Stucky serie tv, la recensione: Battiston non è Colombo, ma con il giallo deduttivo riaccende la voglia di vedere un crime italiano in tv
Giuseppe Battiston regala un’interpretazione giocosa e curiosa di un personaggio che ci auguriamo possa rimanere a lungo in tv e che, con un format poco usato, riaccende la voglia di vedere un crime
Stucky potrebbe presto diventare la serie tv alternativa ai classici crime televisivi: in onda quasi in sordina in una Raidue che ultimamente ne azzecca davvero poche, non sarà Giuseppe Battiston a risollevare la baracca, ma sicuramente ci ricorderà che la seconda rete Rai quando vuole sa proporre titoli capaci di farci appoggiare il telecomando.
La recensione di Stucky
Se la presentazione della serie (che potete recuperare su RaiPlay) potrebbe farvi pensare al solito crime in salsa italica, basta vedere i primi momenti del primo episodio per capire che abbiamo di fronte un prodotto che vuole essere differente per varie ragioni. Quella che spicca di più è evidentemente il formato con cui Stucky si presenta.
Il classico giallo, quello in cui il detective protagonista viene chiamato per risolvere un caso e incastra il responsabile solo alla fine, qui viene ribaltato. L’assassino, in Stucky, lo conosciamo subito: il resto dell’episodio è, piuttosto, una scoperta di come il protagonista arriverà a capire che il colpevole è proprio colui o cole che abbiamo visto in apertura di puntata. In altre parole, Stucky applica il cosiddetto metodo del giallo deduttivo, quello tanto caro ad una serie tv cult degli anni passati, ovvero Colombo.
Sebbene non sia una novità assoluta, dunque, questa scelta riesce a stupire e ad incuriosire il pubblico: perché, a pensarci bene, era davvero da tanto tempo che la fiction italiana non offriva un giallo deduttivo. I telespettatori, abituati al percorso di indagine più ordinario, restano così piacevolmente spiazzati. E dopo aver saputo subito chi ha ucciso chi, non resta che dire “E ora, come lo scoprirà Stucky?”, riaccendendo quella sana voglia di godersi un crime pensato davvero per differenziarsi.
Stucky, però, non è il tenente Colombo. Giuseppe Battiston, il suo bravo interprete, c’ha tenuto a ricordarlo durante la conferenza stampa. E a vedere il primo episodio, non possiamo non dargli ragione. Della mitica serie tv in onda tra gli gli anni Settanta e i primi anni Duemila Stucky prende l’ispirazione del già citato giallo deduttivo, ma l’ambientazione, il clima e soprattutto le intenzioni sono ben differenti.
Qui entra in gioco interpretazione e scrittura. Cominciamo dalla prima: lo Stucky di Battiston sembra, per certi versi, un bambino cresciuto che gioca con i casi che deve risolvere. Non si accontenta di andare da un punto A a un punto B, ma esplora tutti gli angoli possibili, facendo della sua caratteristica più efficace, la curiosità, la sua arma migliore. Stucky, mai inopportuno, fa domande, si appassiona ai nuovi luoghi che visita, indaga nelle vite delle persone non per forza per scoprire qualche scheletro nell’armadio, ma solo per il gusto di farlo. Il suo è, appunto, un gioco con la condizione umana e la condizione degli esseri umani che incontra. E, questo, inevitabilmente, complica le cose.
Come gli fa notare l’amico oste Secondo (Diego Ribon), Stucky a volta “la fa più complicata di quello che è”. Ecco, l’ispettore Stucky è un complicatore di situazioni per natura, ma solo così riesce a vedere dove la matassa ha i suoi punti cruciali per essere dipanata. E come spesso accade, a forza di risolvere ciò che è complesso altrove, Stucky non riesce a risolvere il suo privato.
Un privato di cui, va detto, sappiamo poco: il fascino di questo personaggio, nato dalla penna di Fulvio Ervas, sta anche nell’essere il più riservato possibile. Stucky si allontana anche in questo caso dai crime di ultima generazione, in cui gli sceneggiatori invece, affondano le mani (e le tastiere) nelle vite personali dei protagonisti, trasformandole esse stesse in linea gialle da risolvere.
Così come si ritrova a girare di notte in un’invisibile provincia italiana, Stucky resta avvolto nel mistero di una vita che, chissà, forse a lui va bene così o forse no: anche il rapporto con Marina (Barbora Bobulova) sfiora la ship ma non entra nel vivo. Non ancora, almeno: perché il pubblico va comunque incuriosito. Intanto, godiamoci questo nuovo e interessante personaggio, apparentemente anonimo ma di cui ci auguriamo si possa parlare ancora.