Domenica In…siste: neanche Frassica fa il miracolo e la finta Nannini dà il colpo di grazia
Domenica In non cambia rotta, procedendo tra momenti imbarazzanti e (rari) spazi piacevoli.
Terza puntata per Domenica In oggi, 29 ottobre, e tempo di conferme: dopo un esordio teso e fuori ‘format’, la seconda puntata ha cercato di modificare leggermente la rotta, con un pizzico di ordine e di struttura in più. Arrivati alla terza settimana, però, appare evidente che il programma non vuole (o non può) cambiare stile e rinunciare ai momenti più difficili (per non dire imbarazzanti) del contenitore. Anzi, sembra autocompiacersi di quanto fatto finora quando entra una finta Nannini a rompere chitarre: roba che neanche nell’avanspettacolo anni ’40. Roba che archivierei quasi ‘offensiva’ per il pubblico tv (domenicale o feriale che sia).
Domenica In…correggibile?
Se ci si aspettava un rinnovamento di stile e di scrittura questa terza puntata ha deluso. L'”Intervista intrepida” resta lì, mentre l’apertura viene affidata a una ‘fake interview’ (messa al posto delle domande suggerite del backstage, fallite al debutto) in cerca di vendetta. Questa volta costretto al finto sorteggio delle domande, seduto sull’angusto divanetto di casa Parodi, c’era Nino Frassica, raccontato dai tempi di Indietro Tutta, con tanto di clip di Arbore a Don Matteo 11. La quintessenza del pop di Rai1, insomma, la sintesi del ‘testimonial’ del target storico dell’ammiraglia. Ebbene, persino ‘l’eroe’ del tavolo di Che Tempo che Fa, colui che riesce nell’ingrato compito di sostenere l’indigeribile talk di Fazio, si arrende di fronte alle sorelle Parodi in coppia. Non a caso Frassica si chiude a riccio: se la prossemica non è un’opinione, la doppia chiusura di braccia e gambe tradisce un certo disagio. In studio e a casa.
E la seduta di analisi, con tanto di lettino mutuato dalla prima di Celebration, dove la mettiamo? La scusa era quella di ospitare Pietro Sermonti per presentare Terapia di coppia per amanti, la sensazione è quella di riciclo di materiali, idee e ospiti dallo show del sabato sera di Rai 1.
La chicca arriva alle 16.45, quando manca ancora un’ora alla fine della puntata con l’apparizione di una finta Gianna Nannini che gira per lo studio a offendere musicisti e a rompere chitarre. Dovremmo ridere?
La musica cambia quando c’è la sola Cristina in scena, con la sua cartellina e il suo ospite di fronte. Lì si entra in sintonia con l’ospite, si racconta con garbo, senza risatine e stonature, eccessi e sguaiatezze, con consapevolezza e mestiere. Quando canta e balla, però, è difficile non essere vittime di un certo effetto straniante, che ha colpito anche il Frassica, pur abituato alle uscite di Berti e Littizzetto. Insieme, poi, le sorelle vanno in risonanza: Benedetta sembra presa dall’ansia da prestazione e finisce per perdere di vista anche quello che sa far meglio, ovvero la cucina. Che intanto è stata ridotta.
Domenica In…disponente
E’ in generale il clima ad essere ostile nel programma: i già citati applausi artificiosi, le voci sovrapposte delle sorelle, la mancanza di calore nella costruzione degli spazi (cfr. le poltroncine delle zie nelle scene collettive), la generale sensazione di pauperismo svedese – che in sé ci starebbe anche bene contro certi barocchismi che hanno fatto il loro tempo, ma che non viene colmato da null’altro se non da applausi, applausi, applausi, applausi, urletti, applausi, applausi, applausi – non aiutano a creare una connessione col pubblico a casa. Non aiuta neanche una regia incerta, che insegue ma non racconta, vittima anche di un audio che spesso lascia microfoni aperti e svela un backstage che è bene resti nascosto.
Domenica In…certa
Casa Parodi, insomma, non riesce nell’ambiziosa missione di diventare il salotto degli italiani. Ci si sente, piuttosto, a casa della suocera, al primo invito a pranzo, di quelli che servono a superare l’esame della famiglia.
Settimana dopo settimana, poi, cambiano i set, cambiano le sedute, arrivano le panchine, si girano le poltrone: a proposito di casa, è come trovarsi in un appartamento nuovo, con del mobilio recuperato da una serie di traslochi che si cerca di piazzare nel modo migliore per rendere l’ambiente accogliente e invitante; si finisce per farlo ruotare continuamente alla ricerca della combinazione vincente. Ma se non c’è un’idea di design, o ci sono troppe voci a voler parlare, non c’è combinazione che tenga: la casa non viene come si vorrebbe. Magari bisogna decidere uno stile e, nel caso, buttare qualcosa.
Il potenziale per una domenica narrativamente interessante e di stile c’è, ma al momento è tutto sprecato sull’altare di una leggerezza che passa per un’ilarità ingiustificata, di un entusiasmo fittizio e di gag che definirei offensive (cfr. imitazione della Nannini) che finiscono per togliere tempo agli artisti ospiti.
C’è ancora tanto lavoro da fare. Sarà un autunno difficilissimo (cit.).