Chernobyl, il liquidatore suicida e la tv che riaccende un dibattito in realtà mai spento
Nagashibay Zhusupov, uno dei liquidatori di Chernobyl, si sarebbe tolto la vita, secondo la figlia, dopo aver visto la miniserie Hbo e Sky, che in queste settimane ha riacceso un dibattito e dimostrato che la serialità può entrare nei ricordi, emozionare e non far dimenticare senza essere scontata
La storia del disastro nucleare di Chernobyl è fatta di numerosi personaggi. Le loro storie sono state raccontate abilmente nella miniserie che Sky Atlantic ha mandato in onda in queste settimane (l’ultima puntata è stata trasmessa l’8 luglio scorso) e che ha riaperto una ferita tra tutti coloro che a Chernobyl, in quei giorni e settimane dopo il 26 aprile 1986 c’erano.
Tra queste persone, anche Nagashibay Zhusupov, 61enne che il mese scorso si sarebbe tolto la vita gettandosi dal tetto di un edificio di cinque piani ad Aktobe, in Kazakhstan. Una tragedia che assume dei contorni, se possibile, ancora più drammatici se si leggono le dichiarazioni della figlia dell’uomo, secondo cui il padre si sarebbe tolto la vita dopo che la miniserie gli ha riportato alla mente ricordi troppo dolorosi, nonché quello che definiva un vero e proprio tradimento da parte dello Stato.
Ai tempi del disastro Zhusupov, come tante altre persone in cerca di una fonte di sostentamento per la propria famiglia, accettò di diventare uno dei “liquidatori”, ovvero quelle figure (mostrate anche all’interno della serie) a cui è andato il compito inizialmente di ripulire il tetto parzialmente inesploso del reattore numero 4 e successivamente di occuparsi del trattamento del territorio circostante. Operazioni semplici ma che richiedevano il massimo della concentrazione, della protezione e della velocità per evitare di restare esposti alle contaminazioni troppo a lungo.
Ai liquidatori erano state garantite alcune ricompense per il loro lavoro, tra cui la possibilità di usufruire di un alloggio popolare. Ma, stando alle parole della figlia di Zhusupov, Gaukhar, non ci fu nessun appartamento per la sua famiglia (composta oltre che da lui, dalla moglie e da cinque figli), che invece fu costretta ad andare a vivere in un dormitorio con poche stanze.
Gaukhar ha raccontato al Daily Mail di aver visto il padre guardare la miniserie “con le lacrime agli occhi”, tanto erano dolorosi i ricordi che le scene trasmesse gli evocavano. A confermare l’amarezza che provava per quanto gli fosse stato promesso ma mai mantenuto, anche alcuni amici della vittima e Bakitzhan Satov, a capo dell’organizzazione che rappresenta tutti i liquidatori (uno status che è stato attribuito a circa 600mila persone).
Quella del suicidio dopo aver visto la miniserie, sia chiaro, resta una teoria della famiglia e degli amici dell’uomo, ma ciò che colpisce di questa notizia è come Chernobyl abbia davvero colpito gli animi di tutti. La miniserie prodotta dalla Hbo e da Sky ha riaperto un dibattito (che forse non si era mai chiuso, ma solo sopito) su colpe e responsabilità, e sull’eterno contrasto Usa-Russia (con quest’ultima pronta a sfoderare la sua versione dei fatti con un’altra miniserie che fa cadere le colpe sulla presunta presenza di spie della Cia sul luogo del disastro).
Un dibattito che non può fare altro che tenere vivo il ricordo delle numerose vittime di questa tragedia e fare da monito per le scelte del futuro. Un dibattito che, com’è giusto che sia, possa essere alimentato anche da un racconto televisivo, attinente alla realtà e con le dovute modifiche del caso, e che possa inserirsi in un processo di informazione storica che possa passare anche da un medium troppo spesso considerato superficiale come il piccolo schermo.