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La Rai secondo Carlo Freccero

Le idee (di quattro anni fa) di Carlo Freccero sulla televisione pubblica

pubblicato 27 Novembre 2018 aggiornato 31 Agosto 2020 19:30

Oggi Carlo Freccero è tornato a casa. Esattamente come ha scritto sul suo profilo twitter il direttore uscente di Rai2 Andrea Fabiano (un abbraccio affettuoso ad una persona perbene e a cui diciamo che il tempo sarà galantuomo) Freccero torna a fare prodotto e ci torna proprio su Rai2, dove negli anni novanta ha costruito una rete fra le più moderne ed innovative che la Rai ricordi negli ultimi decenni.

A poche ore dalla sua nomina, qui su TvBlog ripubblichiamo un suo intervento di quattro anni fa, che all’interno di una rubrica che ha curato in esclusiva per la nostra testata e che analizzava il mondo della televisione di allora, si occupava proprio di Rai. Parole come sempre interessanti e quanto mai attuali, buona lettura.

La Questione Rai

di Carlo Freccero

La Rai è da tempo oggetto di critiche. Il concetto di servizio pubblico è legato strettamente al concetto di Stato Sociale. Il liberismo attuale, va in direzione dello smantellamento dello Stato Sociale, ed anche la Rai, da tempo, si è trasformata in azienda industriale, con bilanci sempre sull’orlo del pareggio o negativi. Una Rai azienda e sottolineo azienda e per di più in perdita, non ha più senso. O ricostruiamo una nuova missione di servizio pubblico, oppure la Rai ha perso di significato.

La cultura è vissuta in senso puramente produttivo. La cultura del “fare” ha appiattito la specificità culturale italiana ed europea sul concetto “antropologico” di cultura. Non più la cultura con la C maiuscola, in senso europeo, ma la cultura del cibo che oggi è l’unica forma di cultura monetizzabile. La cultura del culatello: Farinetti è il ministro ideale degli affari culturali e teatri e librerie diventano luoghi di degustazione. Riformare la Rai oggi, significa prima di tutto affrontare una riflessione sulla sua funzione.

Tagliare per eliminare sprechi, si scontra con una realtà che non tutti sembrano vedere: oggi non c’è più una Rai, ma tante Rai, non c’è più la televisione, ma tante televisioni: generalista, tematica, on demand. Non si può semplificare la produzione ad un unico prodotto, perché le varie Tv sono media diversi. La Rai appare oggi come un carrozzone, un emanazione degli interessi dei partiti e della politica. Ma il danno che è stato fatto in questi anni, non riguarda tanto discorsi generici come la mancanza di meritocrazia, per cui non sempre il più meritevole nel suo campo è premiato, quanto il trasferimento del concetto di meritocrazia, dal campo professionale al campo politico.

Si sono nominati in Rai i fedelissimi ai partiti, senza la minima attenzione se fossero qualificati per quel ruolo. C’è stata in Rai un ondata di professionisti della politica, che ha spazzato via i professionisti della comunicazione e le maestranze tradizionali. Ricostruire la Rai è impossibile senza professionisti e professionalità. L’unico ruolo che in questi anni ha assunto un significato sostanziale, è quello del direttore generale, per risanare i debiti e i bilanci.

Si è azzerata completamente la necessità di dare alla Rai una identità culturale. D’altronde la lottizzazione, non è che l’ultima interpretazione che si è voluta dare del pluralismo Rai. La Rai appare oggi come un grande fossile vivente, in cui, il significato delle sue varie fasi, è ancora imprigionato nell’arcaicità delle sue strutture. Basti pensare alle sedi regionali, che ci appaiono oggi sovradimensionate. Alla base della loro espansione c’è la retorica degli anni ottanta e la successiva mitizzazione del federalismo. Il mondo si apriva alla globalizzazione e noi tornavamo al localismo.

Quando si parla di riforma tutti sono disposti a collaborare, ma la richiesta di Renzi dei 150 milioni alla Rai, ha scatenato il fantasma dello sciopero. Penso che l’impressione di tutto il personale Rai, sia stata di una mancanza di rispetto per lo storico ruolo culturale che della Rai dovrebbe costituire l’ispirazione. Ed a proposito della proposta del deputato PD Anzaldi, su una sorta di “Pallacorda” della Rai, che vedrebbe coinvolti volti simbolo della tv pubblica, in vista di una sua riforma, fra cui il mio, ho voluto dire che va bene riformare ma non distruggere. D’altronde mi pare che sia gia’ al lavoro una commissione di saggi. Non vorrei che una consultazione pubblica di facciata diventasse la copertura per decisioni gia’ prese e gia’ studiate in incontri privati. Non vorrei che si sostituisse alla lottizzazione l’amicizia. Non vorrei, insomma, che la Pallacorda diventasse un’altra Leopolda.

Oggi a livello produttivo, la Rai risulta più arretrata, rispetto per esempio alla BBC e lontana anni luce dall’immaginario delle serie americane, che costituisce il fenomeno culturale e televisivo più nuovo. Una delle cause, risiede nella chiusura oppressiva da parte della chiesa e dei gruppi cattolici organizzati, che hanno imposto una programmazione per famiglie, disinteressata ad ogni tipo d’innovazione e basata sull’unico obbiettivo di sfornare prodotti edificanti e “religiosamente corretti”.

Come ho scritto nell’ultima parte di un mio libro, o riscopriamo un ruolo per il servizio pubblico, o tante vale privatizzare. Ho identificato questo ruolo nel passaggio dal capitale culturale al capitale intellettuale. Bisogna innalzare l’intelligenza dei giovani, per pensare al futuro, ad un paese che conta. Non si risolve la disoccupazione, con la cinesizzazione dei giovani. Però devo confutare l’idea che una molteplicità di identità private dei media, corrisponda alla libertà e alla pluralità dell’ informazione. Esse non sono al servizio del pubblico e perseguono interessi privati. Questo è il punto di partenza per una discussione che non vuole distruggere il servizio pubblico.

Carlo Freccero