Home Rai 1 Renzo Arbore a Blogo: “La televisione deve arricchire il pubblico, non impoverirlo. La mia? 50 anni di tv d’autore”

Renzo Arbore a Blogo: “La televisione deve arricchire il pubblico, non impoverirlo. La mia? 50 anni di tv d’autore”

Con lui, la tv si fa arte, da 50 anni. E stasera su Rai 5 si chiude Ll’arte d”o sole con la terza puntata sui 28 anni dell’Orchestra Italiana.

pubblicato 26 Giugno 2019 aggiornato 30 Agosto 2020 18:04

Rifugge le celebrazioni, ma quest’anno festeggia i 50 anni di tv: più che gli omaggi, importano l’apprezzamento e la riconoscenza dell’azienda.

Un maestro d’arte televisiva. Questo è Renzo Arbore, tornato in tv con Ll’arte d”o sole – di cui stasera alle 21.15 va in onda l’ultima puntata – e riuscito a far segnare il record di ascolti a Rai 5. Non c’è da stupirsene, visto che ogni suo ritorno in tv è un evento che registra successi di critica e di pubblico: parlare di, e soprattutto con, Renzo Arbore è un regalo, tra citazioni colte e battute, aneddoti e riflessioni, sincera curiosità e ‘inconsapevoli’ lezioni sulle arti dello spettacolo. Perché Arbore è, ahilui, un maestro, anche se non ama le celebrazioni, gli omaggi, gli anniversari. Gli sono a tal punto estranei che anche quando si è trattato di ‘celebrare’ i 30 anni di Indietro Tutta è riuscito a creare un format nuovo (Indietro Tutta 30 e l’ode), così come per ripercorrere i primi 28 anni della sua Orchestra Italiana ha costruito un viaggio nella cultura partenopea vista attraverso gli occhi di chi se n’è innamorato, in giro per il mondo, anche grazie alla sua particolarissima rilettura dei classici.

Per la gioia di chi ne ama da sempre il genio, lo stile, la cultura e la passione, questo giugno si è presentato alquanto propizio: oltre al ciclo dedicato all’Orchestra Italiana, in onda anche questa sera, mercoledì 26 giugno, in prima serata su Rai 5, lo abbiamo visto ospite unico della seconda puntata di Ieri e Oggi, con Carlo Conti, prima di ritrovarlo lunedì 24 giugno su Rai 2 con Io faccio ‘o show, un concerto registrato al Teatro Regio di Parma, con Renzo Arbore & his Swing Maniacs che si sono tuffati nella storia dello swing italiano e internazionale.

Per farla breve, Arbore è un artista. Come tale, è capace di parlare a ogni tipo di pubblico, facendosi apprezzare da tutti, in virtù di quella capacità – di pochi – di offrire tanti diversi livelli di lettura, ‘speciali per noi’. Difficile però che gli estimatori non si riconoscano tra di loro come in una sorta di ‘setta’, che ha come parole d’ordine personaggi e battute, “Volanti 1 e Volanti 2”, Brodi Primordiali e Cuori T’Oro, Clodomiri e collegi legali del rinomato studio Passalacqua, Pessotto e Murmurea.

Un artista, dicevamo. E per quanto possa sembrar strano, oltre all’arte musicale, cinematografica e teatrale, Arbore è riuscito a definire anche il campo dell’arte televisiva. Un’arte nelle sue mani popolare e colta, come del resto è l’arte stessa, per definizione. Da qui la (mia) necessità di chiamarlo ‘Maestro’, titolo però che ha subito stigmatizzato, con una risata che mi ha immediatamente catapultato in una dimensione confidenziale, ‘casalinga’, accogliente. Come se fossi stata teletrasportata in quel caleidoscopico salotto che raccoglie le sue mille collezioni e fa fatica a contenere la vulcanica energia di chi è capace di surfare sulle epoche.

Intanto, posso chiamarla “maestro”?

Maestro?! (Sorride) Va bene, lo prendo come un ‘fatto’ di musica, nel senso di ‘musicista’ innanzitutto, e quindi va bene. Vittorio Gassman mi aveva messo in guardia: “Attenzione, quando ti chiamano maestro vuol dire che è cominciata la fase discendente!”. (Ride) Adesso tocca a me. Però mi diverte, perché mi chiamano “maestro” anche per strada.

Lei rifugge dalle celebrazioni, ma in realtà ogni suo ritorno è celebrato come un evento vero e proprio da critica e pubblico. Basti pensare all’ascolto record de “Ll’Arte d”o sole”….

Eh beh, vabbè… (si schermisce sorridendo). Devo dire che ho lavorato volentieri in questi anni per Rai Cultura: ho fatto le quattro puntate per Mariangela Melato, “Napoli Signora” con Raffaele La Capria, il programma sul jazz in Italia con Pupi Avati. Sempre per Rai Storia ho fatto un programma sulla vecchia radio che abbiamo fatto io e Boncompagni… Mi piace fare delle cose d’autore, di qualità, quindi anche se qualche volta mi ‘infilo’ in qualche nicchia per cifre irrisorie lo faccio volentieri. Non sempre mi viene riconosciuta questa generosità e questo è un po’ un rammarico…

La sua è una tv sempre elegante, anche quella più goliardica. E penso ad Alto gradimento…

Della goliardia ho preso la parte migliore. Quando unisci il basso con l’alto e ti diverti con la cultura, fai un umorismo goliardico. Purtroppo, l’aggettivo è stato utilizzato male, per dire cose volgari. Invece non è così. Andrebbe ripulita l’immagine della buona goliardia, di quella vera: l’hanno ‘praticata’ professionisti, scienziati, ingegneri, intellettuali. Voglio ricordare che De Crescenzo, Craxi, Pannella, Eugenio Scalfari erano tutti goliardi.

Anche Umberto Eco. L’Università di Bologna ne è la culla.

Io ho avuto l’unica Laurea mai conferita in Goliardia proprio dall’Università di Bologna, da Umberto Eco. L’ho avuta per “Il clarinetto”, pensa tu…

Ma questa “Ll’arte d”o sole” poteva arrivare su Rai 2? È stata una sua scelta quella di realizzarlo per Rai 5?

In verità, è stata un’idea mia e del vicedirettore del CPTv Rai di Napoli, Antonio Parlati. Quando dovevamo distruggere la bellissima scenografia di Cappellini e Licheri di “Guarda… stupisci”, con quella Napoli un po’ kitsch, paesana, bella, con San Gennaro, il mare… bellissima davvero, ho pensato di riutilizzarla offrendo a Rai 5 un programma in tre puntate con i filmati, fatti a mie spese naturalmente, che mi sono portato dai miei concerti nel mondo con l’Orchestra Italiana. Ll’arte d”o sole nasce così e ha avuto un successo che neanche noi speravamo. È un fatto insolito, perché sempre di canzoni napoletane si tratta. Ascolti a parte, i commenti sui social sono stati tutti positivi, tranne qualcuno che si è lamentato della mancanza di qualche sottotitolo. Però, insomma, su… con Maurizio Casagrande si capiva anche il napoletano.

Il programma celebra i primi 28 anni dell’Orchestra Italiana. Ma a lei piacerebbe una serata-omaggio come quella recentemente regalata a Pippo Baudo per i suoi 60 anni di carriera?

Celebrazioni?! Ma no. Io sono in piena attività! (Sorride) Ponza, Napoli, Molfetta, L’Aquila, Brindisi: sono alcune delle prossime date con l’Orchestra Italiana. Nooo, le celebrazioni non le voglio, diciamo che vorrei il riconoscimento.

Il riconoscimento viene di certo dal pubblico, come testimoniano gli ascolti…

Sì, ma continuo a ritenere che dovrebbe tornare l’indice di gradimento. Tanti programmi sono visti, anche quelli brutti; anzi molto spesso i brutti sono più visti. Io ho sempre tenuto conto del gradimento, cioè fare un programma anche minoritario, però apprezzato da chi lo vede. Un programma amato, ecco. È successo così con “Quelli della notte”. Non è che lo abbiano visto molti milioni di telespettatori, però l’hanno amato. È diventata l’etichetta più famosa della Rai dopo “Lascia o raddoppia”.

Se volessimo dare una sorta di definizione alla sua tv, quale potrebbe essere?

Televisione d’autore. Si chiama così. È come una piccola opera, come un pezzo d’autore. La mia è una televisione d’autore. Diciamo che, senza velleità, io volevo fare l’artista, dunque ho cercato sempre di fare una televisione artistica. Capisco che la parola metta in imbarazzo tutti i televisivi, perché non la usano mai. Non hai mai sentito la parola “artisti”.

In effetti, il concetto e la definizione di arte televisiva è difficile da inquadrare, soprattutto se penso a questi ultimi anni…

Sarà anche difficile, ma noi abbiamo fatto la televisione più bella del mondo, come dico sempre io. E quando dico io mi riferisco alla ‘mia generazione’, non d’età ma di ‘spirito’, quella di Corrado, di Raffaella Carrà, di Enzo Trapani, del periodo di “Non stop”, del meraviglioso Trio Marchesini – Solenghi – Lopex, di Raimondo e Sandra… noi avevamo velleità artistiche. La nostra è una tv artistica. Quella è la Rai che si ricorda, perché quella era la televisione più bella del mondo. E l’archivio è ricchissimo, da cui il successo di Techetechetè.

Oggi la nostra non è più la televisione più bella del mondo?

No. È una televisione allegra. Però simile alle altre. Molte interviste, interviste, interviste…

Però l’abbiamo vista recentemente in un programma ‘di interviste’, peraltro di grande successo, la “Domenica In” di Mara Venier. Come è stato tornare in quella domenica pomeriggio?

Mara va benissimo perché finalmente regala un sorriso. Il problema vero, il latitante, è il sorriso. Della risata non ne parliamo. È rara. Bisogna affidarsi a Frassica per avere la risata bella. E a Crozza, per la verità. Ma il sorriso ormai, fortunatamente, lo vende Mara. È importante.

Lei non si ripete. Questo è forse anche uno dei segreti dell’eccezionalità della sua produzione…

Per la tv ho creato 16 diversi format. Ma siamo in un’epoca in cui si fanno magari 16 edizioni dello stesso programma. Dal primo, Speciale per voi, a L’altra Domenica, TelePatria International, con Paolo Villaggio che faceva Cristoforo Colombo e Benigni che faceva Dante, Cari amici vicini e lontani, lo speciale per i sessant’anni della radio, che fece 18 milioni di telespettatori, Quelli della notte e Indietro tutta, Doc, il Processo a Sanremo, Meno siamo, meglio stiamo, Caro Totò, ti voglio presentare, Indietro tutta 30 e lode e tante altre cosine. Insomma, ho inventato 16 format. L’ultimo è Guarda… stupisci, con l’idea di far vedere ai Millennials le canzoni antiche. L’obiettivo era farle vedere al pubblico di ragazzi, che non sa che quelle canzoni avevano i meccanismi umoristici con i quali si fa ridere.

A proposito di celebrazioni, quest’anno ricorrono i 50 anni dalla sua prima volta in tv…

E sì, quest’anno festeggio i cinquant’anni di televisione, perché nel 1969 ho fatto “Speciale per voi”, da Milano. La prima edizione era in bianco e nero, con l’Equipe84, Lucio Battisti, Patty Bravo, Cochi e Renato, Paolo Villaggio, tutti ospiti meravigliosi.

C’è l’idea di portare, magari con il suo diciassettesimo format o il sedicesimo bis, questi 50 anni in tv?

Sì, sto lavorando a un programma che mescola il web con le reti. Io sono un grande ‘navigatore’ di televisione e lo dimostra il mio ‘canale’ online, aperto tanti anni fa RenzoArboreChannel.tv, dove faccio una selezione di cose televisive, ma anche di altro genere, musicali, artistiche e cinematografiche che si trovano on su . L’idea è quella di fare un programma dove dovrei fare il video-jockey: siccome sono stato il primo disc-jockey, mi piacerebbe essere anche il primo video-jockey, raccogliendo e proponendo contributi da YouTube per far conoscere al grande pubblico della televisione le cose che scopro navigando nottetempo. Sono cose che si devono conoscere e che spesso non conoscono neanche i frequentatori della rete, perché spesso la usano solo per vedere le cose ‘sensazionali’ e ridicole. Il titolo è De Gustibus.

Semel in anno licet insavire. Se un giorno ‘impazzisse’, cosa le piacerebbe riportare in tv di suo, magari rivisto e corretto all’alba del quasi 2020?

Per la verità, non penso a una cosa del passato. Anche perché sono state viste tante cose. Ci sono idee che potrebbero essere riprese tale e quali. Per esempio, L’altra domenica, con le corrispondenze da tutte le capitali del mondo dello spettacolo, è un’idea eterna. Corrisponde a quelle cose americane come “That’s entertainment”. È un programma di informazione su quello che succede nel mondo dello spettacolo in tutto il mondo e in Italia. Però L’altra domenica è una formula che ho già fatto con successo per tre anni e mezzo. Adesso la cosa che mi affascina di più è il web.

Come giustamente fanno i maestri, lei guarda all’educazione dei ragazzi.

Guardo alla formazione nel senso che la mia televisione deve arricchire il pubblico, non impoverirlo, come fa molta televisione. “Arricchire” significa fare vedere che le canzoni napoletane, come è successo in questa occasione, sono famose in tutti i continenti. Sono apprezzate, elettrizzanti e grandissime in tutto il mondo. Credo che il principale merito di “L’arte do sole” sia quello di aver fatto rivivere la cultura napoletana classica, erroneamente dimenticata perfino da molti artisti napoletani che ritenevano quelle canzoni cose del passato. Invece non sono del passato, sono eterne, come il melodramma, come le canzoni brasiliane di Vinicius de Moraes o come le canzoni di George Gershwin. Sono canzoni eterne.

Posso dire che è anche un modo per rinnovare l’orgoglio di una tradizione che mai come in questo momento sembra essere soffocata da un certo modo di fare politica, concentrata sulla divisione e la contrapposizione dell’uno contro l’altro.

Certamente, la mia voce è proprio quella della positività. Non è mio compito far vedere la Napoli negativa. Lo fanno altri. Io faccio vedere la Napoli grande capitale della cultura. L’ho portata in giro per il mondo, facendola apprezzare attraverso le note bellissime della musica. Dal punto di vista della natura, poi, Napoli non ha rivali nel mondo.

La Rai si è resa conto di quanto Arbore sia, da 50 anni, una delle sue colonne portanti, capace di segnare il costume italiano e il nostro linguaggio tv? 

Spero di sì. Mi dispiacerebbe molto il contrario.

 

Rai 1Rai 5