The Eddy su Netflix, la recensione in anteprima: Damien Chazelle torna alla musica, ma non dimentica tutto il resto
La recensione in anteprima Blogo di The Eddy, la serie tv di Netflix ambientata a Parigi e con protagonista il proprietario di un locale jazz in crisi
Una serie tv apparentemente non per tutti, ma che nel giro di qualche scena apre il proprio mondo senza snobismi e pronta ad accogliere chiunque, dai sognatori ai più realisti, dai romantici e chi vuole farsi agganciare da personaggi realistici. Jack Thorne, uno degli autori inglesi più prolifici in tv, teatro e cinema, sbarca così su Netflix, con The Eddy, miniserie in otto episodi disponibile in catalogo da domani, venerdì 8 maggio 2020. E se Thorne non vi basta come garanzia, vi facciamo un altro nome: Damien Chazelle.
La Parigi dai mille sapori di Elliot
Il regista premio Oscar di “La La Land” e “The First Man” debutta sul piccolo schermo come produttore e regista di una storia che ci porta in Francia, a Parigi per la precisione: è qui che vive da qualche anno il protagonista Elliot Udo (André Holland), ex pianista jazz di successo che ha avviato un locale tutto suo, The Eddy, insieme all’amico Farid (Tahar Rahim).
Il locale offre musica dal vivo grazie alla band in cui canta Maja (Joanna Kulig), con cui Elliot ha da poco rotto. La tensione tra i due non è l’unico problema del protagonista: il locale fa fatica con gli incassi, e Farid sembra nascondere all’amico degli affari loschi che potrebbero mettere a rischio il futuro di The Eddy.
Come se non bastasse, dagli Stati Uniti arriva Julie (Amandla Stenberg), figlia sedicenne di Elliot, che in Francia deve cominciare a frequentare una nuova scuola, anche se non sembra molto contenta di dover studiare. Così, tra soldi che non ci sono, una figlia che si oppone ad ogni decisione ed un sogno che rischia di infrangersi, Elliot deve navigare tra i suoi mille problemi, in una Parigi ricca di sapori multietnici e tanta musica a tenere il ritmo dei sentimenti dei personaggi.
Le vite di Jack Thorne, maestro dello storytelling
Jack Thorne ci ha già dimostrato in passato di sapere maneggiare con maestria il materiale che le vite umane possono offrire: autore di numerose serie tv come la versione britannica di Shameless e Skins, ha raggiunto la popolarità con titoli come Glue, The Dark Panthers e This Is England; al cinema ha scritto l’adattamento del libro da cui è stato tratto “Wonder”, mentre a teatro ha incantato i fan di Harry Potter con “La maledizione dell’erede”, sequel della saga letteraria di J.K. Rowling.
La versatilità con cui Thorne si è fatto conoscere la si ritrova tutta anche in The Eddy, che riesce a dissipare tutti gli scetticismi che potrebbero scaturire dall’idea di una serie musical ambientata a Parigi. Definire Eddy “serie musicale” è infatti riduttivo, per uno show che rende la musica protagonista ma non al punto da dimenticarsi degli altri elementi che determinano il successo di un telefilm.
La musica accompagna le vite di cui si riempie la serie nel corso dei suoi otto episodi: non a caso, ogni puntata viene dedicata ad uno dei personaggi principali, componendo via via un mosaico sempre più variegato e profondo di un racconto che sa essere caotico, poetico e drammatico.
The Eddy, più che un’ode alla musica, vuole essere una celebrazione della vita nelle sue mille variazioni: dagli scontri generazioni padre-figlia alle relazioni sentimentali che si portano dietro paure ed insicurezze, fino ai più concreti problemi legati al quotidiano di tutti noi, siano essi delle spese da affrontare o i dubbi sulle nostre decisioni.
Chazelle e la realtà catturata quasi al volo
Thorne si nutre di un forte realismo nel raccontare le vicende che ruotano intorno ad Elliot, il suo locale e le persone che vi lavorano. E Chazelle (ma con lui anche gli altri tre registi dietro la macchina da presa, ovvero Houda Benyamina, Laïla Marrakchi ed Alan Poul) sta al passo con questo forte desiderio di cui si nutre la serie: camera a spalla, le riprese di The Eddy sembrano quasi improvvisate come una buona sessione di jazz, cogliendo il disordine delle vite dei protagonisti, senza filtri.
In questo contesto, la Parigi “scelta” da Thorne s’incastra alla perfezione, allontanandosi dai luoghi iconici della metropoli francese ed immergendosi in un melting pot di etnie, tradizioni e religioni che è esso stesso un binario su cui viene fatto viaggiare il pubblico fin dal primo episodio.
E’ forse questo il valore aggiunto di una miniserie che, presentata come “musical”, rischiava di diventare qualcosa per pochi appassionati. Invece, trovando una chiave di lettura che punta all’inclusione piuttosto che all’esclusione, The Eddy è davvero pronto ad accogliere tutti, anche i più riluttanti.