Giorgio Ambrosoli – Il prezzo del coraggio, un racconto sul filo del rasoio
Alessio Boni è Giorgio Ambrosoli nella docufiction in onda su Rai 1 nel 40° anniversario dell’omicidio del commissario liquidatore della banca di Sindona.
Il genere ‘docufiction’ sembra ormai aver sostituito il film tv/miniserie biopic classico/a, il che non è necessariamente un male se costruito con equilibrio come questo Giorgio Ambrosoli – Il Prezzo del Coraggio. Dopo un tentativo di raccontare Nilde Iotti del tutto sfocato e un racconto di Piazza Fontana che ha scavato il fondo dello stereotipo soap nelle scene e nei dialoghi, Il Prezzo del Coraggio prova a far fare pace con un genere che fatica ancora a trovare una quadra narrativa organica.
Confezione sicuramente curata e centrata, interpreti fictional di spessore nei suoi protagonisti – Boni e Castrogiovanni -, ma linee pubbliche e private che faticano a trovare un amalgama. Un aspetto certo dovuto alla natura stessa del racconto: semplificare cinque anni di indagini su una materia contorta come il sistema di scatole cinesi messo in piedi da Sindona e rendere leggibili gli intrecci di corruzione, interessi e potere tra Sindona, la politica, i partiti, le istituzioni, la malavita, la Chiesa è materia certo ardua per un titolo fictional destinato al prime time di Rai 1 che cerca di unire i toni avvolgenti della classica fiction Rai al rigore di Report, senza eccedere nei tecnicismi da cambio canale. Un lavoro sul filo del rasoio, un po’ come quello dello stesso Ambrosoli. Il tutto però finisce per essere una semplice infarinatura sui fatti che porta in superficie solo gli elementi capaci di polarizzare il racconto, di individuare senza dubbio i buoni e i cattivi. Una materia troppo ostica per essere pienamente portata sullo schermo, ma dall’altra parte c’è la voglia di ricordare un uomo al di là degli intrighi di potere, che però restano il vero ‘villain’, incarnato da un Sindona qui macchiettistico.
Una navigazione in mari difficili, quindi, quella di questa docufiction che comunque riesce a dare il meglio nella rappresentazione del lavoro di Ambrosoli e Novembre, sia sul piano fictional che sui contenuti documentaristici. Fin quando la voce fuori campo (di grande efficacia grazie al tono secco delle parole di Novembre e all’interpretazione dritta di Castrogiovanni), la fiction e le testimonianze convergono nel dipanare l’intreccio machiavellico degli affari di Sindona attraverso il lavoro e le parole dei protagonisti (inclusi i più stretti collaboratori dell’avvocato e delle figure tecniche chiamate a cucire i fili del racconto con i loro raccordi), la navigazione procede spedita. Quando entrano in gioco i ‘comprimari’ la goletta della giustizia scarroccia, indugiando sulle ritrite derive della fictional più superficiale. Succede soprattutto con le scene di famiglia, con una Roncione che sembra esattamente l’opposto di quella Annalori che si racconta alle telecamere, o con una colonna sonora che concede troppo alla retorica, o con le scene ricostruite con Sindona, che – forse per effetto di un croma-key non perfetto – sembrano quasi una parodia rispetto al resto. Almeno per la parte di famiglia, si riesce a compensare con filmati d’epoca che creano immediatamente empatia con quell’uomo davvero comune nell’aspetto e nello sguardo che fuma, sorride e gioca con i figli. E di fronte alla forza della sua figura, rischia di vacillare anche la solidità interpretativa di Boni.
Il rischio di queste docufiction è in fondo sempre lo stesso: la forza narrativa delle testimonianze dirette e delle immagini di repertorio trasforma la parte fictional in una spuma, magari carina da vedere, piacevole da assaggiare, ma difficilmente essenziale ad arricchire il gusto della bevanda, che invece viene fuori in tutta la sua potenza proprio quando la spuma svanisce. Eppure Il prezzo del coraggio riesce a offrire un momento di riuscita simbiosi tra le due anime del progetto nella telefonata che unisce l’interpretazione di Boni e l’audio originale. Un ottimo intreccio, che anche questa volta rischia di giocare a sfavore della ‘fiction’, con Boni spettatore del suo personaggio, ma che nello stesso tempo crea un cortocircuito diegetico ed extradiegetico di grande suggestione.
Un prodotto di grande stile nella scrittura e nella confezione, quindi. E se dovesse esserci qualche dubbio si pensi alla collocazione degli estratti dell’intervista di Andreotti a La Storia siamo Noi. Se si fosse chiusa col celeberrimo passaggio del “se l’è andata a cercare”, la docufiction avrebbe espresso il massimo e se forse stata trasmessa da Rai 3 forse si sarebbe conclusa proprio così. Ma Rai 1 vuole una chiosa diversa: e allora si prosegue con l’omaggio civile, con il prezioso ricordo del figlio e con il momento forse più commovente, l’omaggio di Silvio Novembre. Una commozione che coinvolge il telespettatore anche perché il racconto è riuscito a rendere il rapporto e l’impegno di questi due servitori dello Stato. E come spesso accade i servitori più fedeli sono quelli più calpestati.
Giorgio Ambrosoli – Il prezzo del coraggio, su Rai 1 la docufiction per ricordare ‘l’eroe borghese’
11 Luglio 1979: l’avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, viene ucciso sotto casa. Dopo 5 anni di indagini sul crack della banca di Sindona, di pressioni e ripetute minacce, Ambrosoli muore per mano di un killer assoldato dallo stesso Sindona. 40 anni dopo Rai 1 ne ricorda la figura e ripercorre gli eventi di quell’intreccio di interessi pubblici e privati che per oltre un decennio, dalla metà degli anni ’70 alla metà degli anni ’80, hanno segnato alcuni dei misteri insoluti (o quasi) della politica e dell’economia italiana.
Per la sua decisa opposizione a ogni forma di corruzione e per la sua determinazione a portare a termine il compito assegnatogli, Ambrosoli viene ricordato come ‘l’eroe borghese’, come un uomo ligio al dovere comme il-faut, ma come raramente accade. Punta invece su “Il prezzo del coraggio” il sottotitolo scelto per la docufiction in onda questa sera, mercoledì 18 dicembre, su Rai 1 alle 21.20.
Prodotta da Stand by me in collaborazione con Rai Fiction, la docu-fiction originale si affida all’intreccio di materiali documentaristici e ricostruzioni fictional per raccontare la storia dell’uomo e i gangli che lo avvolsero, affidandosi all’interpretazione di Alessio Boni (Giorgio Ambrosoli), Dajana Roncione (Annalori Ambrosoli), Claudio Castrogiovanni (Silvio Novembre), Fabrizio Ferracane (Michele Sindona) e a materiali di repertorio, documenti esclusivi e testimonianze inedite, tra cui l’intervista alla moglie Annalori e l’intervento del figlio Umberto Ambrosoli, che ha collaborato alla realizzazione del docufilm.
La storia si concentra proprio sui 5 anni di inchieste sul crack della Banca Privata Italiana e si muove dall’ottobre del 1974 all’omicidio di Ambrosoli, avvenuto l’11 luglio 1979, ed è raccontata dal punto di vista del maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre, recentemente scomparso, che fu accanto ad Ambrosoli nei cinque anni del suo incarico. Sua la voce fuori campo – interpretata da Claudio Castrogiovanni -, sue le parole, raccolte nelle varie interviste che ha rilasciato negli anni: un viaggio che promette di essere soprattutto pubblico, rivolto meno al privato di un uomo che ha lasciato una moglie e tre figli, e più al lavoro, integerrimo nei modi e scrupoloso nella sostanza, che svolse nei cinque anni di indagine, nel quale si possono osservare gli snodi di un sistema politico-finanziario corrotto mai sufficientemente stigmatizzato. A fare da traccia al racconto tv alcuni documenti chiave come le agende private, in cui Ambrosoli annotava tutto, custodite nell’Ufficio Corpi di Reato del Tribunale di Milano, e gli atti relativi alla Banca Privata Italiana e alla sua liquidazione, che dopo il deposito presso l’archivio della Camera di Commercio di Milano sono stati resi disponibili al pubblico solo alla fine del 2016.
Tra le testimonianze raccolte anche quelle degli amici di famiglia Giorgio Balzaretti e Franco Mugnai, del professor Vittorio Coda e dell’avvocato Sinibaldo Tino, che affiancarono Ambrosoli nel lavoro di liquidazione, dei magistrati Gherardo Colombo e Giuliano Turone, incaricati dei processi a carico di Sindona, dello scrittore Corrado Stajano che fu il primo a ricordarlo e a ‘definirlo’ “Un eroe borghese”. E ancora il giornalista Antonio Calabrò, Anna Maria Tarantola e il procuratore americano John Kenney, titolare delle indagini sul fallimento della Franklin Bank di Sindona, che collaborò assiduamente con Ambrosoli.