The Handmaid’s Tale 3, la recensione: il terzo atto che passa all’azione
La recensione della terza stagione di The Handmaid’s Tale 3, su TIMVISION dal 6 giugno 2019, che porta il racconto con protagonista Elisabeth Moss a mostrare l’aspetto rivoluzionario di June
Gilead è ancora lì, sui piccoli schermi, e da lontano ci osserva, ci minaccia e ci inquieta. Per fortuna, però, c’è anche June (Elisabeth Moss), il cui sguardo, ora, è decisamente ben differente da quello che abbiamo conosciuto. La terza stagione di The Handmaid’s Tale, che debutta oggi, 6 giugno 2019, su TIMVISION con i primi tre episodi, è il perfetto terzo atto di un racconto la cui evoluzione rispecchia sempre di più i nostri tempi.
La prima stagione dell’acclamata serie Hulu aveva colpito per il mondo distopico che era riuscita a portare in scena: dal libro di Margaret Atwood (che, udite bene, sta lavorando ad un sequel letterario, “The Testaments”) alla serie tv, The Handmaid’s Tale aveva scosso l’opinione pubblica, acceso dibattiti e fatto pensare che non sarebbe stato possibile essere ancora più cupi. La smentita è arrivata con la seconda stagione, sicuramente non una passeggiata dal punto di vista emotivo, ma che è servita a porre le basi per il terzo atto rappresentato, appunto, dalla terza stagione.
-Attenzione: spoiler-
Se nella seconda stagione la protagonista, ormai chiamata definitivamente con il suo nome di battesimo e non da Ancella, ha affrontato una gravidanza, la rassegnazione e quindi il distacco dalla figlia appena nata, nella terza deciderà di alzare la testa.
The Handmaid’s Tale 3 è la stagione della rivolta, tanto auspicata nelle prime due stagioni ma vista ancora da lontano. Ora, invece, è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti: la prima a pensarla così è proprio la protagonista, che sceglie di non scappare in Canada e salvarsi, ma di affidare la figlia ad Emily (Alexis Bledel) e di restare a Gilead per combattere il nemico dall’interno.
Ad aiutarla, oltre ad alcune Ancelle ribelli, anche un insolito alleato, il Comandante Joseph Lawrence (Bradley Whitford), ed alcune Marte. E’ così che The Handmaid’s Tale cambia nuovamente forma e passa da una semplice seppur ipnotica rappresentazione dei fatti ad un thriller in cui l’azione determinerà il futuro dei suoi protagonisti.
Un vento di ribellione, quello a cui assistiamo, che soffia in due direzioni: una è quella dei personaggi sottomessi (leggasi le Ancelle e le Marte), l’altra è quella dell’intero universo femminile della serie. Vista come la nemesi di June nelle prime due stagioni, Serena (Yvonne Strahovski), ora, non diventa alleata della Rivoluzione ma inizia a percepire che qualcosa di sbagliato, nel regime che ha sostenuto, c’è. Ed anche in Canada, dove ritroviamo Moira (Samira Wiley), gli echi di quanto sta succedendo in Gilead arrivano, influenzando pareri ed alimentando timori.
All’ottima confezione presente fin dalla prima stagione, The Handmaid’s Tale ha aggiunto, nella seconda stagione prima e nella terza ora, dei tasselli che hanno alimentato quel corpo da cui è composto la serie. Se prima era immobile, pian piano si è messo in moto, e la sensazione che debba ancora iniziare a correre. The Handmaid’s Tale 3 diventa così una stagione di transizione, che non lascia nulla al caso e che, soprattutto, riesce sempre più inquietantemente a raccontare una realtà da cui scappare, quella Gilead che, a leggere alcune notizie, non è solo lì, sui piccolo schermi, ma anche qui, tra le nostre città.