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Sanremo 2020, in regia c’è dello stacchismo…

La regia tv di Sanremo 2020 non ha supportato il racconto televisivo: lo stile di Vicario spezzetta le esibizioni e soffoca le esibizioni dei Big.

pubblicato 8 Febbraio 2020 aggiornato 19 Novembre 2020 17:45

 

Sanremo 2020 sarà ricordato come il Festival di Bugo e Morgan, con buona pace di Fiorello, di Ferro e di Amadeus. L’esibizione interrotta, la squalifica, le liti notturne hanno animato la quarta serata di un Sanremo apertosi nel segno della pace universale evocata da Don Fiorello e ha aperto la strada a una giornata finale che ha visto Bugo e Morgan più richiesti di una Lady Gaga. Doveva essere il Festival dell’amicizia, con la consacrazione del sogno quarantennale dei ragazzi di Deejay Television, ma la family allargata a TZN ha vissuto una settimana nel turbine di hashtag capiti male, di shitstorm, di tensioni superflue, di non detti che si sono trasformati in casi da retroscenismo spinto. Ma è stata un’altra amicizia distrutta da un’esibizione spezzata in diretta sul palco dell’Ariston ad aver catalizzato l’attenzione.

A proposito di esibizioni spezzate, Sanremo 2020 non è stato un Festival televisivo. Non lo è stato sul piano della scrittura né nella costruzione di una gara capace di tenere tutte le canzoni dentro i limiti della sopportazione umana di un prime time, per quanto eccezionale come quello sanremese. Non lo è stato neppure sul piano audiovisivo: lo stile di Stefano Vicario, con i suoi continui stacchi, la sua passione per i campi stretti sugli strumenti musicali mentre il performer canta – interpreta, si esibisce, narra -, con la camera centrale stretta e sempre mossa, con quella tendenza a vestire tutte le canzoni in gara con lo stesso abito non ha aiutato canzoni e artisti a superare la quarta parete. L’emozione è arrivata dalla voce: se è stata una scelta per omaggiare il sottotesto storico del Festival nato 70 anni fa in radio, beh siamo vicini al genio. Altrimenti siamo lontani dalla forza narrativa che le immagini dall’Ariston possono regalare. E che negli anni hanno saputo regalare.

La regia di quest’anno ha sofferto di un male comune in tv, ovvero l’idea che il ritmo nasca dallo stacco nervoso, dall’alternanza di campi e piani, dalle panoramiche suggestive, dal controcampo. Un esempio? Amadeus chiede ad Al Bano, Romina e Romina Jr uno scatto di famiglia coinvolgendo i fotografi in galleria e la regia stacca sui fotografi in galleria. Inquadratura pulita di famiglia non pervenuta.  Altro esempio? Il performer LIS sul pezzo de Le Vibrazioni che scompare o è impallato.

Anche la scenografia sembra non aiutare: molte le ombre sul palco, l’orchestra stessa schiacciata sui laterali, il dolly che affianca il Golfo Mistico impallato dagli orchestrali. E la sedia gialla di Cristicchi, elemento narrativo centrale di Ti regalerò una rosa da 10 anni, nascosta all’immagine è una delle cartine al tornasole di questa regia che si è persa in stacchi narrativamente, emozionalmente, visivamente superflui, per non dire inutili. E verrebbe da aggiungere anche poco a tempo sulla musica. A volte sembrava che ci fosse un preset unico per tutte le canzoni in gara, senza uno studio e una preparazione quantomeno imbastita per caratterizzare in qualche modo i brani a seconda dello stile, dell’interprete, del testo, della musica. Non sarebbe stata certo la prima volta. Va bene l’emozione dell’improvvisazione – e con Fiorello ci sta dover essere sempre all’erta per cogliere il momento migliore – ma senza un pizzico di costruzione diventa tutto piatto. Anche con 15 camere si rischia di avere l’effetto ‘triangolo a 180°’.

L’esempio più evidente per me è tutto nella prima esibizione di Elettra Lamborghini: la coreografia vista in prova scompare (insieme al resto), il twerking annunciatissimo recuperato al volo con uno zoom che stringe sul lato B che non considererei particolarmente elegante, l’inquadratura dal collo alla mano fa un po’ effetto annegamento. Insomma, da casa non si ha la sensazione di vivere il Festival sul palco, come successo altre volte, ma si ha la sensazione di trovarsi un  po’ per caso dalle parti dell’Ariston. Immagini sporche e cantanti nascosti da altro: la pulizia vista in altre occasioni sembra un miraggio. Qualche eccezione c’è stata, come il duetto di Achille Lauro e Annalisa su Gli Uomini non Cambiano, come se la sola canzone in gara e il big in competizione in sé non fossero sufficienti a giustificare una costruzione narrativa ad hoc. Ma Sanremo, si sa, non sono solo Canzonette.

Certo, ci sono i gusti. Ma poi ci sono gli elementi oggettivi. E se anche il pubblico a casa, non addetto ai lavori, ha notato distonie e dissonanze tra musica, esibizione, palco e scenografia (i fiori giustapposti alla Terza Serata restano nella memoria) vuol dire che qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto. Anzi, ha funzionato male.

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