Eva e Morena, le gemelline di Nonno Felice: “A 16 anni dicemmo stop a tutto, eravamo sature. Gino Bramieri? Come un nonno per noi”
Intervista a Eva e Morena Prantera, le gemelline di Nonno Felice: “Terminata la sitcom proseguimmo con i doppiaggi, ma arrivò il momento in cui non volevamo più andare avanti. Alla morte di Bramieri piangemmo, fu un grosso dolore”
Eva&Morena. Due nomi da leggere tutto d’un fiato, senza pause o interruzioni, dato che per la tv sono state sempre e solo una coppia, indivisibile e inseparabile. Un po’ come nella vita reale, perché Eva e Morena Prantera vivono “in simbiosi”, come confessano candidamente loro stesse a TvBlog, in un racconto eseguito a due voci, dove aneddoti, ricordi ed emozioni non conoscono distinzioni.
Classe 1985, le gemelle di Nonno Felice sono nate a Milano. Nel capoluogo lombardo cominciarono a frequentare le scuole elementari, prima di trasferirsi a Carpiano, dove completarono il quarto e quinto anno. “Le medie le facemmo invece a Melegnano, mentre per le superiori ci spostammo ulteriormente a Lodi. Qui ci iscrivemmo all’Istituto di Ragioneria e riuscimmo ad essere messe nella stessa classe e anche nel caso dell’Università scegliemmo la facoltà di Giurisprudenza alla Statale di Milano. Davamo gli esami assieme e ci siamo laureate nello stesso giorno”.
L’avvicinamento al mondo dello spettacolo avvenne all’inizio degli anni novanta: “I nostri genitori ci iscrissero ad un’agenzia di pubblicità e così arrivarono i primi casting e gli spot. Poco dopo si affacciò l’opportunità di ‘Nonno Felice’, una sitcom che avrebbero lanciato di lì a poco. Ci provinarono entrambe, ma in origine la storia prevedeva la presenza di una sola bambina che avrebbero dovuto affiancare ad un fratello. Quando ci conobbero, ribaltarono la situazione e ingaggiarono tutte e due”.
Come riuscivate a far convivere gli impegni scolastici con quelli sul set?
Uscivamo da scuola alle 12, avevamo un permesso speciale. Quindi ci portavano negli studi di registrazione e giravamo fino alle 19.30, dal lunedì al venerdì, da marzo a giugno. Per confezionare un episodio si impiegavano due giorni. Il copione lo studiavamo il sabato, oppure in auto durante i viaggi. Avevamo tante battute, ma quando sei piccola assorbi tutto come una spugna. Per noi era una divertente avventura.
Settantasette puntate di Nonno Felice, più altre venti dello spin off Norma e Felice. In poco tempo diventaste popolarissime.
Vero. Diventammo abbastanza note e fu molto più semplice essere chiamate per delle pubblicità, da quelle dei giochi a quelle delle merendine. Ci mettevamo la faccia o, a volte, semplicemente la voce. Sbarcammo addirittura a teatro, per qualche mese, dove prendemmo parte al ‘Re Lear’ di Shakespeare. Ci piaceva ed era tutto automatico. Le cose cambiarono quando diventammo adolescenti.
Cioè?
Terminata la sitcom proseguimmo con i doppiaggi, ma arrivò il momento in cui non volevamo più andare avanti. Da piccole eravamo state poco con gli amici, mentre una volta iniziate le superiori avevamo l’esigenza di vivere a pieno l’età dell’adolescenza. Quando squillava il telefono ci innervosivamo. A 16 anni dicemmo stop a tutto. Le agenzie ci chiamavano e rifiutavamo le proposte. Pertanto, i nostri genitori interruppero ogni collaborazione.
Ve ne siete mai pentite?
Non ci sono mai stati rimpianti, né rimorsi. Non era quello che volevamo per noi. E’ chiaro che oggi sarebbe stato tutto più semplice. Grazie ai social saremmo potute rimanere nel settore con molto meno sforzo. Basta poco per essere famosi, non serve troppa gavetta per entrare in quel mondo.
Non sono pochi i bambini che esauriscono la popolarità una volta cresciuti.
Ci sono casi e casi. Ad esempio, Martina Stella diventò famosissima da giovane e proseguì, così come altre sue colleghe. Per noi poter vivere senza più rotture di scatole fu una liberazione. Ancora oggi qualcuno ci riconosce, mia zia parla di noi con le amiche. Ci fa piacere, ormai siamo grandi. Ma all’epoca vivevamo la situazione con malessere. Eravamo sature.
Torniamo a Nonno Felice. Come fu lavorare con Gino Bramieri?
Bellissimo. Arrivava e ci accoglieva sempre col sorriso. Era affettuoso, ci portava i regalini. Vederlo tutti i giorni lo portò ad essere per noi come un nonno acquisito, considerando anche il fatto che i nostri nonni paterni erano lontani, in Calabria. Morì nel periodo in cui stavamo svolgendo gli esami di quinta elementare. Uscimmo da scuola e andammo al suo funerale. Piangemmo tanto, fu un grosso dispiacere. In Chiesa ci sedemmo in seconda fila, vicino ai familiari, come se fossimo sue reali parenti.
Percepiste il suo affaticamento sul set?
Sì, nell’ultima fase stava molto male. Finimmo di girare che era visibilmente dimagrito. Nonostante ciò, era una vera roccia. Ce lo ricordiamo col sorriso stampato sul volto. Aveva la stessa forza dei primi tempi, eppure stava facendo i conti con un tumore. Solo oggi riusciamo a capire cosa davvero provasse.
Nel cast comparivano anche Franco Oppini e Paola Onofri, vostri genitori nella finzione. Con loro come vi trovaste?
Pure di loro abbiamo solamente ricordi belli. Si scherzava, c’era un clima leggero. Grazie a Oppini facemmo l’esperienza a teatro, la buona parola per il ‘Re Lear’ ce la mise lui. Purtroppo non li sentiamo da parecchi anni, ci siamo persi di vista.
Con Norma e Felice si verificò l’ingresso di Franca Valeri.
Era una donna particolare. Possedeva quell’ironia che, per via della nostra età, non potevamo comprendere. Era più riservata di Bramieri e di conseguenza non si instaurò con lei lo stesso rapporto. Gino era espansivo, un battutaro. Spalancava le braccia e correvamo da lui. Con la Valeri questo non successe mai. Ma non per cattiveria; era il suo carattere.
Federico Rizzo fu vostro fratello in Nonno Felice, mentre sparì in Norma e Felice. Come mai?
Era più grande di noi di quattro anni e nell’ultima stagione ebbe uno sviluppo fisico incredibile. La produzione spiegò che non era più spendibile per la sitcom. Allora si inventarono che era partito per l’Erasmus (ridono, ndr). Sappiamo che attualmente fa l’arbitro, ma anche lui non l’abbiamo più visto.
La fissazione per la grappa, l’amore per il gentil sesso che sfociava in plateali complimenti alle donne. In molti hanno riletto i comportamenti di Nonno Felice e ne hanno colto molteplici passaggi che oggi sarebbero politicamente scorrettissimi.
Ci pensavamo proprio un mese fa, in effetti è così. La cassiera del bar sotto casa era Sonia Grey. La presero apposta perché era formosissima, con un seno prosperoso. Nella sitcom c’erano battute sulle donne e sui neri, con l’utilizzo di terminologie maliziose. Inoltre, come ricordavi tu, la grappa era la medicina di Felice. La beveva in continuazione. Ma non succedeva niente, all’epoca nessuno si poneva problemi. Ora si rischia perennemente di ledere la sensibilità di qualcuno. Una volta il politically correct non c’era e non ci riferiamo solo a ‘Nonno Felice’. Si viveva bene ugualmente, nessuno si sentiva offeso.
Come hanno vissuto due bambine come voi l’enorme ondata di notorietà?
In un primo momento con entusiasmo. Ci fermavano ovunque, al supermercato, per strada. I ragazzini ci volevano conoscere, firmavamo autografi, scattavamo foto. La popolarità durò per diverso tempo. ‘Nonno Felice’ andava in onda nel weekend alle 18, durante la pausa di ‘Buona Domenica’. Era una fascia oraria importante. Quando diventi famosa ti accorgi dagli sguardi della gente di essere stata riconosciuta. Ti senti diversa, ma stiamo parlando di un periodo in cui eravamo molto piccole.
Guadagnaste cifre importanti?
Quando non sei popolare le cifre sono normali. Nel primo anno di ‘Nonno Felice’ avevamo un certo tipo di cachet, che poi aumentò. A 14 anni con il compenso di un doppiaggio ci potemmo comprare il primissimo cellulare.
Senza la morte di Bramieri, pensate che la sitcom sarebbe potuta proseguire a lungo?
Non fosse scomparso, saremmo potuti andare avanti per un bel po’, come successo per ‘Un medico in famiglia’. Eravamo amati. Ovviamente parliamo di contesti diversi, ‘Nonno Felice’ e ‘Norma e Felice’ erano produzioni realizzate interamente in studio. Senza contare che a livello fisico siamo rimaste piccole a lungo. Lo sviluppo è arrivato tardi. A 15 anni (parla Morena, ndr) doppiavo ancora la pubblicità di McDonald’s perché avevo mantenuto la voce da bambina.
Se non aveste mollato, magari la carriera sarebbe potuta proseguire separatamente.
Non si può dire. Onestamente, crediamo di no. Sia per come eravamo caratterialmente che per il percorso comico che avevamo intrapreso. In due la chimica era molto più forte rispetto ad una condotta in solitaria.
Attualmente cosa fate?
(Risponde Morena per entrambe) Eva si è sposata nel 2013 con un ragazzo con cui stava dal 2001, mentre io sono single. Tutti e tre abbiamo creato l’associazione sportiva di fitness e danza che ha sede a Riozzo. Siamo diventate istruttrici e, contemporaneamente, portiamo avanti lo studio di avvocatura, che non abbiamo mollato. Abbiamo identiche passioni, fin da piccole, quando frequentavamo le stesse persone e gli stessi gruppi. Esattamente come oggi.
La tv non vi manca?
No, siamo felici. Forse il doppiaggio ci avrebbe divertito e, col senno di poi, avremmo potuto seguire quella strada. Sarebbe stato carino, lo ammettiamo.
L’idea di prendere parte ad un reality non vi stuzzica? In fondo siete stati dei personaggi iconici.
Non ci hanno mai cercato. C’è talmente tanta offerta che è normale che la gente si sia dimenticata di persone come noi. L’ultima nostra apparizione risale a ‘I Migliori Anni’, nel 2010. In precedenza eravamo state a ‘Meteore’. Oltre a questo non c’è stato altro.