Francesca Fialdini a Blogo: “Fame d’Amore, Rai1 e Rai3, La Vita in Diretta e… Tv8”
Intervista a Francesca Fialdini.
Con delicatezza ed empatia, Francesca Fialdini è la narratrice delle storie di Fame D’Amore, la docuserie in seconda serata per altre tre puntate nella seconda serata di Rai3. Ambientato dentro due comunità di eccellenza (Villa Miralago di Varese e Palazzo Francisci a Todi), il programma racconta un dramma che coinvolge milioni di famiglie italiane: i disturbi alimentari. E lo fa dando la parola ai pazienti, che con un team di esperti raccontano tutte le fasi del percorso a ostacoli dove il cibo, il corpo e l’amore sono gli strumenti fondamentali per la rinascita. “Sì, questo è un progetto delicato, come delicati sono i suoi protagonisti“, ci racconta Francesca. “Ma al contempo è forte e potente il messaggio che lanciano, così come sono forti e potenti le emozioni che arrivano a casa. Sapevamo che sarebbe potuta essere una botta allo stomaco. Del resto le cose vanno guardate in faccia e il servizio pubblico deve raccontare la verità e deve chiamare le cose con il loro nome, anche se sono scomode”.
Non ricordo, perlomeno in Italia, un programma ambientato all’interno delle comunità di recupero.
“Questo è un progetto innovativo dal punto di vista della narrazione perché si lascia la parola ai pazienti. Che però non vengono intervistati. Vengono mostrati per come sono durante la loro quotidianità. Li vediamo quando si coprono gli occhi mentre si pesano. Quando sono felici assieme agli altri, ma anche quando hanno dei momenti di improvvisa tristezza. E anche quando non ce la fanno a mangiare il piatto di riso che hanno davanti. Dobbiamo dire grazie alle comunità che ci hanno ospitato, ma soprattutto ai giovani che hanno voluto mostrarsi per come sono e alle famiglie che ci hanno permesso di filmare i loro figli”.
Qualcuno, però, si è tirato indietro e ha il volto oscurato. Avete incontrato delle reticenze?
“Non tutti i ragazzi vengono mostrati in volto proprio perché non tutti hanno detto sì oppure non tutti hanno avuto il consenso dei genitori. Ma chi ha scelto di essere raccontato senza tabù, lo ha fatto con una grande consapevolezza e con una grande voglia di dire come stanno davvero le cose. Poco prima della messa in onda della prima puntata ho “incontrato” questi ragazzi attraverso Skype. A un certo punto una di loro, bellissima, mi ha chiesto: “Ma avete tolto qualcosa? Perché noi vogliamo essere raccontati per come siamo”. Non ho potuto far altro che prometterglielo”.
Gli ascolti sono stati positivi. Significa che questo tipo di linguaggio, senza filtri, è stato apprezzato?
“Il tema è delicato, lo sappiamo, ma la verità vince. Quando vai a mettere una patina di fiction su una cosa di questo tipo, il pubblico non l’accetta. Quando questo tipo di argomenti sono stati proposti in altri contesti, come ho cercato di fare io a La Vita in Diretta, si pone sempre un limite. Un po’ perché lo devi trattare nell’ambito di un minutaggio e quindi sei costretto a rimanere in superficie. Un po’ perché non hai il tempo per approfondire. Noi stavolta abbiamo cercato di far sì che il pubblico si mettesse nei loro panni ed entrasse nelle loro storie”.
Che idea ti sei fatta ascoltando queste storie?
“Che della loro immagine, a questi ragazzi, gliene importa fino a un certo punto. Massimiliano, che pesa 160 chili, non mi sembra un ragazzo attento all’estetica. Oppure Beatrice, che si nutre con un sondino e che non si regge in piedi, non è una ragazza legata all’immagine. L’esasperazione di un parametro di bellezza attraverso i media e le pubblicità può essere una concausa di questi problemi, ma non è la causa. Altrimenti saremmo tutti ammalati”.
Il titolo, in questo senso, dice già molto: c’è una fame d’amore, più che d’altro.
“Paradossalmente questi ragazzi hanno bisogno della cosa più importante del mondo, cioè essere accettati così come sono. Molto spesso seguono la volontà degli adulti di riferimento, che possono essere i genitori o quei professori che ti spingono a dare il massimo, che ti vogliono trasformare indicandoti una strada da seguire, che magari non è quella a cui ambisci. Così si dicono: ‘Forse non andrò mai bene, forse non sarò mai come mi vogliono’. Ecco come nascono tutti questi meccanismi di rifiuto, che portano questi ragazzi a credere di non essere all’altezza, a credere di non essere adeguati”.
Continui a essere “divisa” tra Rai1 e Rai3, tra l’ammiraglia e la rete più culturale. Come vivi questa cambio di linguaggio e di pubblico di riferimento?
“Mi piace fare entrambe le cose. Durante il mio percorso ho quasi sempre seguito una vocazione giornalistica, tranne quando mi hanno chiesto di condurre programmi più d’intrattenimento, come quest’anno. Quando mi posso occupare di approfondimento sono molto felice. Quando posso usare un linguaggio di sintesi per dare più spazio alla narrazione di un fenomeno, come quello dei problemi alimentari, mi trovo nei miei panni e corrisponde all’immagine che ho io di questo mestiere. Quando mi chiamano per fare intrattenimento cerco di mettermi di più in gioco. La prendo quasi come una sfida con me stessa per tirare fuori delle corde che sono abituata a suonare di meno”.
Ti senti comunque a tuo agio nel suonare queste corde?
“Nel mio mestiere devi imparare a fare le cose che ti chiedono di fare. Per carattere tendo a essere timida e defilata, ma il mio lavoro mi porta a essere molto esposta. È un continuo allenamento per andare d’accordo con tutti gli aspetti della mia personalità. A Rai3 mi sento più naturale, a Rai1 accetto la sfida”.
Maurizio Costanzo ha detto che sei un volto pulito e un’ottima padrona di casa. I complimenti ti galvanizzano?
“Mi fanno piacere. Costanzo è stato anche un mio professore, molto esigente, all’università. Più che altro fa piacere che metta in luce della caratteristiche ben precise. Con questo mestiere diventiamo facilmente preda di giudizi e di modelli. Io tento sempre di spogliarmi delle sovrastrutture per essere il più naturale e spontanea possibile. Proprio Costanzo, all’università, mi ha insegnato che la televisione deve esaltare la realtà senza filtri e raccontarla per così com’è. Devo molto a lui”.
Invece che rapporto hai con le critiche?
“Se sono critiche pertinenti al mio programma, quindi pertinenti al lavoro, le accetto molto volentieri. Se sono giudizi sulla persona è diverso. Se giudichi le mie scarpe o la mia pettinatura non me ne frega niente. Arrivare a 40 anni servirà pur a qualcosa”.
C’è stato un periodo, durante La Vita in Diretta, in cui sei stata vittima di attacchi e insinuazioni molto pesanti. Come li hai vissuti?
“Proprio quando non sei in grado di fare una critica legata al mestiere, ti butti su un sentito dire, su un pregiudizio. Si sono inventati di quelle fandonie che non stanno né in cielo né in terra. Allora non è nemmeno un attacco al mio lavoro, è un’offesa. Quello ha a che fare con il cortile, non con il lavoro”.
Da noi… A Ruota Libera, invece, che sfida è per te?
“C’ho messo tanto del mio come taglio, come scelta degli ospiti e delle storie da raccontare. Mi piaceva mettere l’accento sulla positività della storie, quelle che spesso non rimangono nella memoria della persone perché non vengono esaltate dalla cronaca quotidiana ma che di fatto fanno la differenza nell’ambito delle relazioni. La cosa più difficile è andare contro ai cliché, ai pregiudizi, ai tabù, che ancora abbiamo quando dobbiamo scegliere la nostra strada. Per esempio, Giuliana Salce: a un certo punto è finita in un giro di doping ma si è autodenunciata e ha denunciato il sistema. Da quel momento è stata boicottata ma si è ricostruita: oggi fa la netturbina, non certo un lavoro ben remunerato o che le dà notorietà, ma è una donna felice perché libera. C’è un valore sociale dietro le storie di queste persone”.
La vivi come una missione o come un dovere di cronista?
“Tutte e due le cose. Per me chi fa il cronista ha una missione”.
Ci spieghi i cambi di studio durante il Coronavirus?
“C’è una fase pre-Covid e una fase dopo. Il programma fino alla fine di febbraio è andato in onda in un contesto scenografico, a cui poi abbiamo dovuto fare a meno. La prima volta che ci siamo dovuti andare a Roma ero molto preoccupata di come l’avrebbe presa il pubblico nel non trovarsi “a casa”. Di volta in volta abbiamo dovuto adeguarci. Lo sforzo più grande è stato quello di tentare di adeguarci ai nuovi mezzi con cui siamo obbligati a lavorare adesso, come le videochiamate, senza perdere la nostra identità. Tutto questo ci serve da serbatoio per poter tornare, quando avremo la possibilità, nel nostro studio con i nostri colori e la nostra positività”.
Andrete avanti fino a giugno?
“La Rai ci ha chiesto la disponibilità per andare avanti e noi l’abbiamo data”.
Leggendo le tue dichiarazioni post Vita in Diretta mi sei sembrata quasi insofferente nei confronti di quell’esperienza. E’ stata solo una mia sensazione?
“Sono convinta che La Vita in Diretta sia una grande macchina dell’informazione e che sia stata un’idea vincente con risultati grandiosi, ma che debba mettersi in discussione come hanno fatto tanti altri programmi. La televisione sta andando da un’altra parte dal punto di vista della tipologia della narrazione e non bisogna avere paura del cambiamento. Quando leggi le mie dichiarazioni, non leggi una critica negativa ma un parere: La Vita in Diretta mi sembra ancora troppo ancorata al passato nell’impostazione, nella scelta degli argomenti e nella modalità. Ma non rinnego nulla: io l’ho fatto quel programma, pur cambiando tre capi progetto, e sono stata felice di farlo. Non è neanche una critica ai miei attuali colleghi, sia chiaro. Credo però che valga la pena interrogarsi per migliorarsi e per guardare al futuro”.
C’è stato davvero un avvicinamento da parte di Tv8?
“Confermo. I contatti risalgono a diversi mesi fa. Ci siamo incontrati e ne abbiamo parlato con la massima stima reciproca. Mi hanno parlato di un progetto che sulla carta è promettente e ambizioso, perciò faccio l’in bocca al lupo ad Alessio Viola e Adriana Volpe”.