giudice e quelli in cui c’è il cronometro, al rapporto tra la percentuale di popolazione che fa sport e il numero di medaglie conquistate.
Qual è il limite maggiore nel raccontare un evento sportivo senza averne i diritti tv?
Nel 2000 a Sidney ho seguito le Olimpiadi da non rights holder. Ero inviato di Radio 24, è stata un’esperienza clamorosa. Non dico che sia meglio non avere i diritti che averli, perché non è così. Però stimola molto la fantasia, ci ‘costringe’ a cercare storie. E questo fa la differenza. Quando puoi trasmettere le gare il tuo compito da giornalista tutto sommato è quello di lasciare la linea alla gara, che è di molto superiore al commento e alla analisi. Rispetto a Londra non abbiamo 12 canali da riempire e un commento costante di 24 ore, ma a noi questo non preoccupa. Cerchiamo di andare oltre la gara, prima e dopo. Per questa edizione, abbiamo a Rio Lia Capizzi, bravissima e preparatissima. Abbiamo un solo inviato, è vero, ma Lia è un inviato che ne vale almeno cinque.
Avete a disposizione solo pochi secondi di immagini…
Sì, ma non possiamo fare una corsa su questo aspetto. Se noi avessimo dei diritti di secondo livello, di serie B, allora ok, ma invece non li abbiamo proprio e quindi facciamo un’altra cosa… perché siamo costretti.
Nelle tue due esperienze olimpioniche in loco, Sydney e Londra, quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate?
A Sydney ero da solo, avevo un entusiasmo pazzesco e cercavo di seguire qualunque cosa. Ed è stato fisicamente devastante: il fuso orario era quasi completamente ribaltato, non dormivo mai. A Londra la difficoltà era soprattutto legata alla concentrazione: molte ore di studio, dodici canali sempre aperti, dovevamo cercare di non sbagliare mai. Per fortuna ci siamo riusciti, entrando sempre nel momento più importante di ogni gara: dovevamo decidere in pochi secondi dove andare, quanto rimanere e che pezzo di gara prendere. E nei primi giorni, quando ci sono tante gare in contemporanea, è molto complicato; si rischia di andare in pubblicità e di perdere la medaglia. Quindi è importante conoscere molto bene tutte le discipline per capire come sta andando la gara. Dal tennistavolo al karate, dal canottaggio a tutto il resto.
Ti è mai capitato di dover commentare uno sport o il successo di un atleta di cui conoscevi ben poco?
Per fortuna no, perché a Londra avevo la possibilità di dare la linea al collega che faceva la telecronaca. Per me era facile, se la doveva smazzare lui.
Questa volta, per Rio, no…
No, ma è anche vero che noi non trasmettiamo le Olimpiadi. Questo pericolo non c’è, anche perché andiamo in onda dalle 13 alle 14 quando a Rio non si gareggia.
Un giornalista deve seguire per la prima volta le Olimpiadi. Cosa gli consigli di fare
Parlare bene inglese, per comprendere quello che sta succedendo e sapersi spiegare. Poi, è evidente, devi conoscere la materia, e questo non è semplicissimo perché può essere che per motivi aziendali tu debba seguire uno sport del quale non hai mai visto un evento dal vivo. In generale il mio suggerimento è di aver sempre tanta curiosità, di non fermarsi alle cose più evidenti, ma di cercare un risvolto diverso e di scoprire le storie.
Cosa invece gli consiglieresti di non fare assolutamente?
Non c’è nulla da non fare. Aggiungo invece che se devi seguire un evento che dura dai 15 ai 28 giorni devi arrivarci preparato fisicamente. Non è una gara di velocità. Dopo la prima settimana pensi di non potercela fare, ma quando ti mancano 2-3 giorni ti dispiace che finisca. Io l’ho detto al mio direttore: sarei pronto a farne 2-3 di fila di Olimpiadi. È talmente bello che la stanchezza viene cancellata. Poi torni a casa e dormi 3 giorni, ovviamente (ride, Ndr).
Qual è lo stato di salute del racconto degli altri sport (no calcio) nella tv italiana oggi?
Si dice sempre che questi sport ricompaiano miracolosamente ogni 4 anni. È abbastanza vero in alcuni casi, in altri no. Per esempio, il pugilato noi in questi anni lo abbiamo trasmesso tanto: Clemente Russo, Cammarelle, Valentino, Mangiacapre sono diventati anche personaggi. Poi, è chiaro, ci sono altri sport di cui oggettivamente perdi traccia perché non hai eventi così interessanti da trasmettere. Non è giusto che certi sport vengano trattati ogni 4 anni, è vero, ma fino ad un certo punto. Non faccio nomi, perché non voglio essere offensivo, ma i tornei di alcuni sport sono molto locali. E non dimentichiamoci la componente del tifo: lo spettatore guarda un evento perché c’è un italiano che può vincere. Detto questo, a me sembra che la Rai, anche per doveri istituzionali, sia molto vicina ad alcune discipline che consideriamo minori o dimenticate. Quindi non è vero che si parla solo di calcio e di motori…
E dal punto di vista della qualità credi che il livello sia soddisfacente?
Credo si debba fare molto di più. Ho il sospetto che molte volte si scarichi la responsabilità su chi gli eventi li trasmette, mentre bisognerebbe chiedersi se dirigenti e federazioni facciano il massimo per promuoverli o per promuovere loro stessi a livello personale. Io sono convinto che esista un grandissimo problema di classi dirigenti: la gestione del potere – piccolo a livello macro, grande a livello micro – fa sì che sia più interessante mantenere in versione minore certi eventi piuttosto che ingrandirli col rischio di perderne il controllo.
Il giornalista televisivo che riesce a fare meglio di tutti gli sport (no calcio) chi è, secondo te?
A me piace molto Franco Bragagna (Rai, Ndr), lo trovo veramente bravissimo.
Il tuo pronostico sulle medaglie italiane a Rio.
Che l’Italia ne vinca 25 o 28 a me interessa fino ad un certo punto. Mi interessa che le vinca in discipline molto praticate. Sarebbe bello che l’atletica tornasse a darci qualche soddisfazione, che la pallavolo riuscisse a vincere l’oro che neanche con Velasco siamo riusciti ad ottenere.
Oltre agli azzurri, per chi fai o hai fatto il tifo?
Ho fatto il tifo per Alessandra Perilli per il tiro al volo, che non è neanche italiana. È di San Marino. Arrivò quarta a Londra, sarebbe stata la prima medaglia nella storia di San Marino. E sarebbe stata una bella storia da raccontare.
A proposito di belle storie, il tuo pronostico sul personaggio di cui si parlerà a Rio.
Mi piacerebbe che facesse un bel risultato Catherine Bertone, la maratoneta di 44 anni che fa la pediatra a Torino. È una storia olimpica meravigliosa.