Nelle difficoltà si vede (ancor di più) la differenza: dimmi con chi parli di Coronavirus e ti dirò chi sei…
La tv in diretta scarseggia: c’è chi resiste per informare modificando radicalmente i programmi, c’è chi continua ad alimentare solo target ed ego.
La domenica tv è forse il giorno più live di tutti: con i programmi a striscia progressivamente spenti (dal 16 marzo in pausa anche Agorà e Blob mentre Mediaset ricorre alle repliche anche per le stagioni già registrate), la domenica sembra essere un baluardo in un palinsesto sempre più votato alla sospensione (necessaria e utile alla sicurezza di tutti, va detto).
Il daytime di domenica ha visto, per esempio, una puntata speciale di ItaliaSì corsa in soccorso a una Domenica In sospesa all’improvviso (una puntata davvero ammirevole per scrittura e per conduzione, con un Marco Liorni che ribadisce tutte le sue qualità), e un appuntamento particolarmente ‘emotional’ di Mezz’ora in più, che ha visto la solitamente distaccata Lucia Annunziata commuoversi ai racconti di trincea che arrivano dalle zone più colpite, a oggi, dalla pandemia.
Il prime time invece si è diviso tra Che Tempo Che Fa, Live – Non è la d’Urso e Non è l’Arena. Tre programmi sicuramente diversi già in tempo di pace per genere, impostazione, tipo di racconto, finalità narrative, toni, target. Solitamente infotainment, emotainment, intrattenimento puro, talk show, rotocalco gossip si fondono in un macrogenere domenicale in cui ciascun target trova la propria soddisfazione.
La guerra – perché questa è una guerra – è però una cartina al tornasole potentissima per mostrare peso, sostanza e qualità di ciascuno. La prima serata di domenica 15 marzo ne ha dato dimostrazione. Da una parte, infatti, c’è chi ha stravolto il proprio programma rendendolo una lunga diretta di servizio con ospiti di indiscutibile profilo che hanno puntato alla razionalità e alla testa dei telespettatori (Burioni, Galli, Zangrillo, Gori, Borrelli, senza rinunciare a un momento leggero in streaming con Frassica & Arbore e a un esperimento totale come il duetto comico a distanza di Ale & Franz); dall’altra c’è stato chi non ha rinunciato al proprio format, offrendo un talk fatto per lo più di opinioni e di testimonianze vip (non sempre di prima mano) arrivate da un parterre eterogeneo per costruire un racconto, come sempre, ‘col cuore’ e ‘per il cuore’.
E poi c’è stato chi ha invitato politici in perenne campagna elettorale e Panzironi, costruendo peraltro un “Processo a Panzironi” e rendendolo così, di fatto, un imputato impegnato a difendersi. Inutile ricordare che il processo tv e la formula ‘Uno contro tutti’ creano subito una forma di empatia con chi è chiamato a difendersi da molti: non a caso è stato usato, in anni neanche tanti lontani, dal padre del talk in Italia per ospitare personaggi conroversi, dal chiaro richiamo di pubblico ma delicati da trattare. In questo caso la formula del ‘processo’ ha obbligato medici, professionisti, virologi a opporsi in diretta a ‘consigli’ e linee guida non riconosciute. Un modo per neutralizzare le fake news? In tempo di guerra, ancor più che in tempo di pace, molto, molto pericoloso. Non è tempo di esacerbare animi e creare conflitti per alimentare il racconto, né di ospitare personaggi controversi magari con l’alibi di un debunking in forma di ‘processo’. Ora è tempo di indicare una strada e perseguirla. La strada è una. Ed è restare a casa. Per polemiche, contrasti, scontri tra fazioni e urla ci sarà tempo. In primis cerchiamo di garantirci questo tempo.