Alessandro Ippolito: “Il mio Scherzi a parte diverso da quello di oggi. Stranamore? Lasciai dopo un fatto di cronaca nera”
TvBlog per la rubrica TvOff ha intervistato Alessandro Ippolito, storico autore di Scherzi a parte e inviato di Stranamore: “Prima di Castagna si era pensato a Vianello per la conduzione. Lasciai dopo un fatto di cronaca nera. Non guardo più la tv, altrimenti mi irrito”
Non è più in tv per sua scelta ed è lui stesso a precisarlo con insistenza: “Mi sono allontanato volutamente, oggi preferisco insegnare la televisione ai ragazzi in modo da lasciare qualcosa nel tempo”.
A parlare è Alessandro Ippolito, uno che la televisione l’ha percorsa in lungo e in largo, passando in precedenza dalla radio e dal cinema. I primi passi? Nel giornalismo. Anzi, ancora prima come investigatore privato: “Fui ingaggiato da un’agenzia – racconta a Tv Blog – pedinavamo le coppie birbanti, in seguito divenni fotoreporter fino ad entrare in un giornale. Qui partii come correttore di bozze, per poi passare al ruolo di redattore e caposervizio. Mi occupavo di letteratura e cultura”.
Autore, regista, inviato. Tutta la sua vita professionale Ippolito l’ha inserita nel libro autobiografico “Per soldi e per tv”. Un viaggio lungo quarant’anni con i picchi di massima celebrità vissuti tra la metà degli anni ottanta e la fine dello scorso millennio.
“Cominciai nella televisione svizzera italiana e conobbi Mike Bongiorno. Era stato scelto come testimonial in occasione del lancio della prima trasmissione a colori. Ebbi modo di osservarlo, prima della diretta si esercitava nelle prove di ‘allegria’; impostava la voce, non era un motto che nasceva in maniera spontanea. La cosa mi sorprese”.
In Italia intanto si stavano sviluppando le tv commerciali: “Mi avvicinai a Telemilano proprio grazie a Mike. Iniziò quindi la mia collaborazione con Mediaset. A Telemike fui autore e conduttore, curai i primi collegamenti via satellite e raggiungemmo anche i 15 milioni di spettatori. Fu un’esperienza meravigliosa, andavo nei piccoli paesi e li raccontavo, questo mi regalò una notorietà che tuttavia non avevo cercato. Essere personaggio non mi interessava”.
Nel 1992 arrivò Scherzi a parte, programma di cui è stato un autore storico.
“Ho realizzato 102 scherzi tra trasmessi e cestinati, li ho contati! Con me c’erano Christophe Sanchez, Davide Parenti e Marco Balestri; ci consideriamo i fondatori. Era uno show dal quale si voleva scappare, ma nonostante ognuno di noi volesse fare altro, si proseguiva perché gli ascolti erano altissimi. Era un programma tanto bello dal punto di vista registico quanto impegnativo e difficile. Avevamo tante telecamere e attori da gestire. Non dimenticare che ai tempi avevamo delle limitazioni tecnologiche che adesso farebbero ridere. Diventava sempre più difficile non farsi scoprire”.
Prima parlava di scherzi mai andati in onda. Ce ne cita qualcuno?
“C’è quello di Adriano Celentano. Lo scherzo era andato in porto, lui si era divertito ed era d’accordo affinché andasse in onda. Ma commisi un errore: non curai attentamente la liberatoria. In quei contesti devi stare attento a tutto, pure l’ultimo permesso va letto e riletto. Gli avevamo consegnato il documento sbagliato che generalmente si dà alle comparse. Si chiedeva l’autorizzazione per la cessione dell’immagine a tempo indeterminato. Se ci fosse stata la liberatoria giusta lui l’avrebbe firmata, invece si stoppò e chiese parere ai legali. Diventò una trattativa lunga che non andò a buon fine”.
Non sarebbe bastato consegnargli la liberatoria giusta?
“Guarda, io ho sempre insegnato ai segretari di produzione che la liberatoria è una cosa da chiedere sul set, subito, a caldo. Una persona in quel frangente è di buon umore e accetta senza remore. Se al contrario diventa un processo ragionato tutto si complica, si comincia a chiedere di rivedere le immagini. Insomma, diventa un film infinito”.
Un ruolo importante negli scherzi lo ricoprivano i ganci.
“Puntavo in primis sull’affidabilità dei complici. Contavo sulla figura dell’agente. Quando c’era da firmare, io avevo già maturato un rapporto con lui che, in caso di arrabbiatura della vittima, mediava e rasserenava gli animi. All’epoca passare per Scherzi a parte significava diventare famosi o tornare ad esserlo”.
Immagino che lei reputi le prime edizioni le migliori.
“Sì. Era bello perché i vip non sapevano cosa fosse Scherzi a parte, la trasmissione non era ancora partita. Mi ricordo lo scherzo che organizzai a Jerry Calà. Ci recammo nel suo ristorante con delle tipe dell’est decisamente attraenti. Bevve qualche bicchiere di troppo e alla fine si accorse che queste ragazze gli avevano sfilato il Rolex. Si ritrovò all’improvviso da solo e si rese conto del furto. Quando entrammo nella sala con la telecamera e con il flash puntato Jerry era disorientato. ‘Cos’è?’, ci chiese. Fu una reazione comica. Ci firmò subito la liberatoria, ma nelle settimane successive mi chiamò un sacco di volte preoccupato”.
Come giudica la metamorfosi di Scherzi a parte sul fronte narrativo?
“Ora c’è la tendenza a raccontare lunghe storie con voci fuori campo. Lo trovo sbagliato, ridondante, pesante. Si compensa la mancanza di creatività con il racconto. Hanno addirittura inserito le risate finte, è inaccettabile. E’ un prodotto che non ha alcuna similitudine con quello che realizzavamo noi”.
Anche a Le Iene lo scherzo è divenuto un punto cardine del programma.
“Non c’è più niente di nuovo, tutti imitano tutti. Si ha il terrore di proporre qualcosa di inedito, nessuno vuole correre il pericolo di perdere la poltrona. Prendiamo ad esempio 4 Ristoranti di Alessandro Borghese. Parallelamente hanno creato lo stesso format riferito agli hotel, una follia. Soffermarsi solo su Scherzi a parte e Le Iene è come guardare il dito e non la Luna”.
Al di la di questo, è innegabile che Le Iene abbia privato Scherzi a parte dell’esclusività del genere.
“Certo, gli ha tolto l’esclusiva, ma è un classico. Manca una gestione generale, ciascuna rete cura il suo orticello. Non andrebbero sprecate risorse e idee, invece viene riproposto tutto. Un tempo i direttori di rete osavano. Le Iene all’inizio andava male e Giorgio Gori decise ugualmente di portare avanti il progetto perché ci credeva. Dove lo trovi adesso uno come Gori capace di imporsi nelle scelte?”.
Passò da Scherzi a parte a La Stangata. In quel caso le vittime non erano più i vip, bensì persone comuni.
“C’era un problema di fondo e lo segnalai: i personaggi che colpivamo erano perfetti sconosciuti. Il mio desiderio era pertanto quello di far conoscere prima le vittime al pubblico sotto il profilo umano. La direzione non era d’accordo, puntava allo scherzo e basta. Una volta coinvolgemmo un ristoratore che trovammo irresistibile. Ebbe delle reazioni violente in cucina, lanciò le salse in aria. Ma a noi faceva più ridere che al pubblico a casa perché quella persona l’avevamo conosciuta a fondo, avevamo studiato il suo carattere. Era il caso che pure lo spettatore fosse informato”.
Questo concetto tuttavia non vale per le candid camera. In quel caso il pubblico non sa nulla dei protagonisti, eppure si diverte nonostante non siano dei vip.
“Attenzione, la candid camera funziona in quanto sketch cotto e mangiato. Scherzi a parte era diverso. In origine si era pensato pure lì a candid di due minuti. Noi autori però capimmo che la novità sarebbe stata la costruzione di vere situation comedy con prologo, sviluppo ed epilogo. Discutemmo a lungo con Fatma Ruffini, lei voleva che tagliassimo il più possibile. Ci puntammo e da dieci minuti scendemmo al massimo ad otto. Alla fine vincemmo noi, considerato il successo pazzesco che ottenne il programma. Adesso però siccome hanno visto che la versione lunga funziona, si sono fissati con filmati pallosissimi, a cui si è aggiunta la voce narrante”.
La sua sembra una bocciatura su tutta la linea.
“Basta vederli. Sono degli scherzi o delle fiction? Mi viene in mente quello fatto a Iannone. Gli avevano prelevato l’auto e l’aveva ritrovata su una chiatta in mezzo al lago. Hanno raccontato tutta la storia, interminabile, con questa voce fuori campo. Quand’è che si è riso? Quando gli hanno buttato le chiavi in acqua? Non capisco”.
Nel 1994 approdò a Stranamore, un altro successo clamoroso. Come nacque la collaborazione?
“Mi venne girato il format olandese. Guardai le puntate e ci lavorai per sei mesi, da solo. Risposi che mi piaceva e mi proposero la realizzazione di un numero zero da me presentato. Modificammo qualche meccanismo e cambiammo lo studio. Il risultato fu buono, dunque ci mettemmo a cercare il conduttore. Siccome Alberto Castagna non poteva sia condurre che girare in camper per recapitare i messaggi, venne decisa la presenza di una spalla e la scelta cadde su di me. Nelle prime puntate curai anche la regia del programma”.
La scelta di Castagna da chi venne decisa?
“Alberto aveva appena firmato un contratto con Mediaset. Gli avevo fatto uno scherzo per conoscerlo. Ci convincemmo che sarebbe stato il volto giusto. Castagna era una bella persona, molto umana ed estremamente generosa”.
Era l’unico candidato o avevate pensato anche ad altri conduttori?
“Prima di lui si era pensato a Raimondo Vianello, ma non poteva per via di impegni concomitanti. Mi sembrava ottimo per il ruolo, possedeva la giusta dose di ironia”.
Ad un certo punto se ne andò. Perché?
“Andai via un po’ prima che lo show si ‘ammalasse’. Non mi piaceva più, proprio come a Scherzi a parte si volle calcare sempre più la mano sulla spettacolarità. Cominciarono ad esagerare sulle storie, mi mandarono addirittura da un uomo per recapitargli il messaggio di una prostituta. Arrivai col camper e questo signore chissà chi si immaginava. Appena vide la prostituta diede un cazzotto al monitor, riuscimmo a fatica a calmarlo. Fu un brutto episodio, mi sentii sporco”.
Fu il punto di non ritorno?
“No, accadde un avvenimento ancora più grave. Una ragazza ricevette il messaggio dal suo ex. Lei non voleva saperne, ma venne in studio. I due si rividero, si appartarono per parlare e si rimisero assieme. Due mesi dopo lui la accoltellò a morte. La notizia mi turbò molto, compresi che il programma aveva preso una brutta piega. Avevo sempre concepito Stranamore come un qualcosa di gioioso, come la passione che si vive in adolescenza tra i banchi di scuola. Mi resi conto che era diventato un’altra cosa”.
Al giorno d’oggi, con gli incontri favoriti da app ad hoc, una trasmissione del genere avrebbe ancora senso di esistere?
“Credo che alcuni metodi di racconto si potrebbero esplorare. L’amore riguarda tutti noi e se si sfruttassero i mezzi tecnologici avanzati che abbiamo a disposizione potrebbe essere un programma ancora popolarissimo”.
In tv c’è qualcosa che promuove?
“Non la guardo da tanto tempo. Se la accendo ne noto le fragilità e mi irrito. Non riesco più a vederla, nemmeno se si tratta di telegiornali e talk politici. Vado a caccia dei contenuti che mi interessano. Ho figlie giovani, ormai usano il televisore come sottofondo mentre stanno al pc o al cellulare. La tv sta boccheggiando”.