Home Chernobyl al via su Sky Atlantic: una miniserie dalla doppia anima, tutta da vedere

Chernobyl al via su Sky Atlantic: una miniserie dalla doppia anima, tutta da vedere

La miniserie HBO/Sky arriva in Italia: preparatevi a essere ‘schiaffeggiati’ dalla gravità dei fatti, al netto del racconto molto ‘american way’.

pubblicato 10 Giugno 2019 aggiornato 30 Agosto 2020 18:32

L’attesa è finita: Chernobyl debutta questa sera, lunedì 10 giugno, alle 21.15 in esclusiva su Sky Atlantic e in streaming su NOW TV. La miniserie arriva in Italia sull’onda lunga del successo registrato in USA e in mezza Europa che l’ha fatta balzare al primo posto della classifica dei programmi tv dell’Internet Movie Data Base con un rating di 9,7/10, il più alto mai registrato finora da IMDB.

Le cinque puntate della miniserie HBO/Sky vedono protagonista uno straordinario Jared Harris nel ruolo di Valery Legasov, il primo ad aver seriamente lottato per capire le cause dell’esplosione del Reattore n. 4 della Centrale Nucleare di Chernobyl nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 e il più determinato a far sì che l’Unione Sovietica affrontasse i propri errori in modo da evitare altre catastrofi simili, del tutto possibili visti i difetti nella progettazione degli impianti. Una figura a lungo controversa nell’URSS gorbacioviana, riscattata solo da Eltsin che lo riconobbe Eroe della Patria dopo un lungo oblio punitivo, e che in questa serie diventa da subito l’eroe con qualche macchia e poca paura.

Al suo fianco, un convincente Stellan Skarsgard interpreta il ‘compagno’ Boris Shcherbina, vicepresidente del Consiglio dei ministri sovietico inviato sul posto a gestire il post-catastrofe, combattuto tra la fedeltà cieca alla Grande Madre Russia e la consapevolezza di un disastro di proporzioni planetarie da fronteggiare per tutelare i cittadini sovietici e l’intera umanità.

Completa il trio di eroi in prima linea Emily Watson nel ruolo della pasionaria Ulana Khomyuk, una fisica nucleare sovietica determinata a scoprire le cause di un incidente senza apparenti spiegazioni, frutto di un mix letale di arrogante ambizione e di errori progettuali. E’ la voce della coscienza dell’URSS ed è anche un personaggio creato ad hoc per rappresentare quella parte della comunità scientifica che sfidò il Governo per arrivare alla verità e farla conoscere in primis ai connazionali e poi al mondo.

L’altra faccia del disastro è quella delle vittime, dirette o indirette, del disastro, incarnate da Jessie Buckley ovvero Lyudmilla Ignatenko, giovane moglie un vigile del fuoco ucciso dalle radiazioni e quintessenza della popolazione che si trovò a lasciare le proprie case e il proprio passato per affrontare una vita di dolore e smarrimento.

Una miniserie dalla doppia anima, come abbiamo detto, che nelle prime due puntate si concentra sull’incidente, dalla dinamica alle sue prime conseguenze, con una crudezza nella ricostruzione capace di restituire la sofferenza dei primi soccorritori e la crescente angoscia di chi inizia a realizzare cosa sia davvero successo, insieme alla incredibile impreparazione, e alla straordinaria abnegazione, di chi dovette fronteggiare l’emergenza. Dalla terza puntata quest’anima ‘documentaristica’, quasi docurealistica che vive intorno al personaggio di Lyudmilla e del marito Vasily, lascia spazio all’inchiesta sulle cause e soprattutto al conflitto interiore di chi vuole capire cosa sia successo ma nello stesso tempo non vuole tradire quel che ha sempre rappresentato. L’immagine dell’Unione Sovietica divisa tra la dedizione della popolazione e l’infallibilità del dogma, ma progressivamente crepata dalla coscienza dei singoli, è una prospettiva sicuramente molto occidentale, come hanno notato alcuni critici in Russia, e ricalca di fatto una costruzione fictional cara alla scrittura americana, per alcuni versi un po’ spielberghiana nell’impostazione tendenzialmente manichea tra buoni e cattivi, anche se qui addolcita da eroi che hanno di che farsi perdonare e villains in parte capro espiatorio. La stessa URSS quale ‘entità di regime’ esprime eroi e carnefici, riportando la figura di Gorbaciov in una dimensione meno epica di quella tràdita con Perestrojka e Glasnost. Una visione da Russians di Sting, insomma.

Due anime, quindi, nella combinazione dei generi narrativi, nella fotografia, nella regia – capace di momenti davvero suggestivi -, nella rappresentazione dell’URSS della metà degli anni ’80, nel disegno dei protagonisti, scissi al proprio interno come l’atomo nel nocciolo del reattore. Due anime su cui si sono concentrati gli autori, da Craig Mazin (Il Cacciatore e la Regina di Ghiaccio), che l’ha scritta dopo anni di ricerche, al regista Johan Renck (Breaking BadBlackstar); ricordiamo anche  i produttori esecutivi, che per Sister Pictures sono Jane Featherstone (HumansBroadchurch) e Craig Mazin, mentre per The Mighty Mint sono Carolyn Strauss (Il Trono di Spade, The Wire), con Gabriel Silver per Sky; la serie è co-prodotta da Johan Renck e Chris Fry (HumansThe Smoke) e prodotta da Sanne Wohlenberg (Black Mirror).

Come detto, la miniserie ha suscitato l’ira della Russia putiniana, che ha accusato gli anglosassoni di aver raccontato un sacco di bugie, di aver voluto screditare l’immagine della Russia come centro nevralgico per la produzione di energia, di aver voluto fare propaganda. Al netto delle posizioni politiche, però, un po’ tutti sono d’accordo sulla descrizione macchiettistica dell’URSS dell’epoca. La rete filo-governativa NTV ha già pronta una propria versione dei fatti per la quale non c’è ancora una data di uscita, ma che sta già facendo discutere.

Al netto delle critiche e delle contrapposizioni post-ideologiche da nuova Guerra Fredda, Chernobyl ha sicuramente un drammatico pregio: far capire ai telespettatori che dal 1986 a oggi abbiamo vissuto sottostimando il disastro e che le sue conseguenze sono ancora fortemente (radio)attive, per tutti noi.

 

P.S. Ora attendiamo un’analisi seria su Fukushima, ma questa è un’altra storia. E anche peggiore.

 

 

Sky Atlantic