Carramba che sorpresa, Gli esami non finiscono mai, Furore, Libero, Bombay, questi sono alcuni dei titoli che sono stati firmati dall’ospite e padrone di casa oggi qui su TvBlog nella nostra rubrica “Fuori gli Autori”: Giovanni Benincasa. E’ lui oggi a prendere in mano penna e calamaio per raccontarci il mestiere di autore televisivo, lui che si è dato anche alla creazione di un “app” per cellulari chiamata Bignomi (per iphone e android) che serve ad imparare la storia e la letteratura, grazie ai VIP, che attraverso dei video danno delle pillole informative sui più svariati contenuti scolastici. Ma torniamo alla nostra rubrica e spazio ora a Giovanni Benincasa.
Creazioni di Solitudini
Mi hai mandato il tuo curriculum.
Sei giovane, beato te. Scrivi che sei molto motivato, che ami gli animali, che sai usare Excel e Word e proprio con Word mi alleghi due idee per programmi che io nemmeno guarderei.
Hai studiato qua e là. Prime e seconde esperienze qui e lì. Aggiungi che vorresti fare il regista o l’autore e sogni di realizzare programmi con grandissimi ascolti.
Poi scrivi che sai andare a cavallo. E qui, ho riso.
Nella mail di presentazione mi chiedi anche consigli, ma io sono l’ultima persona al mondo che può suggerirti qualcosa di definitivo. Certi dubbi mi succhiano ancora il cervello. Posso però raccontarti le mie sensazioni, le mie convinzioni e mettere un po’ d’ordine sulla tua scrivania.Ti sarai accorto che la televisione non è più il Centro.
Molti anni fa la tv riuniva, oggi disperde: le case sono piene di solitudini che guardano schermi in salone, in cucina, in camera da letto.
C’è ancora una forma di aggregazione per gli eventi sportivi e per alcuni spettacoli, qualche Serie, ma eventi. Alla fine la Grande Offerta ha spento il focolare. E’ un fatto negativo? No, è solo un cambiamento. Un bel cambiamento.
Questa creazione di solitudini ha reso il mercato molto più difficile per alcuni e molto più semplice per altri. Una generazione cresciuta con Walter Chiari – chiedi a tua madre – avrà oggi un palato più esigente, lo stesso che continua ad apprezzare il pollo ruspante e non quello in batteria. Una generazione cresciuta invece con (Nonmiviene Ilnome) si accontenterà di prodotti facili e plastificati, e vivrà l’illusione che anche lui potrà fare quello che fa (Nonmiviene Ilnome). Devo però dirti che il web ha le sue prestigiose eccezioni, anche se alcuni estimatori di quel pollo ruspante non riescono ad apprezzare certe piccole novità.
Mi segui? E’ come se quella generazione di telespettatori fosse andata a scuola di televisione e si sia, appunto, passivamente “formata”. Al resto del pubblico è come se mancassero le basi, tanto che nei più giovani un video in bianco e nero crea spesso scompensi estetici e di rifiuto. Ecco, il ginnasio della televisione. Quello era il greco, era il latino, e adesso, e dopo?
Dopo forse non ci sarà più differenza tra gusto e “sentimento del gusto”.
Per esempio la forma. Se io ho Walter Chiari con un monologo di 15 minuti (lo so, fai fatica a crederlo) non ho bisogno di staccare le camere e di fare piani di ascolto per ottenere ritmo. Lascio la camera fissa su di lui. Perché? Ma perché ho Walter Chiari, no? Il ritmo è nel contenuto. E’ vero che di là non c’è niente, è vero che nessun triangolino bianco – chiedi a tuo padre – mi ha informato che di là sta iniziando Gomorra, ma vale sempre il principio che ho Walter Chiari.
Stesso discorso per Fiorello, anzi un po’ di più: Fiorello è il format di se stesso e, rispetto a Chiari, fa ascolti da capogiro contro il Resto del Mondo. Ma è un Evento.
In quegli anni l’organizzazione del varietà era diversa: il regista era il sommo Autore del prodotto. Ed era Antonello Falqui. Cercalo.Non si tratta di affermare che la televisione non è più quella di dieci anni fa. Se è per questo, la tv non è nemmeno più quella di tre – e sottolineo tre – anni fa.
Guardati al volo un vecchio video del traffico nelle nostre città. Hai visto le macchine? Quei modelli di auto andavano in giro come se niente fosse: indisturbate e orrende. Senza nessuno che dicesse: ma cos’è questa roba? Sono quasi sempre macchine con forme oggi improponibili, eppure quando uscirono sul mercato sembravano giuste e contemporanee. A parte la Duna.
Questo succede anche con i programmi. Vedere oggi una trasmissione degli anni 80, anche la più celebrata, ci fa inorridire per lentezza e per quel sapore di tappo che non va più via.
Forse devi fare questa valutazione per il tuo futuro da uomo di televisione: la settimana che vivevamo negli anni 80 o 90, ma anche nei primi spiccioli del 2000, non è la settimana che viviamo oggi. Un programma che nel 1997 andava in onda ogni giovedì era un programma settimanale. E nella nostra testa erano passati 7 giorni. Ora ti domando: tu non hai la sensazione che oggi una settimana duri un mese?
La mia paura è che un programma settimanale farà sempre più fatica a sopravvivere, ma te lo dico al di là della spietata concorrenza. Sei talmente bombardato di fatti, notizie, distrazioni e offerte, che il tempo televisivo si è dilatato e disperso. Lento e veloce. Potrei definirla una relatività del tempo televisivo, ma non lo faccio.
E’ anche il nostro orologio interno a cambiare. Tu sei giovane e ricorderai che la scuola era un binario infinito: quel viaggio da Settembre a Giugno era interminabile. Dentro di te passavano due anni, vero? Invece erano solo 9 mesi. Sappi che le cose cambieranno sempre: dopo i 40 anni, il tuo anno solare durerà 11 mesi, e dopo i 50 durerà 10, e ancora di meno quando, quando, quando.
La combinazione tra quello che ti cambia dentro e quello che cambia fuori crea uno strano corto circuito: vari scompensi vissuti a seconda dell’età di chi guarda e a seconda della sua formazione “passiva”. Se poi calcoli che in un anno solare sgomitano due stagioni tv, sappi che in dieci anni sono passati quasi vent’anni di televisione.
Per seguire questo cambiamento perenne, per galleggiare sulla memoria, penso che una certa televisione dovrà essere necessariamente quotidiana, con una proposta variabile sulla durata della programmazione e sulla durata del prodotto. Al limite, ma proprio al limite, potrai proporre quelle cangurelle palinsestuali che ti mandano in onda nei giorni pari o in quelli dispari. Altrimenti, il ricordo di quello che farai sarà a rischio.
Anche perché con le forme dello spettacolo non sarà mai possibile l’abbuffata delle nostre amatissime Serie che facciamo su Netflix. Questa insaziabilità è evidente – ed è già preistorica, fatti salvi i collezionisti – quando alcuni di noi, fino a poco tempo fa, compravano il cofanetto di quella determinata Serie e si sparavano 5 puntate in piena notte. Ma questa è un’altra tv ed è – devo dirtelo – bellissima. Vedi che alla fine il tuo orizzonte è più largo.
In fondo prima guardavamo un lago. Oggi il mare.Dimentica però la tv dei 20 milioni di telespettatori. Lo so che lavorare per quei numeri produce un’adrenalina incalcolabile. C’era un’altra tensione, un altro approccio, un altro valore. Soprattutto, c’era solo Quello.
Negli anni Sessanta voler diventare Guido Sacerdote (cercalo) era qualcosa di forse irraggiungibile, o addirittura impensabile, ma ora devi invece trovare pace e abituarti a una macchina molto più normale. A volte, purtroppo, quasi esecutiva.
Oltre agli animali a te piacciono i comici, hai scritto, ma non hai fatto esempi. Verdone? Zalone? Brignano? Chi? Oggi a soffrire in tv sono proprio loro, i comici o i presunti tali: inflazionati, tormentonizzati, sperperati. Ci hai mai fatto caso? Se tu guardi un comico al cinema la tua risata è trascinata e amplificata dal pubblico in sala.
Nella stanza di casa tua quel comico è solo e nudo davanti a te: se è bravo, molto bravo, tu non ridi. Sorridi.
Del resto ci vogliono mille comici per fare un Troisi.
Poi magari arrivano gli amici, vi spostate tutti in salone ed ecco che riprendete tutti a ridere, come un gregge deviato da quella platea cinematografica. Le risate finte nascevano anche per questa esigenza di supporto. E forse a volte servirebbero anche alla tua, alla mia, alla nostra vita.
Così, il modo di guardare è stato piano piano condizionato dalle nuove forme della pubblicità e dagli anni che passano, creando altre abitudini e altre esigenze: ritmo, velocità, sorpresa. Il che non è sbagliato. Succede anche in letteratura. Io se oggi vedo un punto e virgola, per esempio, svengo.
All’inizio la connessione sul tuo pc era lenta e tuo fratello maggiore aspettava paziente il cambio della pagina. Oggi se rallenta un minimo tu cominci a tamburellare o a sbattere il mouse quasi in preda a una crisi. Mi scrivi che vorresti fare anche il regista. Bene, prendi però nota di questo. Per dare ritmo, per creare “immagine”, spesso si fanno riprese sussultorie e ondulatorie: la telecamera, soprattutto mentre uno parla – talk o show – entra nello spazio da un soffitto di luci e cavi nervosi, scende sulla platea sfiorando le teste e squinta su pezzi di scena laterali fino a raggiungere la faccia di chi sta parlando.
Poi la riabbandona e risale facendo il percorso inverso, e perdendo anche lo stacco su un ospite che in quel momento ha fatto la domanda essenziale, la domanda del trimestre. Questo perché in molte cabine di regia manca chi ascolta e chi sa ascoltare. E, quindi, staccare. Uno dei più bravi rimane Ermanno Corbella, per me. Cercalo.
Ecco, se un giorno riprenderai un prestigiatore mentre sta facendo il suo numero, tu non staccare mai su quella Gioconda seduta in prima fila. Perché io ti verrò a cercare. E non ti voglio parlare di quei programmi bui, tetri, che invece di svegliarti ti chiudono gli occhi, e infatti taccio. Non ti sto dicendo che la cura estetica sia un’eresia. Figurati. Ti basterà vedere la finale di X Factor per cambiare opinione sui colori del mondo. Pensa che anni fa non si poteva fare un programma e riprendere un balletto se mancava la steady, oggi senza spy-cam non puoi andare in onda. E così ancora. Per molto tempo, quanto cinema represso, quanti registi insciarpati, quanta voglia di 16:9 in un nativo 4:3.
Poi finalmente è arrivato, il 16:9. Ti dico solo che quando apparvero le prime bande nere mia madre batteva la mano sul televisore per ripristinare l’immagine piena. Finalmente anche i televisori sono cambiati e continuano a cambiare, come del resto anche noi: fino a qualche anno fa entravo a casa e aprivo subito la pagina 533 del televideo. Adesso, apro il computer.
E’ vero, molta tv oggi ripete sempre se stessa ma qua e là ci sono piccole e grandi delizie: io per esempio mi diverto con Unti e Bisunti e Chef Rubio e trovo che alcune puntate di Masterchef siano un grande esempio di narrazione e impaginazione, per non parlare della finale di X Factor, come ti ho già detto: un capolavoro di messa in scena. Il regista è Luigi Antonini. Cercalo.
Oltre al prodotto, in futuro cerca di lavorare anche sulla scuderia: sui cavalli, per farti capire, sui piloti. Io posso costruire macchine bellissime ma se sbaglio il pilota rimango per strada. E viceversa.
E’ vero purtroppo che il Sistema ha sempre dato più peso alle facce che alle teste. E infatti si vede: non esportiamo niente. Molti conduttori sono ancora in onda senza avere più il luccichìo della contemporaneità. In passato ha sempre fatto eccezione Baudo: nessuno ha mai avuto la sua preparazione globale, la sua posizione in campo e quell’essere così informato da spiazzare un trentenne. Lui per molto tempo ha fatto parte dell’ABC televisiva. Non mi fraintendere. Per ABC televisiva intendo le iniziali di quei 3 uomini di televisione – Arbore, Baudo, Costanzo – che hanno inventato e lanciato personaggi che ancora sono in giro, fanno tv o sono rimasti contemporanei. Loro tre rappresentano la massima espressione nella creazione di un valore che, per alcuni, è ancora vivo: pensa a Frassica, a Grillo, a Mastandrea. E quanti altri.
Ti faccio un esempio. Pochi anni fa quei pazzi di Sky hanno investito su un ragazzo ancora trasparente ma bravissimo: Alessandro Cattelan. Gli hanno dato in mano una spaventosa macchina televisiva – pazzi – che poteva diventare il fiore all’occhiello della piattaforma, parlo di xFactor, e l’hanno fatto con un doppio passo: trovare quella x non solo nei cantanti ma anche nel conduttore. Ci sono riusciti, tanto che il valore di Cattelan oggi è molto più alto. No, un po’ di più. Sono stati, cioè, creatori di valore.
Io, se domani andassi da un editore con uno sconosciuto Cattelan per dire: guarda che è bravo, guarda che è bravissimo: è un “purosangue” che ti metti in scuderia e gli dai le zollette ogni mattina – ecco, troverei ancora più difficoltà di quando per esempio portai in giro Mammucari per sentirmi rispondere che era “troppo acerbo”.
Quasi 20 anni fa. Mi correggo: 40 anni televisivi fa.Questo per dirti che il conduttore, quasi sempre, è un’idea. Ma pochi, pochissimi conduttori “sono” già programmi. Gli altri vanno posizionati e guidati come nello scambio culturale tra pupari e pupi. E così le idee nuove – cavalli e programmi – faticano a uscire dal retrobottega.
Te lo immagini tu Remo Cirticcia che a fine anni 90 inventa il Grande Fratello e va col suo paper-format da un nostro editore? Allora, chiudiamo 10 sconosciuti in una casa, presidiamo quella casa di telecamere, ci mettiamo un confessionale (rosso, direttore, lo voglio rosso!) e blablabla, e blablabla. Lo farebbero arrestare.
(Mica stai cercando Cirticcia su Google?)Il problema è che l’idea, da sola, non basta. Le idee devono diventare programmi, che è ben altra cosa: comporta una visione globale della messa in scena, delle forze in campo, dell’analisi dei costi, e molto altro. Se io scrivo un soggetto – mi è venuta un’idea! – che parla dell’amicizia di un bambino con un extraterreste, non necessariamente quella storia riesce a diventare E.T. E il povero Remo Cirticcia scoprirà la depressione del rifiuto e del fatto che lui non esiste, se non grazie a te, che poco fa lo hai cercato. E a me, che l’ho inventato.
Non ti dico che servono editori intuitivi e contemporanei, ma te lo dico. Anche fortunati, sì. E sai che cosa significa? Che nel loro campo devono avere talento e coraggio. Pensa a Guglielmi, a Freccero, a Minoli. Anzi, cercali. Poi le cose si sbagliano e ciascuno di noi ha più di un programma nell’armadio. Ho più volte affermato che la tv è la scienza del giorno dopo: se fai ascolto sei un genio, se fallisci sei un cretino: la possibilità di rimanere nel mezzo è preclusa, soprattutto ai piccoli artigiani.
Io per esempio sono tendenzialmente un solista, anche se tante volte sono stato al tavolo con altri autori per riadattamenti e in molte altre situazioni. E lo sono perché mi piace inventare programmi e mettere insieme l’intera squadra del progetto: dal redattore al direttore della fotografia. Ma il mio grande sbaglio è che per molti anni ho pensato che questo lavoro fosse identico a quello del pittore. Uomo e tela. Non fare mai questo errore: il tuo programma è un’opera intuita da te, ma poi quasi sempre condivisa e strutturata con un gruppo. Senza, sei morto. Ecco, la fortuna è scegliersi la squadra.
Quando chiesero a Falcao, giocatore della Roma e del Brasile, una sensazione sulla Nazionale brasiliana del 1982, lui rispose una cosa di questo tipo: C’è molta differenza nel passare la palla a Socrates o a Scarnecchia.
Ecco, magari nella tua squadra troverai un Socrates: il tuo talento sta anche nel saperlo individuare.Tu vuoi dunque iniziare questo mestiere? Prova a fare un salto all’estero, se puoi. Al momento qui non c’è un gran futuro. Esportiamo Moda, Arte, Pizza, Ferrari, Pinocchio e Cervelli in fuga, ma non riusciamo a esportare un quiz. Lo so, ho fatto l’esempio più stupido ma suonava bene.
Se non si prepara un tavolo definitivo per decidere di fare della tv – e riduco a tv tutto ciò che può essere la Grande Offerta – quello che la creatività e il gusto italiano hanno fatto con il resto, sarai presto costretto a riscrivere i tuoi sogni e il tuo curriculum.
Ma quello, fallo lo stesso.
Giovanni Benincasa
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