Home Nove Accordi & Disaccordi, Luca Sommi a Blogo: “Il nostro core-business è la domanda. L’ospite che vorrei? Grillo. E Renzi, ma non risponde agli inviti…”

Accordi & Disaccordi, Luca Sommi a Blogo: “Il nostro core-business è la domanda. L’ospite che vorrei? Grillo. E Renzi, ma non risponde agli inviti…”

Alla vigilia dell’ultima puntata facciamo il punto su una stagione complicata ma di successo del programma di Nove con una doppia intervista ai conduttori: il bilancio di Luca Sommi.

pubblicato 25 Giugno 2020 aggiornato 30 Agosto 2020 00:19

Una scommessa vinta: alla sua quinta stagione, Accordi & Disaccordi ha dispiegato tutte le sue potenzialità e il pubblico ha mostrato di apprezzare in maniera sempre più convinta. Una convinzione che si è trasformata in numeri: quella che si chiude domani, venerdì 26 giugno, alle 22.45 su Nove è stata una stagione record sotto il profilo degli ascolti – con una media stabilmente sopra i 500.000 telespettatori in una seconda serata competitiva come quella del venerdì – ma soprattutto è stata una stagione che ha ribadito la forza di un format in sé semplice, limato nel tempo e arrivato alla sua piena maturità in uno dei momenti più delicati della nostra storia recente. E non a caso quando servivano risposte da parte degli ospiti: aspetto questo mai molto scontato in un approfondimento giornalistico.

Ne abbiamo approfittato per una chiacchierata con le due anime del programma, Luca Sommi e Andrea Scanzi, in quella che non è una ‘intervista doppia’, ma più una doppia intervista, un racconto in due parti e in cui le due voci si intrecciano, ciascuna con le proprie particolarità, proprio come avviene nel programma, in quei 50 minuti di domande e risposte che sanno di partitura ma senza ‘arrangiamenti’ preconfezionati. Così abbiamo proceduto anche noi: troverete alcune domande ‘doppie’, ma anche percorsi di racconto diversi, cui valeva la pena dare spazio. E questo viaggio lo iniziamo con Luca Sommi, che ringraziamo per la disponibilità, e con il quale è stato un piacere muoversi tra il backstage di questa stagione, che si chiude domani con ospite Massimo Cacciari, e una più generale analisi del giornalismo in tv.

Il punto di partenza è quasi d’obbligo: un tuo personale bilancio di questa stagione di Accordi & Disaccordi.

Io credo sia stata la conferma dell’intuizione da cui è nato questo programma, ovvero un ospite tra ‘due fuochi’, con due giornalisti a far domande. Un’idea semplice ma un po’ diversa in un contesto tv in cui abbondano i talk e in cui ci si aspetta più la rissa, che da noi è strutturalmente impossibile. Poi quest’anno c’è stato l’avvento del ‘segmento Travaglio’, che in termini di ascolto ha catalizzato un po’ la curva: s’è vista l’attesa per il suo intervento e questo ha sicuramente dato una spinta in più. Direi che da una parte l’intuizione del format, che si è consolidato, e dall’altra l’innesto di Travaglio hanno portato a numeri che onestamente non mi aspettavo, considerato peraltro che siamo su Nove, rete che non è tradizionalmente votata all’informazione.

C’è anche da dire, però, che tra pandemia e lockdown l’offerta tv è molto mutata e ha dato sempre più spazio all’approfondimento, anche per impossibilità di produrre intrattenimento, tanto che anche Crozza, che solitamente fa da traino, ha dovuto interrompere il suo live. In sostanza è cresciuta la concorrenza più o meno diretta, ma nonostante questo il programma è andato in crescendo. Qualcosa, dunque, è cambiato in Accordi & Disaccordi…

Devo dire che il nostro programma è quello che è cambiato meno degli altri: non abbiamo mai avuto il pubblico in studio, non abbiamo mai avuto inviati, non abbiamo contributi filmati se non presi da Internet, non abbiamo ‘punti’ o ‘copertine’ e tutto per una scelta precisa, non per ‘impossibilità’. Noi ci basiamo solo sulle nostre domande. Abbiamo voluto questo tipo di programma e abbiamo costruito intenzionalmente questa formula, pulita e incentrata sulla parola, che a me piace molto ma che non ero certo piacesse al pubblico. E invece è piaciuta sempre di più In questo senso i limiti che hanno costretto gli altri a reinventarsi un linguaggio noi non li abbiamo sofferti. E devo dire che se c’è una cosa di positivo nel mutamento del linguaggio tv in questo periodo è stata la scomparsa del pubblico: all’inizio ha sicuramente creato spaesamento, ma ha giovato molto perché senza enfasi, senza quegli applausi in molti casi ‘comandati’ dallo studio si è perso il clima da arena e ne ha giovato, in pulizia, il confronto.

Cambiato il contesto televisivo e soprattutto quello extratelevisivo, è emersa la forza del format e del suo linguaggio…

Credo che a far la differenza sia stato il modo in cui noi, da sempre, affrontiamo le cose, quello della seconda domanda. E per me è un po’ un vanto. I politici oggi tendono sempre più ad eludere la domanda, a portare il discorso dove preferiscono, in breve a non rispondere. Ma io ho il mito di Jeremy Paxman (giornalista BBC, per quasi 40 anni alla guida di BBC Newsnight, ndr) che fece per 12 volte consecutive la stessa domanda al conservatore Michael Howard (e potete rivedere qui il momento che ha fatto la storia della tv britannica, ndr). Ecco, io non sono mai arrivato a fare la stessa domanda 12 volte, ma a 3 volte sì, ci sono arrivato. Forse i telespettatori volevano proprio questo, risposte alle domande, in un periodo di particolare incertezza come quello che abbiamo vissuto da marzo in poi, e che stiamo ancora vivendo.

Beh, citi e ti ispiri a modelli del giornalismo britannico, quanto di più lontano ci possa essere da buona parte del nostro racconto informativo…

Io ho sempre avuto un po’ come modello per far tv HARDtalk della BBC, un format da 25’ in onda dal 1997 in cui  Stephen Sackur intervista un politico, spaziando tra Tony Blair a Erdogan, giusto per dare una misura del parterre. Ma il giornalismo anglosassone ha una ‘fortuna’: per l’opinione pubblica, e anche per il sistema stesso, è inconcepibile che un politico si sottragga a un’intervista o anche solo una domanda. Diciamo che noi siamo molto lontani da questo modello.

Questo senza dubbio. Diciamo che i punti di distacco riguardano entrambe i fronti: da una parte lo scarso ricorso alla seconda domanda, dall’altro lo scarso rispetto per la domanda in quanto tale. E a proposito di parterre, c’è qualche ospite che dopo la prima volta non è più tornato?

Beh sì. E’ successo con Matteo Salvini, con Giorgia Meloni e alcuni proprio hanno scelto di non metterci proprio piede: uno su tutti Matteo Renzi, dal quale non abbiamo mai avuto non dico un ‘No’, ma neanche una risposta ai nostri inviti. Devo dire, però, che i no ricevuti finora sono equamente divisi tra destra e sinistra. Ma devo anche dire che non abbiamo mai avuto problemi con esponenti del Governo, indipendentemente dalla sua composizione: sia in epoca gialloverde che giallorossa, i rappresentanti del Governo sono sempre venuti. Lo stesso Salvini è stato da noi quando era ancora Ministro dell’Interno.

Restiamo agli ospiti, ma torniamo a questa stagione, anzi a uno dei momenti anche più drammatici di questa primavera decisamente anomala. Ricordo la puntata speciale del 1° aprile, eccezionalmente in prima serata, con Giuseppe Conte ospite in una giornata in cui si aspettavano nuove norme e nuovi decreti: per un momento ho pensato che facesse qualche annuncio live proprio ad Accordi & Disaccordi…

No, no (un no deciso), questo no perché la serietà del Presidente del Consiglio non è in discussione. Ma devo dire che quella serata la annovero tra i momenti più significativi per me di questa stagione, umanamente e professionalmente. Da una parte il Presidente del Consiglio ha risposto a tutte le domande, senza mai dare cenni di insofferenza anche in un momento delicato come quello in cui ci trovavamo, ma soprattutto si è aperto in maniera anche del tutto inaspettata, commuovendosi al ricordo della colonna dei mezzi militari che si allontanava da Bergamo portando con sé centinaia di morti. Eravamo davvero alle battute finali della puntata e lì per lì non ce ne siamo neanche resi conto, ma devo dire che se anche ce ne fossimo accorti di certo non avremmo indugiato, andando avanti così come abbiamo fatto. Ma mi ha colpito.

Un momento clou anche per Scanzi, che ha ripercorso con la stessa intensità quel passaggio, se vuoi ‘mancato’ ma forse anche per questo più sincero, e ha ricostruito anche le difficoltà legate a una seconda parte di stagione che ha messo a dura prova la ‘sopravvivenza’ stessa del programma. Con il lockdown si è sfiorata la sospensione, no?

Guarda il momento più difficile è stato proprio l’inizio del lockdown, quando l’impossibilità di muoverci ha fatto temere il peggio: io ero a Roma, ma vivendo a Parma se fossi tornato a casa non avrei più potuto rientrare nella Capitale; Andrea invece era ad Arezzo, dove vive. Ci siamo reinventati un programma facendolo praticamente quasi tutto in collegamento: una cosa impensabile per come era stato pensato ma anche per la ‘grammatica’ dell’approfondimento giornalistico che ha sempre richiesto, e voluto, la presenza in studio. In questo il lockdown ha cambiato il ‘peso’ e il ‘valore’ dell’ospite in collegamento, sempre ‘bistrattato’ perché finora considerato più un limite che una risorsa, vuoi per il tipo di interazione e vuoi anche per le difficoltà tecniche, tra ritardi e lentezze, che i collegamenti portano con sé. Tutto questo è cambiato: per mesi l’informazione ha lavorato a distanza, cosa che ha dato anche l’opportunità di recuperare ospiti che altrimenti non avremmo mai avuto.

Crisi come risorsa, dunque, ma anche fonte di preoccupazioni.

All’inizio senza dubbio. Ma devo dire che  per un giornalista lavorare per Nove è veramente un sogno: ti dà la possibilità di sperimentare, di provare la prima e la seconda serata, abbiamo la libertà di fare ciò che vogliamo senza che arrivi mai, MAI, una ‘velina’. Sembra quasi irreale a dirsi, ma fare una seconda domanda è davvero quasi un lusso, soprattutto perché non arriva nessuna telefonata il giorno dopo (ride). Detto questo, in tutta la mia carriera professionale tra Rai, dove lavoravo con una produzione esterna, e La7 nessuno mi ha mai deto una parola. Ma sono affezionato a questa rete anche perché dimostra come, se fai le cose per bene, riesci a fare anche ottimi risultati: siamo arrivati a fare il 3,8% di share nell’ultima puntata e sono numeri che non sono molto lontani dai colossi.

La necessità del collegamento ha attraversato tutti i programmi di genere e, come dicevi, ha permesso di vedere l’ospite in collegamento non più come una presenza da “serie B”, ma come espansione del parterre. Nonostante le variazioni tecniche non è cambiata la vostra costruzione di puntata: sembra una partitura ben congegnata. Ma nasce davvero così?

Guarda, io non so le domande che fa Andrea e Andrea non sa le domande che faccio io, però la struttura è dettata dagli argomenti che scalettiamo. Sappiamo quale sarà l’argomento, non quello che domanderemo.

Una forma di improvvisazione, che in fondo per chi fa – e sa – il mestiere è anche divertimento, no?

Sicuramente, anche perché di certo io e Andrea non rientriamo nel novero dei giornalisti che fanno le domande indipendentemente dalle risposte che ricevono. E così è tutto in divenire e anche più frizzante. In questa sensazione di partitura che dici credo ci sia anche una forte componente dovuta al fatto che io e Andrea abbiamo una sintonia quasi imbarazzante. Non abbiamo mai discusso, mai, neanche mezza volta, su nulla. E’ un caso raro nelle doppie conduzioni, che per quanto armoniose talvolta possono nascondere qualche gelosia. Tra me è Andrea mai.

E dire che di fronte a due personalità definite come le vostre, il titolo di Accordi & Disaccordi poteva attagliarsi più alla conduzione che al programma in sé.

In genere sulla conduzione doppia ci sono due ‘scuole di pensiero’: o hai due conduttori opposti e giochi sul contrasto, modello sicuramente più frequente e per i quali posso citare a esempio Cruciani-Parenzo o Telese-Porro, o hai due conduttori simili. Ecco, noi abbiamo avuto sempre le idee chiare sul tipo di conduzione: due uomini, due coetanei, tutti e due con la barba (sorride), simili per alcuni aspetti ma diversi per molti altri, da cui arrivano domande a ripetizione in un fuoco incrociato. Non era detto funzionasse. Fortunatamente è andata bene.

Visti gli ascolti direi proprio di sì. Confermati quindi per la prossima stagione: chi vorresti come ospite alla prima puntata?

Posso sognare, vero? Beh, visto quanto ci siamo detti prima direi Matteo Renzi, e sono sicuro verrebbe una bella puntata vista la presenza in di Scanzi e Travaglio (e sorride). Ma anche Beppe Grillo, anche se credo rimarrà un sogno.

Beh, magari ci legge e si convince (si ride), Al netto dell’evento in sé dettato da un suo ritorno tv, Grillo appare però sempre più defilato dalla scena politica contemporanea…

Mi piacerebbe molto intervistarlo proprio perché ho notato un Grillo molto diverso nell’ultimo anno: da quando è nato il Governo giallorosso l’ho visto più volte spronare i suoi a essere altro da quelli di 10 anni fa. L’ho visto invece molto propositivo nel coinvolgere i giovani del PD nella creazione di un orizzonte comune con il M5S, aspetto questo condiviso da molta parte della Sinistra per la definizione di un’area progressista-riformista. A spingere in questa direzione c’è anche Bersani, mentre PD e M5S tendono a glissare. Ecco, mi piacerebbe intervistare Grillo proprio per capire, al di là dell’attualità politica, qual è l’orizzonte: non si può negare che sia un visionario, capace di vedere con Casaleggio un mondo che non vedevamo e che invece esisteva…

Dici che se ci legge magari a questo punto accetta?

(Ride) Chi lo sa. Non mettiamo limiti alla provvidenza, ma la vedo dura.

 

Fino a settembre, però, c’è tempo…

 

 

 

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