Diavoli, la finanza non è mai stata così spy e così (pure troppo) fancy
Una serie in 10 puntate sul mondo della finanza, il vero protagonista che resta sullo sfondo di un duello fin troppo umano tra due apparentemente senz’anima.
La ‘scuola Sky‘ continua a produrre titoli destinati al mercato internazionale e con Diavoli ha coinvolto nel suo stile anche la Lux Vide, che ha fatto i compiti, e pure bene. Mentre su Rai 1 racconta la storia rassicurante di DOC – Nelle tue mani, con un successo che ha rotto la maledizione del medical in Italia, la casa di produzione di Luca e Matilde Bernabei è pronta al debutto su Sky Atlantic con Diavoli – Devils, serie in 10 puntate, in onda da venerdì 17 aprile anche su Now Tv, tratta dall’omonimo romanzo di Guido Maria Brera, con Alessandro Borghi e Patrick Dempsey nel ruolo di due trader senza scrupoli, Massimo Ruggero e Dominic Morgan.
Una serie di ampio respiro internazionale prodotta da Sky e Lux Vide – in associazione con Sky Studios, Orange Studio e OCS e distribuita nel mondo da NBCUniversal per conto di Sky Studios – che rientra nel range dei prodotti di alto profilo cui Sky ci ha abituato da tempo ormai. Diavoli si poggia su una storia solida – per quanto l’osservazione si basi sulle prime puntate, non avendo ancora visto il finale – e su una confezione estremamente curata. Anche troppo. Diciamo che sul piano visivo verrebbe da dire ‘anche meno…’.
“Ho scelto di adottare un approccio molto cinematografico, mantenendo uno stile e un tono moderni, decisi come il ferro e il vetro delle architetture di Canary Wharf: veloce, patinato, riflettente; nei toni abbiamo rappresentato una realtà dura, che interpretasse le sceneggiature e incorniciasse le performance. Il montaggio che ho voluto è veloce, contemporaneo, creativo: voglio che tu sappia che stai guardando Diavoli”
scrive Nick Hurran, regista delle prime cinque puntate, nelle sue note, ma la ricerca visuale corre il serio rischio di cannibalizzare il prodotto. L’estetica diluisce la narrazione (o viene usata per diluirla), finendo per essere talvolta disturbante, eccessiva, insistita, a tratti pleonastica. Molto fashion, direi ‘fancy’ nella fotografia (anche se mi auguro che prima o poi questi toni cenere finiranno di essere lo standard di certi generi narrativi), nelle inquadrature e, inutile dirlo, nei protagonisti, con Patrick Dempsey a mangiare lo schermo più di qualsiasi altro, nonostante l’altrui impegno nel rappresentare un personaggio senza emozioni (che però non vuol dire senza espressioni).
Ciò detto, Diavoli inizia a spiegare la sua capacità d’attrazione superato l’ostacolo di una prima puntata ‘indice’ piuttosto lenta nel presentare i personaggi principali e delineare le storylines da seguire, in un intreccio che viaggia tra il 2001, il 2008 e il 2011 – periodo in cui si svolge la storia e che ha al centro gli affari dell’immaginaria, ma molto realistica, NYL Investiment Bank – e che assorbe i principali eventi politici ed economici del decennio, dalla crisi argentina al fallimento della Lehman Brothers, dalla guerra in Libia al crollo economico della Grecia.
L’attrazione non è tanto negli eventi, quanto nella dinamica tra i personaggi, che orbitano l’uno intorno all’altro sulla base di una capacità magnetica che accomuna e respinge: a far da filo conduttore un’indagine poliziesca, ma a tenere insieme le storylines c’è l’ambizione ossessiva, mescolata a un pizzico di vendetta – che non guasta mai – e all’amore, che però in un quadro così spietato come quello raccontato diventa quasi una nota stonata usata per far rimbombare le coscienze. Con l’ultima puntata, di questa prima stagione peraltro, si potrà davvero capire ruolo e peso della molla sentimentale.
Presentato come un thriller finanziario, Diavoli mi ha personalmente riportato ad atmosfere più da political spy: saranno i titoli di testa in stile The Americans, la capacità di lettura della comunicazione non verbale tra Lie to Me e il ‘Doc House’ di Rai 1, il contesto da Billions, la presenza di un’organizzazione ‘etica’ che ha il suo volto puro in una Kate Mara latina o gli intrighi politico-finanziari di alto profilo.
In questo contesto la linea investigativa serve a tenere uniti i rivoli narrativi e a polarizzare i protagonisti Dempsey e Borghi, ma il bello di questa storia è altrove, ovvero nell’ambiente che la storia delinea con tutti i suoi inquietanti flash sul potere della finanza. Il contesto, il vero Diavolo, finisce però per essere stretto nella lotta tra Dio e Lucifero, in un gioco delle parti che mescola ruoli e colpe, salvezze e coscienze.
“Abbiamo creato uno show che spero incuriosisca lo spettatore nel profondo, portandolo a voler saperne di più, ma anche farsi una propria idea sul passato e sul presente del mondo che pensiamo di conoscere”
dichiara Jan Maria Michelini, regista delle ultime 5 puntate. E di sicuro la vicenda di Diavoli può contare su tanti livelli di lettura; sembra però che la trasposizione tv soffra di un certo appiattimento sulla coppia protagonista e sulle linee investigative, ufficiali e ufficiose, utili a mantenere in movimento la bilancia che oscilla tra il male e il peggio. Perché di buoni, qui, pare non ce ne sia traccia. Ed è un bene.
Qualche ingenuità per essere un ‘thriller’ non manca (tra tatuaggi esibiti e spionaggi intermittenti), ma nel complesso Diavoli riesce a catturare l’attenzione e a calamitare l’interesse per dinamiche senza tempo e per protagonisti affascinanti in una vicenda che non concede nulla al pop e che richiede l’impegno del telespettatore anche nel superare tempi non proprio adrenalinici, che – come dicevamo all’inizio – sembrano spesso più attenti a far sfogare la cinematografia che portare contenuti al racconto.
Devils delinea, così, un pubblico informato, curioso, attento e pronto a mettere in discussione le proprie certezze, proprio come un trader di successo dovrebbe fare. Devils, insomma, ci invita a essere ‘diavoli’, ed è piacevole.
Photo credits ANTONELLO&MONTESI