Crimini Bianchi: il medical crime funziona, grazie alla malasanità protagonista e ad un buon cast
Pietro Valsecchi, è risaputo, ama produrre serie d’ispirazione dalla attualità più stretta. Non si è fatto mancare, dunque, dopo i casi di “Distretto” e le analisi dei “Ris” -ormai allo sbando- anche una serie sui casi di malasanità che hanno riempito pagine di giornali negli ultimi tempi: “Crimini Bianchi” (gallery, 12 puntate, Canale5), di cui
Pietro Valsecchi, è risaputo, ama produrre serie d’ispirazione dalla attualità più stretta. Non si è fatto mancare, dunque, dopo i casi di “Distretto” e le analisi dei “Ris” -ormai allo sbando- anche una serie sui casi di malasanità che hanno riempito pagine di giornali negli ultimi tempi: “Crimini Bianchi” (gallery, 12 puntate, Canale5), di cui segnaliamo una partenza niente male -non possiamo dire lo stesso degli ascolti-.
Sorvoliamo sulla sigla -e sul motivo per cui ci dobbiamo sorbire uno pseudo brano da hit made in Usa che più che il ritmo mette ansia- per passare alla storia vera e propria: si entra subito nel vivo, la molla che fa scattare il racconto -la morte del collega del protagonista, cameo di Enrico Silvestrin– ci porta immediatamente alla conoscenza dei tre protagonisti senza perdersi in descrizioni minuziose, ma lasciando a noi la possibilità di conoscerli puntata dopo puntata.
Daniele Pecci e Christiane Filangeri reggono bene il loro ruolo (anche se a lei consiglieremo meno sguardi da soap e di osare di più), ma fa soprattutto piacere rivedere Ricky Memphis per cui è stato disegnato un personaggio -quello dell’avvocato Claudio, migliore amico del chirurgo interpretato da Pecci- realista, non piatto e che ci fa dimenticare il mitico Mauro Belli, se escludiamo la cadenza romanesca che talvolta eccede.
Il fulcro delle puntate, come già detto, è la malasanità: ottimo spunto per unire due generi molto popolari in Italia, cioè il medical ed il crime. Ma, nonostante l’uso di anglicismi, non si può parlare di imitazioni con telefilm hollywoodiani. “Crimini bianchi” resta una serie italiana, che sa di non dover competere con quelle straniere. E lo fa portando in tv un tema strettamente -purtroppo- nostrano, strizzando di tanto in tanto l’occhio a qualche espediente già visto.
Parliamo, oltre all’uso massiccio di molti termini tecnici, degli zoom realizzati al computer verso il cuore del problema -e con “cuore” s’intendo proprio il muscolo-, mostrandoci un po’ alla “House” ed un po’ alla “C.S.I.” gli aspetti meno noti del caso di puntata, che viene risolto -almeno nel primo episodio- in maniera televisivamente investigativa (ovvero: penso a tutt’altro ed all’improvviso trovo l’illuminazione).
Ed a proposito di zoom, ecco che la regia si diverte a zoomare sui primi piani di chi parla, creando un effetto più di noia che di pathos. Meglio qualche inquadratura più classica, con qualche tocco di camera a spalla che non guasta mai. Il ritmo, d’altra parte, è vero che lo si deve cercare anche nelle riprese, ma se la storia funziona, certi espedienti si possono evitare.
E la storia, per ora, funziona: l’aspetto procedurale -più noioso-viene accantonato, a favore della vera e propria indagine, fatta di scontri, analisi ed, appunto, ritmo. Il gruppo di personaggi creato è ben assortito, affascinante e uno complementare all’altro. Anche le storie proposte sanno appassionare, e piaceranno a chi ama vedere storie del genere in tv.
Il debutto di “Crimini bianchi”, quindi, si merita un voto positivo, anche se una preoccupazione ci assale: visti i precedenti al Decimo Tuscolano ed alla scientifica di Parma, non è che di volta in volta si preferirà il sensazionalismo delle storie rispetto che alla loro logica ricostruzione?