Basta un 6% di share complessivo (ieri Ballarò ha fatto più del doppio) ottenuto in occasione di un vero e proprio evento televisivo (che anticipa quello di natura politica) per celebrare il de profundis di un genere televisivo? Insomma, il confronto andato in onda su Sky lunedì sera tra i candidati alle primarie del centrosinistra ha sancito di fatto la fine del talk show? Il dibattito è aperto e si collega ancora una volta alla battaglia che da anni (ma che soprattutto negli ultimi mesi si è acuita) combatte Beppe Grillo e che in tempi recenti abbiamo affrontato in questa sede.
Il format del talk show è morto.
A pronunciare queste parole non è il ‘capo politico’ del M5S, ma Giovanni Minoli, l’inventore di Mixer che ha rappresentato per anni e forse rappresenta ancora oggi la Rai occupata dai partiti (contro cui lotta Grillo). Minoli ha annunciato a La Repubblica di aver sottoposto all’attenzione della Rai un nuovo format da lui ideato (e condotto) dal titolo Il candidato, in cui i politici sono sottoposti a un continuo fact checking, per provare a cambiare il linguaggio della politica televisiva (La stessa La Repubblica peraltro con il suo direttore ha annunciato con fare grillino che l’era dei talk è senza dubbio finita).
Le due ore di diretta trasmesse da Sky e condotte da Semprini possono funzionare anche in un contesto diverso da quello degli eventi politici. Immaginarsi una televisione zeppa di confronti come quello avvenuto lunedì è realistico? Se per Europa la formula del talk show politico dell’ultimo ventennio è “invecchiata“, per Giuliano Ferrara, intervistato da Pubblico, è stata “una noia mortale” anche perché tutto era finto:
Vendola ad esempio si vedeva che era lì solo per ripetere la filastrocca del paese sommerso dal fango. Quante volte ha pronunciato questa parola, fango, l’avete contato?
L’analisi di Carlo Freccero, interpellato da Il Manifesto, è come al solito puntuale e quasi in ogni aspetto condivisibile:
Il confronto su Sky lo definirei una perfomance. E’ stato estremamente efficace, un format che ha mostrato per la prima volta che il Pd esiste, finora era sembrato un partito virtuale. Un format fatto con domande e risposte degne di twitter. Risposte sintetiche, chiare e non in politichese, dove c’è un preambolo, una preposizione principale che di conseguenza facilitano il ruolo che i cinque sfidanti si sono ritagliati. Io sono convinto che si sono messi d’accordo, un po’ come i concorrenti di X Factor che si preparano prima la canzone che porteranno sul palco.
Insomma “un successo clamoroso, ma ciò non toglie che è stato noiosissimo“. La domanda (un’altra) è: superare il talk show all’italiana significa affidarsi ad un programma senza approfondimento alcuno, in cui per esprimerti ti devi affidare per forza di cose alla formula degli sms o dei tweet? Freccero insiste:
In quello show tutto è superficie. Nelle all news non c’è mai la ricerca del sospetto, si danno le notizie, una dopo l’altra, senza analisi.
Insomma, non è forse questa la tv degli slogan? Sì, magari senza fastidiose sovrapposizioni di voci e senza urla insensate. Ma spiegare la politica in 140 caratteri, in 90 secondi non è troppo poco?
Per dirla con Mentana, sentito da Il fatto quotidiano, il confronto di lunedì non ha significato “nessuna svolta epocale“:
Dopo le elezioni non si può mica andare in letargo: con tutto il rispetto, il giornalismo è un’altra cosa. E’ ovvio che il talk non è morto ed era scontato che quei candidati avessero un confronto civile: quello di Sky era un dibattito tra politici dello stesso schieramento. Tre su cinque fanno parte pure dello stesso partito. Su cosa dovevano litigare?
Ok il confronto civile e regolamentato da rigide norme. Ma almeno ci sia lo spazio per l’obiezione da parte di una parte terza (il giornalista) e un minimo di conversazione. Anche perché per gli slogan dei politici esistono già i loro account twitter.