Paolo Ruffini a Blogo: “Nella tv di oggi libertà espressiva è limitata. Colorado unico programma comico generalista, va tutelato”
Ruffini parla del flop Eccezionale veramente (La7), racconta la sua passione per il piccolo schermo, torna sull’episodio della Loren “topolona” e annuncia: “Abbiamo teso la mano a Marco Della Noce”
Parte stasera su Italia 1 la 19esima edizione di Colorado. Alla conduzione torna – per la sesta volta – Paolo Ruffini, dopo le due stagioni guidate da Luca e Paolo.
L’attore toscano sul palco dello show comico della rete ‘giovane’ di Mediaset sarà affiancato dalla showgirl Federica Nargi e da Scintilla, alias Gianluca Fubelli. Impegnato in teatro con Un grande abbraccio (il 14 novembre al teatro della Luna di Milano) e con Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare (al teatro Eliseo di Roma a gennaio 2018), Ruffini a dicembre tornerà nei cinema con Supervacanze di Natale (“best of di tutti i cinepanettoni”).
Intanto presenta a Blogo le novità di Colorado (“ci sarà anche un blogger, spero che la prendiate bene“), commenta il flop di Eccezionale veramente su La7 e analizza i cambiamenti della televisione, di cui si dice grande appassionato.
Perché eri andato via e perché ora torni?
Dopo l’edizione primaverile del 2015 non mi aspettavo che la rete ne chiedesse anche una autunnale; avevo già preso un impegno per girare Natale col boss. Il motivo per cui torno è: me lo hanno chiesto ed io di buon grado ho accettato. Colorado è casa mia; la serratura del portone non è cambiata, sono entrato e ho preso anche più spazio, pensa tu l’arroganza! Infatti ho firmato il progetto con Andrea Boin. Adesso mi sento ancora più a mio agio in questa trasmissione.
Quale sarà, dunque, il tuo contributo da autore? Quali differenze ci saranno rispetto al passato?
In realtà spero che la differenza rispetto al passato sia la minore possibile: Colorado è un programma molto più forte di chi lo fa, è molto più forte di me. È un brand che funziona, è come una nave che ti porta alla destinazione a prescindere dal comandante. Io ho cercato di introdurre delle innovazioni all’interno di una tradizione: Colorado è una trasmissione comica che aveva bisogno forse di una ulteriore spolveratina per alcune dinamiche; la conduzione è a tre, al comico non si abbina una spalla sola, ma due, cioè io e Scintilla. Federica Nargi, che aveva già preso parte a Colorado qualche anno fa quando conducevo insieme ad una persona diversa in ogni puntata, si rimette in gioco: è una persona che sa mettersi in ridicolo, che non si prende sul serio, è una ragazza bellissima, figa, mamma, è fantastica. I comici sono della tradizione di cabaret, numeri uno come Paolo Migone, Antonio Ornano e Dado. C’è anche Herbert Ballerina, che viene dal cinema e dalla radio. C’è contaminazione con altri generi comici, c’è visual, c’è arte di strada. È un piccolo grande varietà comico. Quest’anno è ancora meno decifrabile la dimensione del comico che entra e che esce perché c’è un salotto all’interno del programma dove ci sono già i comici, come se avessero creato una zona satellitare dove le battute cadono a raffica e dove ci sono ritmi molto più serrati. Non c’è un vero e proprio corpo di ballo, ma Miss Colorado dove sei ragazze si cimentano in prove divertenti; la scaletta è divisa per target: il primo blocco è junior – faremo vedere anche i disegni che ci mandano i bambini – il secondo è teen con iPantellas e i Panpers, dal quarto blocco in poi si va più in situazioni adulte. Insomma, c’è l’idea per cui Colorado è un posto dove è più facile essere felici.
Made in Sud ha chiuso, Zelig idem, mentre Colorado resiste. Stando a quanto da te appena detto, vi allontanate sempre più dallo schema di queste trasmissioni nelle quali il comico sale sul palco, recita il pezzo magari con tormentone e se ne va. Lo fate perché ritenete che questa formula sia ormai superata?
Gli esempi citati sono sintomatici, ma è importante andare avanti e capire dove va la comicità in tv. Colorado è sempre stato ritenuto il fratellino minore di tante trasmissioni, ma dopo 19 edizioni… siamo ancora qua. Questo ci inorgoglisce, ma ci responsabilizza anche. Io credo che siano cambiati proprio i tempi comici. La dinamica che hai descritto tu deve subire qualche variazione, sì, inevitabilmente. Noi ci siamo interrogati su questo e abbiamo cercato di dare qualche cambio di tono in più. Andiamo verso una dimensione più trascinante, dove il ritmo è importante, dove c’è bisogno che succedano delle cose continuamente; la dose di imprevedibilità deve essere garantita. Per esempio, ad un rientro dal nero balleremo tutti insieme Please Don’t Go per dare l’idea di una grande compagnia di giro affiatata. La cosa che ha reso grande Colorado è l’aria che si respira; Colorado è davvero una festa.
Veniamo agli ascolti. La media di Colorado nel 2013-14 è stata intorno al 9% di share, nel 2015 è scesa all’8%, nell’autunno dello stesso anno al 7%, nell’autunno 2016 al 6%. Ora temi di fare il 5%?
No (ride, Ndr). Bisogna mettersi intorno ad un tavolo e decidere quando si è contenti. Uno stesso risultato di ascolti per qualcuno può essere un disastro, per qualcun altro motivo per sciabolare lo champagne. Bisogna fare una tara nuova. Non dobbiamo controllare gli ascolti del 2013, perché altrimenti siamo come mia zia che dice: ‘Hai speso 5 euro per la pizza?! Ma sono 10 mila lire!’. Quindi io non mi relaziono al 2013, ma ad oggi. Bisogna fare così.
Quindi il 5% lo riterresti un risultato positivo?
No, sarebbe sotto la media di rete. I numeri di Italia 1 sono tra il 6 e l’8%. Bisogna sempre considerare la controprogrammazione, ma non si può non dire che in questo periodo storico programmi in prima serata con un milione di spettatori sembrano i più visti della storia della tv e altri con gli stessi spettatori sono invece vessati. Colorado non ha bisogno né di essere incensato, né vessato; è una piccola propaggine comica, l’unica rimasta nella tv generalista, e per questo va protetta, come giustamente Italia 1 fa.
Insomma, il dato che speri è nel range 6-8% di share?
Sì, è quello che in media fa la rete. Certo, poi ci sono Le Iene che vanno in doppia cifra,
ma Le Iene chiudono quasi all’una di notte.
Colorado, invece, a che ora chiuderà?
Credo intorno a mezzanotte, sono 130 minuti netti.
Come hai trovato la conduzione di Luca e Paolo delle scorse due edizioni?
Li ho seguiti; ripeto: Colorado è ingombrante, spesso ingoia chi lo fa. Luca e Paolo hanno fatto un ottimo lavoro. Hanno adattato Colorado alla loro eleganza, al loro stile. Non era così scontato…
La loro è stata una conduzione un po’ con la puzza sotto il naso?
È questione di gusti. Voi di TvBlog apprezzate loro, ma massacrate me, ci sta: io sono più fracassone, loro sono più chic. Ma sono stati bravi a far collimare il loro stile con la dinamica di Colorado. Sono stati sinceri.
A Luca Bizzarri tu sei molto legato.
Indissolubilmente. Feci il provino per Mtv, lavoravo in Comune. Luca chiese ad un ragazzo che lavorava per Mtv di fargli una videocassetta con il mio provino, per rivederlo bene. Poi mi chiamò, mi diede dei consigli e mi disse ‘avrei piacere di lavorare con te’. Da lì è partito tutto. A Luca devo tutto. E la cosa divertente è che quel ragazzo che lavorava per Mtv era Andrea Boin, che quest’anno firma Colorado come capoprogetto insieme a me. È un cerchio che si chiude.
Nel cast c’è Francesca Cipriani. Cosa farà?
Lei è molto comica, è pazzesca, avrà due ruoli. Farà la rubrica dal titolo Che tempo che credo che forse che fa. E poi farà Sailor Moon. Colorado quest’anno è molto nostalgico, è nineties: riferimenti a Non è la Rai, alle letterine di Passaparola, Sailor Moon, Please Don’t Go…
Ci sarà anche molta televisione, evidentemente.
Sì. Il titolo Che tempo che credo che forse che fa è chiaramente un riferimento a Fazio, ma poi la Cipriani farà delle previsioni meteo sui generis. Comunque, sì, attingiamo molto dal panorama televisivo; io sono un grande appassionato di tv, anche se guardo un po’ troppo il passato rispetto al presente. Ci sarà anche Scianel di Gomorra fatta da Barbara Foria. La quale farà anche la rubrica di Detto Fatto dal titolo Detto e fatti i caz*i tuoi.
Eccezionale veramente, di cui eri giudice, è stato sospeso per i bassi ascolti. Qual è stato il problema?
Ho letto la vostra intervista a Gabriele Cirilli, che ha espresso amarezza e rancore. Mi dispiace, posso solo dire ‘mi dispiace’ anche perché la gestione della trasmissione mi è passata sopra le testa: arrivavo tardi in studio e andavo via presto. Il mio pensiero è che una trasmissione comica dentro un canale quasi all news come La7 è un esperimento e gli esperimenti la prima volta possono andare bene, la seconda meno bene. Forse nella seconda edizione i comici erano meno forti…
Dunque il cambio nella conduzione non è stato determinante?
No, non lo è stato. Ribadisco: alcuni format vanno oltre il conduttore. Il Festival di Sanremo lo fa chi lo conduce – quello di Baglioni sarà diverso da quello di Conti – ma se il format è solido e forte chi lo conduce diventa non dico secondario, ma un corollario.
E tu questo discorso lo conosci bene. Penso ai David di Donatello da te condotti insieme ad Anna Foglietta…
Inevitabile. Quando chiami un presentatore, poi vien fuori la sua personalità, se ce l’ha.
E Sophia Loren se lo ricorda bene!
È sintomatico che ancora oggi si parli di quella cosa lì.
La accogliesti dandole della “topolona“. Il clamore mediatico fu tanto.
È incredibile. Io sono del 1978 e ho vissuto una televisione fantastica: a L’araba fenice di Antonio Ricci c’era un nano, Scrondo, che tappava con un bollino rosso le nudità di una Moana Pozzi completamente svestita. Mi ricordo Roberto Benigni che a Sanremo toccava il pacco di Baudo o che pronunciava i sinonimi di vulva davanti a Raffaella Carrà. Mi ricordo dialoghi meravigliosi e scollacciati tra Corrado e Raimondo Vianello ai Telegatti. Mi ricordo le ragazze Coccodè di Arbore, mi ricordo Ass fidanken a Drive In. Ecco, oggi gli animalisti ti farebbero levare Ass fidanken, le femministe ti proibirebbero di andare in onda con le ragazze Coccodè e così via. La verità è che in nome di una morale, o di una sorta di linguaggio aulico, in tv oggi si può fare davvero poco. L’unica propaggine di censura che c’è è la bestemmia, ma è paradossale. Oggi anche certi tipi di atteggiamenti in tv sono impossibili. Che io abbia fatto sensazione con quella sciocchezza – perché tale era e non una gaffe – è pazzesco. Così come è stato pazzesco chiudere una trasmissione alla Perego per quella sciocchezza sulle donne dell’Est paragonate alle italiane. La tv che vivevo io aveva una libertà espressiva totalmente diversa.
Forse la reazione della Loren contribuì al clamore.
No, lei fu una signora. Lì bastò un utente che scrisse su Twitter ‘ma cosa sta facendo Ruffini?’ e partì una riflessione mediatica. Oggi basta che qualcuno scriva sui social che hai rubato un mandarino e tu diventi un ladro di mandarini, poi un ladro, quindi un evasore e così via.
Avete pensato di invitare a Colorado Marco Della Noce, il comico di Zelig in difficoltà economiche?
Ci abbiamo pensato. Stiamo dialogando con lui. In questo momento non sono in grado di dirti se parteciperà e come. Però siamo in contatto con lui, gli abbiamo teso la mano.
Chiudiamo parlando del tuo rapporto con le critiche. In occasione della presentazione del film Tutto molto bello ad un ragazzo in sala che fece notare che non fai ridere a tutti, tu rispondesti “c’è sempre un’alternativa”. Ad Open Space, discutendo di haters, dicesti che spesso chi critica lo fa perché è invidioso. Facciamo chiarezza: ti riferisci a quanto accade sui social o anche alla critica giornalistica?
Un discorso è il commento di un utente che usufruisce di un film o di una trasmissione, un altro discorso è quello di un giornalista e di un critico televisivo. C’è stato un momento nella mia carriera in cui mi dissero ‘ti deve fare un’intervista Roberto, un blogger’. Io: ‘Caxxo, un blogger! E chi è un blogger?’. Per fare un giornalista devi fare degli studi, devi avere degli attestati, mentre un blog lo può aprire… chiunque. Mi chiedevo ‘in base a quale logica devo rispondere a chiunque?’. Non perché me la tiro, ma perché altrimenti starei tutto il giorno a rispondere. Alla fine ho distinto il critico televisivo puro da colui che dietro nickname, insignito da non so quale aurea, dice qualcosa tipo ‘tu non mi fai ridere’. Io questo lo accetto di buon grado, perché mi rendo conto che il mio lavoro è superfluo: se fallisco non provoco dolore a nessuno. Non faccio né l’ingegnere, né l’oncologo, né il politico. Faccio il buffone. Se chi mi dice che non ho fatto un buon lavoro ha un bagaglio culturale alle spalle e capisce i miei riferimenti a Jerry Lewis o a Jerry Zucker di Top Secret, allora magari… ne parliamo. Il problema è che ci sono troppi critici in giro e che non tutti ne hanno l’autorevolezza, mentre tutti hanno l’autorevolezza per dire ‘mi piaci’ o ‘non mi piaci’. Una cosa è il commento, un’altra il giudizio.