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Glee, quel 2020 immaginato nel finale (‘congelato’ dal virus)

Glee, il finale ‘tradito’ dal Coronavirus: i sogni di Rachel in stand-by come i Tony Awards che la giovane dell’Ohio avrebbe dovuto vincere.

pubblicato 23 Aprile 2020 aggiornato 30 Agosto 2020 02:54

Per sedare l’ansia da pandemia, ho rivisto tutto Glee su Netflix e mi è sembrata la prima volta. A 5 anni dalla sua conclusione e a 11 dal debutto, la serie creata da Ryan Murphy, Brad Falchuk e Ian Brennan mantiene intatta tutta la magia degli oltre 500 numeri da musical realizzati nelle sue sei stagioni, tutta la meraviglia dei remake dei video più iconici degli ultimi 30 anni (Vogue con Jane Lynch/Sue Sylvester o Scream con Kevin McHale/Artie e Harry Shum Jr./Mike restano due opere d’arte, insieme alla citazione di Fred e Ginger nella stanza rotante con Matthew Morrison e Jayma Mays, aka Will ed Emma) e la sua forza morale che definirei ‘perlocutoria’ visti gli effetti avuti su almeno una generazione. Non ha avuto la stessa tenuta la parte più squisitamente narrativa, la cui vis si è spezzata con la fine del liceo di alcuni dei personaggi più iconici, da Quinn (Dianna Agron) a Santana (Naya Rivera), passando per Kurt (Chris Colfer), Mercedes (Amber Riley) e Mike oltre a Rachel (Lea Michele) e Finn (Cory Monteith). Insomma tutto il gruppo protagonista di punta.

La serie è però riuscita ad arrivare alla conclusione, sia pur con qualche difficoltà e qualche logorio di troppo nell’evoluzione dei personaggi, superando persino la scomparsa di uno dei suoi protagonisti più rappresentativi, Cory Monteith, morto per un mix di alcool e droga in un hotel canadese il 13 luglio 2013. La quarta stagione si era appena conclusa e aveva visto il suo Finn Hudson a scartamento ridotto: l’omaggio arriverà con la terza puntata della quinta stagione.

Ebbene, il 2020 avrebbe dovuto rappresentare ‘la realizzazione del sogno‘, quello che aveva fatto da traino alle vicende del Glee Club dell’immaginario liceo McKinley High School della reale cittadina di Lima, in Ohio, ovvero la vittoria di un Tony da parte di Rachel Berry. Il series finale*, infatti, ha visto Rachel, incinta e accompagnata dal marito Jesse St. James (suo secondo amore col volto di Jonathan Groff), entrare nel Radio City Music Hall di New York e ritirare la statuetta come Migliore Attrice Non Protagonista (superando persino sua maestà Maggie Smith) ai Tony Awards 2020.

Se un’altra serie iconica come Friends ha scelto il 2020 come sua proiezione extradiegetica per il 18esimo compleanno della figlia di Ross e Rachel, per Glee il cortocircuito tra finzionale e reale non è andato come sperato. Glee si ritrova in un futuro molto diverso da quello previsto, visto che la pandemia ha fermato anche la 74esima edizione dei Tony Awards, che era prevista per il 7 giugno 2020 in diretta su CBS, ma che è stata rinviata a data da destinarsi causa Coronavirus, così come (ovviamente) l’annuncio delle nominations, previsto invece per il 28 aprile. Rachel Berry non avrà il suo lieto fine, almeno non per ora.

Certo, si tratta di spigolature da series addicted, non certo di drammi epocali. Ma sono quelle spigolature che, in fondo, mettono in relazione mondo finzionale, mondi possibili e mondi reali, creando cortocircuiti in sé interessanti. L’happy ending scritto con tanto affetto sbatte contro una realtà difficilmente immaginabile e di certo completamente dissonante rispetto a una storia che Murphy ha pensato proprio perché portasse positività, purezza, innocenza e finali lieti.

In questo caso, la definizione di una data reale in un racconto di finzione ha finito per creare un’interfererenza con la parabola narrativa del protagonista e della storia e ha evidenziato i rischi dell’ancoraggio narrativo alla realtà extradiegetica, soprattutto per una serie in sé già particolarmente disancorata dal mondo reale per atmosfere,  disegno dei personaggi, costumi e anche per  l’uso della musica, uno dei suoi ingredienti fondamentali, che ha spaziato tra grandi classici e hit del moment; molto più incardinata nella realtà, invece, per i temi rappresentati. Quel cortocircuito tra unicorni e bullismo è stata una delle chiavi del successo della serie e, in fondo, potremmo dire che si è mantenuta anche nel contrasto di un sogno che si infrange contro una delle più gravi crisi degli ultimi decenni. Solo che questa volta il cortocircuito non era scritto. Ed era inimmaginabile. Niente happy ending, quindi. Glee ha, però, insegnato che non bisogna mai smettere di crederci. Superata l’adolescenza non è sempre facile…

*Il series finale pensato dai creatori sarebbe dovuto essere un altro e lo racconta Rachel nella puntata-tributo a Finn: l’ex quarterback si sarebbe laureato e avrebbe preso il posto di Shuester al Glee Club del McKinley; Rachel, ormai stella a Broadway, l’avrebbe raggiunto e una volta varcata la porta della sala prove gli avrebbe detto “Sono a casa”. La realtà infranse anche quel lieto fine.

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