Hanno ucciso l’Uomo Ragno, Sibilia, Nuzzolo e Giuggioli a TvBlog: “È la storia di due ragazzi con un sogno più grande di loro. Differenze generazionali? Non ce ne sono”
Con Sibilia, Nuzzolo e Giuggioli abbiamo parlato di leggende, dell’universalità del racconto e delle generazioni di ieri e di oggi
Hanno ucciso l’Uomo Ragno, la serie tv che racconta la “leggendaria storia degli 883”, ha fatto il suo debutto su Sky la settimana scorsa registrando un nuovo record. I primi due episodi, infatti, nell’arco della prima settimana in cui sono stati a disposizione degli abbonati alla pay tv (e in streaming su NOW), sono stati visti da oltre 1,3 milioni di telespettatori, diventando il miglior debutto di una serie Sky Original da otto anni a questa parte.
Mentre la serie continua la sua messa in onda (in tutto sono quattro prime serate, per un totale di otto episodi), vi proponiamo la brevissima chiacchierata che abbiamo avuto occasione di fare con Sydney Sibilia, che del progetto è ideatore, regista dei primi due episodi e produttore con Matteo Rovere e la loro Groenlandia (insieme a Sky Studios), e i due protagonisti, i bravissimi (e se avete visto i primi due episodi non potete non essere d’accordo) Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggoli.
Sydney, parto da te e da un’espressione che ho letto spesso sul pressbook da più parti (e che avete anche ripetuto in conferenza stampa): questa è una storia di tutti e per tutti. Ed è verissimo. Al tempo stesso, però, la storia di Max e Mauro è unica nel suo genere, difficilmente ripetibile oggi. Da regista, produttore e sceneggiatore, qual è stata la chiave per fondere l’universale e il particolare in un unico racconto?
“È stato tutto molto naturale. Quando ci siamo approcciati alla storia ci siamo resi conto che era una storia di ragazzi con un sogno più grande di loro, in un posto e in un momento storico in cui si sogna molto poco. E poi, casualmente, ha generato delle canzoni famosissime. Quindi, piuttosto che realizzare una serie sugli 883 è nato un teen drama in cui casualmente i protagonisti sono i componenti del duo più famoso della musica italiana. Possiamo dirlo che sono il duo più famoso della musica italiana, sì?”
Certo che possiamo dirlo! Tra l’altro, ho apprezzato molto anche l’onestà con cui avete specificato che questa storia non vuole avere nessuna pretesa di raccontare la realtà di quanto accaduto a Max e Mauro, ma preferisce cavalcare la leggenda. E tu, Sydney, anche nei tuoi progetti precedenti (penso a “L’Incredibile storia dell’Isola delle Rose” o a “Mixed By Erry”) sei sempre riuscito a trasformare eventi realmente accaduti in qualche che s’incastrano molto bene nel quadro dell’intrattenimento cinematografico e, ora, televisivo. Con la storia degli 883 la leggenda che esisteva già e che si è consolidata in questi anni è stata più una risorsa o un ostacolo per costruire la storia che avevi in mente?
“Abbiamo realizzato la serie proprio perché la storia è leggendaria sotto vari aspetti. Siamo nell’era pre-internet: la storia degli 883 è abbastanza confusa: le copertine dei loro primi album erano dei disegni, e quella era un’epoca in cui i cantanti comparivano con i loro volti sulle copertine dei loro album; non si esibivano molto dal vivo; quando hanno cominciato a farlo uno cantava e l’altro ballava; poi si sono separati… Tutti elementi che hanno generato delle leggende metropolitane. Noi siamo qui a dipanare la matassa, a spiegare questa leggenda. Intanto, anche le loro canzoni sono diventate leggendarie, così come Max. Tutto questo, alla fine, è diventata la ‘leggendaria storia degli 883′”.
Per chiudere vengo da voi, ragazzi: innanzitutto fatemi dire che siete stati fantastici! Avete interpretato al meglio due personaggi che mi piace definire “portatori sani di adolescenza”. Avete incarnato al meglio lo spirito di Max e Mauro, il loro istinto alla fuga dalla provincia che si trasforma in fame di successo. Sicuramente avete studiato, ma secondo voi, ora che avete potuto fare il giusto confronto, la vostra generazione è davvero così differente da quella cresciuta negli anni Novanta o anche questa è una leggenda che ci portiamo dietro e che ci fa comodo alimentare per denigrare i tempi moderni?
Giuggioli: “Io non credo molto nelle differenze generazionali, credo che ogni generazione sia spinta dagli stessi sentimenti, cambiano i mezzi con cui questi sentimenti sono raccontati”.
Nuzzoli: “Ci sono delle differenze pratiche, tecniche, ma a livello di sentimenti e motivazioni che spingono un ragazzo, alla fine sono sempre quelli”.