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Il cassetto dei format di Gianluca Giardi

Gianluca Giardi un autore racconta di uno dei suoi format mai nati, Fun Club un quiz musicale in cui nessuno ha creduto, mentre spiega come Mafia University su Raiplay sia stata un’occasione sprecata dall Rai per fare contenuti sul web.

pubblicato 12 Settembre 2019 aggiornato 30 Agosto 2020 14:50

Da ragazzino, mentre il padre si faceva la barba prima di andare al lavoro, lo convinse che si poteva guadagnare facendo un mestiere legato all’arte, alla creazione: così riuscì a iscriversi al liceo artistico. Ora Gianluca Giardi ha 47 anni ed è anche un autore  televisivo, ma non solo. Tempo fa si era ritirato in campagna, per suonare senza dare fastidio ai vicini, adesso è di nuovo a Roma. Disegna e insegna alla LUISS, si è cimentato in molti ambiti della comunicazione, anche  troppi  per raccontarli tutti. Non ho fatto neanche in tempo a conoscerlo (me ne avevano parlato degli amici), ma ho deciso di ascoltarlo. Un esempio di creativo  trasversale, un tempo tipicamente rinascimentale senza far paragoni, è  attivo su molti fronti ma, allorquando ha scritto per la tv, è rimasto col paper format in mano; come si diceva con Daniela D’Uva,  parlando di eventuali idee italiane per nuovi programmi. Il suo format nel casseto si chiama Fun Club – Il musiquiz, scritto nel lontano 2007, anno in cui il pubblico della platea televisiva nazionale acquistava per la prima volta oltre un milione di decoder, tanto per capirci.

Hai approcciato alla tv attraverso la musica, visto anche il genere di paper format che vediamo uscire oggi dal tuo cassetto?

No assolutamente, ho sempre guardato molta tv, perché è un mezzo che ho sempre reputato molto potente, istintivamente la codificavo anche senza avere ada giovane specfici mezzi culturali. Nasco come disegnatore e scultore.  Osservo la realtà e la riproduco semplificando strutture complesse. Credo che allo stesso modo guardassi i programmi da ragazzo, poi ho cominciato ad immaginarli e progettarli.

Come mai hai scritto un format sulla musica?

Quando scrissi questo programma insegnavo tecniche di preproduzione cinematografica, facevo il visualaizer creando gli storyboard. Conobbi un’autrice, Francesca Fini, mi chiese di aiutarla su un format che stava già creando. Anche lei amava la musica, così insieme pensammo Fun Club – Fans sfegatati a confronto. Cover band che partecipano ad un quiz in uno show animato da due fans club in gara per chi ne sa di più sull’artista preferito.

Ci racconti com’è nata l’idea? 

Se consideri uno dei quiz show più importanti come Lascia o raddoppia, l’impianto narrativo vincente del quiz era che avevano dei concorrenti iper preparati su alcune materie. Ho pensato, chi più di un fan conosce un artista? Ancor più un gruppo di persone con la stessa passione che hanno condiviso la loro conoscenza di una star musicale. Si parla di qualcuno noto a tutto il pubblico ed inoltre ho inserito una parte di show importante, dove i fun impersonificano l’artista e si esibiscono, dei performers in un quiz praticamente.

Ne avrai visti di tutti i tipi, anche maniacali

Il cantante di una band che impersonificava gli Aerosmith si era rifatto le labbra per somigliare a Steven Tyler, il frontman del gruppo. Patiti che vivono nel mito, però con la loro passione possono, nell’economia complessiva del programma, portare un contributo per un divertente approfondimento.

Non è andato in onda però

Non ho puntato in alto , probabilmente dovevo andare all’estero. In Italia nessuno rischia, hanno paura di investire. Ho portato il format a vari canali. Al tempo collaboravo come autore e regista per Mediaset. Lo portai a Fatma Ruffini, in realtà parlai con Leo Zani, poi lo portai alla casa di produzione di Colorado dove cercavano uno stand up show per Diego Abbatantuono. Ricordo anche che passai per Magnolia e Stand by me, ma niente da fare. Se poi pensi poi che gli arrivano tante di quelle cose continuamente… credo che realmente e nessuno si prenda la briga di considerare realmente i paper format: ripeto hanno paura, quindi picche. All’estero invece lo fanno con condizioni di mercato simili.

Daniela D’Uva di Endemol Shine ha dato una spiegazione chiara sul mercato dei format, portando l’esempio di Israele ed evidenziando i motivi per cui in Italia i paper format non diventano mai programmi.

Ha parlato un personaggio del mainstream, non la conosco personalmente quindi faccio una considerazione generale. In Italia si adattano format che compriamo, continuando ad alimentare una diffusa mediocrità. Israele è il terzo produttore al mondo di format tv in quanto gli ebrei considerano il fallimento e l’errore come una tappa obbligatoria. Noi siamo più pavidi, mettiamola così!

Nessuno che ti ricordi ha mai scommesso su di te in tv, format a parte?

Sì, Davide Parenti ad esempio. Con lui parlai per oltre due ore, volevo fare qualcosa per le Iene, un programma che spesso si sostituisce egregiamente al servizio pubblico.

Una persona che ascolta e cerca di capire chi ha davanti ogni tanto si incontra.

Tentò di scoraggiarmi in tutti i modi dandomi anche del falito, “”alla tua età ancora ‘sta roba vuoi fare?” mi disse, in un  dialogo sincero che ricordo con piacere essendomi certamente arricchito. Ho rivalutato Mediaset trovandola comunque più meritocratica. In Rai mi han chiesto “a chi sei figlio, non ho mai sentito il tuo cognome?” Questo almeno è capitato a me, Mediaset è un’azienda privata e come tale un minimo in più deve pur sempre farlo…

La Rai è una grande e complessa entità.

Con loro ricordo un’esperienza in particolare. Mafia University, la prima web comedy nella storia della Rai, un format nato e poi lasciato morire. Frequentai un corso per diventare autori. Il concorso RaiLab per nuovi talenti, una sorta di master a pagamento per regisiti, intrattenitori vari, attori e autori.  A noi autori dissero di inventare un format originale audiovideo per il web, utilizzando le persone nell’aula ed effettivamente il materiale umano che anelava ad un mestiere artistico non mancava, c’erano diverse figure in cerca di una via, un po’ da tutta l’Italia.

E dunque?

Ho inventato Mafia University, partendo dal concetto che le aziende sono in crisi e chiudono, loro sono quelli che assumono ma vogliono solo laureati (un po’come la vicenda dei bidelli e dei netturbini). C’erano il toscano, il siciliano, la sgallettata, il rapper. Scritto, girato, montato e graficato come si suol dire. Sono andate le puntate su RaiPlay un po’ cassato dalla rai, diciamo stravolto e mutilato. Io ne hofatte altre che stanno su youtube.

Ce l’hai con la Rai?

Non ce l’ho con nessuno, a volte però ho come l’impressione che le cose le facciano tanto per farle, giusto per movimentare, come dire…

Facciamo un passo indietro, cosa hai studiato?

Voglio raccontarti un aneddoto dirimente nella mia vita. Finite le medie io volevo fare il liceo artistico. Mio padre aveva fatto ragioneria e poi legge, un avvocato ed i miei fratelli han fatto lo stesso percorso in seguito. Scadevano le iscrizioni ed io non sapevo proprio come fare, ma volevo frequentare quella scuola. Una mattina mi alzai prestissimo per intercettare mio padre prima che andasse in studio. Dovevo convincerlo che si poteva guadagnare anche scegliendo quel tipo di indirizzo di studi. Così mentre si faceva la barba, davanti lo specchio del bagno, gli dissi: la vedi la scatola di cerotti, il rasoio che hai in mano e lo specchio e la lampada che hai comprato? Qualcuno li ha disegnati, quindi lo posso fare anche io!

Com’è andata a finire?

Lo convinsi. Mi accompagnò il primo giorno di scuola e arrivammo tardi. Il bidello aprì il portone, lui guardò all’interno e trasalì. Personaggi alternativi con ciuffi gialle e blu si aggiravano nell’androne. Mi guardò e non disse niente, ma non dimenticherò mai il suo sguardo: era terrorizzato.

Pentito?

Sì per un certo verso, il liceo artistico non ti prepara alla vita. Ma sono questo, sono così e va bene. Pentirsi non serve di certo sono, come dire, uscito fuori campo familiare in Italia, con tutte le incertezze che ti trasferisce la famiglia e non solo.

Hai una tua famiglia?

Sono fidanzato con Mariateresa un medico che mi riporta con i piedi a terra.

Concludendo, possiamo parlare di una certa pigrizia mentale da parte di chi dovrebbe incentivare per tanti motivi le idee degli autori italiani nel mercato dei format tv?

Pigrizia? Magari: le nuove aziende di ogni tipo assumono solo manager particolarmente pigri, in quanto risolvono i problemi con il minimo sforzo e la minima spesa. Qui si tratta di gente che ha paura e pensa solo ad incassare finché potrà.