La Corrida cerca la contemporaneità guardando al passato
Amadeus e De Amicis hanno studiato a fondo le edizioni di Corrado. La grande differenza, però, è nel ‘gioco della sedia’
La Corrida è Corrado e fin qui c’è poco da dire. Tutti quelli che ne hanno raccolto il testimone hanno guardato con rispetto al modello – insuperabile – del suo creatore e hanno cercato una propria strada. Per alcuni di loro, la ricerca di una propria cifra è passata per una accentuazione del carattere divertito o farsesco del commento e dell’interazione con il dilettante; il successo dell’operazione è dipesa anche dalla capacità di essere spontanei, veloci, genuini in modo da esaltare le caratteristiche di coloro che oggi si chiamerebbero ‘talenti’, ma che hanno dalla loro un’arma che nessun altro talento tv ha: la convinzione delle proprie azioni e la meravigliosa ‘faccia tosta’.
Tre, però, sono le componenti di questo format: conduttore – con eventuale spalla -, dilettanti e pubblico in studio, con il quale è fondamentale legare per chi è a casa. Se non si è d’accordo con il verdetto del pubblico in studio ci si sente un po’ defraudati dalla ‘rappresentatività’, che rende meno coinvolgente la partecipazione per i telespettatori. E anche il pubblico, nei decenni, cambia.
Ne La Corrida, quindi, il gioco per conduttore e pubblico si basa sull’essere all’altezza dei dilettanti, sull’essere empatici e crudeli, critici e riconoscenti, curiosi e algidi. Un gioco di equilibri delicato e per chi ha visto Corrado all’opera è difficilissimo ritrovare quell’alchimia unica di classe, stile, ‘cattiveria’, tempi comici, sguardi, complicità con Pregadio e con i dilettanti.
La Corrida di Amadeus
Tutto ciò premesso, la prima puntata della nuova edizione de La Corrida – al debutto sul Nove, dopo i tanti anni su Canale 5 e le due discrete edizioni su Rai 1 interrotte dal Covid – dimostra chiaramente una cosa: Amadeus e De Amicis hanno studiato con cura Corrado e Pregadio. La contemporaneità di un format iper-generalista – quintessenza dell’intrattenimento lineare che affonda le sue radici in radio e ha rappresentato una punta di diamante dei palinsesti delle Ammiraglie duopoliste – sbarcato su Warner Bros. Discovery passa per una ricerca filologica dell’epoca d’oro de La Corrida. I colori dello studio, quella luminosità felice così rara nelle scenografie di oggi, e la regia di Stefano Vicario, che ha diretto tante edizioni storiche del programma e che dà il meglio proprio quando recupera le inquadrature ‘tipiche’ del passato, cercano quella continuità col passato che è garanzia di qualità.
Certo, a tenere la barra dritta c’è chi detiene i diritti del programma, sempre attenta a che l’eredità di Corrado venga mantenuta e che la sua cifra resti riconoscibile e in questo Amadeus non manca, anche a costo di recuperare dall’archivio espressioni e commenti che furono del Maestro, talvolta in maniera quasi pedissequa. Che poi il protagonismo sia magari sempre un po’ più spostato negli anni sul conduttore che sui talenti è un segno, probabilmente, dei tempi. Spostato come la sedia del conduttore.
Il ‘gioco’ della sedia
Sono dettagli, minuzie, scelte di scenografia e di regia, ma in comunicazione ogni elemento ha senso e intenzione. E lo ha anche il posizionamento dello sgabello che rende il conduttore parte integrante del racconto. Più è defilato, più lascia spazio ai dilettanti come protagonisti, che hanno a disposizione il palco nella propria interezza. Più entra sul palco, più, evidentemente, si ha voglia di mettere al centro anche il conduttore, che svela ‘didascalicamente’ quanto l’attenzione non sia solo sul dilettante.
A questo si accompagna un racconto per immagini che davvero fa fatica a staccarsi dalle espressioni di De Amicis e Amadeus, talvolta dando la sensazione di ‘prevaricare’ l’esibizione.
Se scenografia e regia tendono a dare più spazio di quanto fatto finora al Dilettante, l’introduzione del Capopopolo che ha la possibilità di ‘salvare’ qualche caso disperato finisce per ridurre il potere del ‘pubblico sovrano’. Il pubblico fischia, il Capopopolo salva. Si tratta ovviamente di un elemento introdotto per recuperare i personaggi più ‘freak’ e far sì che partecipino alla trasmissione più dei pochi minuti concessi per l’esibizione. E si tratta di un escamotage per allungare i tempi di un programma che deve arrivare alle 00:30, in virtù di un malcostume generalista che inevitabilmente rovina i racconti. Certo, avere per la prima puntata un capopopolo come Nino Frassica è un regalo, ma il salvataggio del ‘freak più freak’ finisce per depotenziarne anche la portata ‘memetica’. Il gioco è bello quando dura poco. Anche alla Corrida. Così sono nate leggende…
I tempi cambiano, i Dilettanti allo sbaraglio restano
I Dilettanti – qunidi il casting – resta la vera anima del format: senza la naïveté dei partecipanti, senza la loro voglia di mostrarsi, di divertirsi, di dimostrare qualcosa, di giocare e di mettersi in gioco non ci sarebbe Corrida. E sono senza dubbio i ‘concorrenti’ più coraggiosi della tv: essere presi a ‘padellate’, accettare i fischi e le reazioni di un pubblico che a propria volta vuole essere protagonista non è proprio da tutti. Certo, non si può contare più su quella generazione squisitamente genuina di ‘talenti vergini’ dalla tv, magari segnalati dagli amici per le stranezze fatte davanti al bar del paese per intrattenere gli astanti, che negli anni ha regalato alcune delle esibizioni rimaste negli annali della tv (il suonatore di ascelle uber alles).
Quella generazione non c’è più e quella che si presenta è per lo più social-oriented, non solo cresciuta con la tv. Il che non vuol dire che non manchi la materia prima.
Non vuol dire neanche che manchino storie da raccontare. La bellezza del programma è sempre stata anche questa: una domanda, una curiosità del conduttore può dare la stura al racconto di una realtà così lontana dalla stranezza dell’esibizione da renderla ancora più potente. È, ad esempio, in questa prima puntata il caso dell’OSS super-fan della cantante di È tutto un attimo, che lavora con i disabili, che si esibisce per loro e che davanti alle telecamere ribadisce le difficoltà di un sistema sanitario nazionale sempre meno finanziato dai Governi vestendo una shirt leopardata di 4 taglie più piccole e mantenendo tutta la sua credibilità: sono le alchimie che solo La Corrida può regalare.
Questa è sempre stata la bellezza de La Corrida: Amadeus sa il fatto suo, senza dubbio, e prendendo dimestichezza col format potrà sicuramente mettere da parte qualche ‘rigidità’ (anche dovuta all’emozione dichiarata fin dall’apertura di puntata) e muoversi con sempre maggiore scioltezza nel rapporto con i dilettanti. Certe espressioni risultano un po’ forzate, ancora poco spontanee. Nel suo caso, legarsi troppo al modello incarnato dal Maestro può essere controproducente. Così come la sensazione di una schematicità nella gestione dello spettacolo – ingresso, piccola intervista, esibizione con faccette e complicità col maestro, verdetto e saluti – verrà limata col tempo, lasciando magari spazio a un po’ di interazione col dilettante – non solo freak – e riducendo quella sensazione da ‘catena di montaggio’. Meglio qualche esibizione in meno e un po’ di interazione in più, perché è lì che si scatena spesso l’effetto comico/brillante/narrativo in senso lato che è l’anima del programma. Forse si è fin troppo studiato il Maestro per rispetto della tradizione, ma adesso Amadeus ha bisogno di trovare una sua cifra. E ad Amadeus le sfide piacciono.