Gianluca Semprini a TvBlog: “Da settembre passo stabilmente all’Intrattenimento Day Time. Mi piacerebbe crescere come autore”
Impegnato per la quarta estate consecutiva con Estate in diretta, Gianluca Semprini si racconta in un’intervista a TvBlog
“Sarò un po’ d’indole frenetico, ma a me cambiare piace. Ho sempre bisogno di nuovi stimoli” confessa Gianluca Semprini nel corso dell’intervista a TvBlog. Il giornalista, per la quarta edizione consecutiva alla conduzione di Estate in diretta, dopo aver condotto già nel 2018 un’edizione estiva di La Vita in Diretta, si racconta a tutto tondo. Dal suo arrivo in Rai con l’esperienza di Politics, al percorso lavorativo a Rai News intrapreso dall’ “ultimo gradino”, fino agli attuali impegni.
Definisci come una tua caratteristica quella di “stare quasi sempre in diretta”. Cosa significa per te condurre per la quarta estate consecutiva un programma come Estate in diretta?
Quest’anno sono trent’anni che sono in diretta. Nel 1994 andai a bussare alla porta della radio che ascoltavo all’epoca, Radio Rock, per chiedere di collaborare. Da lì è iniziato un lavoro che mi ha portato ad essere in diretta, prima per quasi una decina di anni in radio e poi da più di vent’anni in tv. Lo stare in diretta è un qualcosa che un po’ si ha d’indole e un po’ si deve allenare. Ho un lato di chiacchiera e di sfrontatezza naturale, poi lo stare in diretta ti allena continuamente ad avere un’attitudine mentale che ti predispone a pensare a quello che verrà dopo, ai tempi da gestire. Per fare un programma come Estate in diretta occorre padroneggiare tutti i registri ed essere pronti a cambiare scaletta da un momento all’altro quando l’attualità lo impone.
Hai dichiarato che un altro aspetto che ti spaventa è il controllo della diretta. Con l’esperienza come hai imparato a gestire questo aspetto che ti mette pressione?
Quando accadono fatti eclatanti che stravolgono una puntata, sono molto freddo. Ci sono casi in cui con due agenzie in mano puoi già raccontare tutto. In quei momenti esce il senso comune: devi cercare di immedesimarti con lo spettatore che sta a casa. Al crollo del ponte Morandi parti dal chiederti come è potuto avvenire: poi nel corso dei giorni a seguire vai ad approfondire. Con Roberta Capua abbiamo affrontato la scomparsa di Raffaella Carrà. Mi venne spontaneo chiedere in diretta a Roberta il ricordo della sua Raffaella, dato che ognuno in base all’età ne poteva conservare un’immagine diversa. Inizialmente ha sgranato gli occhi, ma poi ha capito quale era la situazione e ha tirato fuori il ricordo della Raffaella che guardava da bambina.
Nel 2018 ti venne proposta per la prima volta la conduzione dell’edizione estiva di La Vita in Diretta. Si trattava della prima opportunità di conduzione di un programma in Rai dopo l’esperienza di Politics. Come ti arrivò quella proposta e come l’accogliesti?
Mi chiamò direttamente Mario Orfeo, che era il direttore generale. Mi domandai subito: “E mo’ che ho fatto?” (ride, ndr). Ero sulla difensiva, perché ero già stato punito per le parole che avevo pronunciato nell’ultima puntata di Politics. Lui fu subito diretto e mi avanzò la proposta dato che serviva un giornalista che potesse gestire la diretta un po’ su tutti gli argomenti. Ero molto contento di quella proposta, ma mi sentivo anche molto responsabilizzato perché comunque era la prima volta su Rai 1 e d’estate eravamo accesi solo noi.
Quest’anno, infatti, è la prima volta che con Estate in diretta vi trovate di fronte un vero competitor, sport a parte. Come affrontate la rivalità con Pomeriggio Cinque News?
Per adesso il confronto parziale è 50 a 0. Poi di là c’è Simona (Branchetti, ndr) che è un’amica e una persona carinissima, con la quale ho lavorato a Sky. In redazione ci sono tantissimi altri amici. È stimolante confrontarsi quotidianamente sulle scalette di due trasmissioni che sono fra di loro molto simili. Alla fine però la concorrenza che soffriamo di più è lo sport, che quest’anno ci è toccato con la combo Europei-Olimpiadi.
Il tuo arrivo in Rai fu segnato dalla complicata esperienza di Politics. A distanza di quasi otto anni, che ricordo conservi di quei mesi e della chiusura anticipata della trasmissione?
Io a Sky stavo bene, lavoravo da tredici anni e facevo le cose più importanti. Quando mi arrivò la proposta della Bignardi, che neanche conoscevo personalmente prima di quella chiamata, partì tutto un discorso circa la volontà di rivoluzionare il talk show, proponendo un format più asciutto e non schierato, sul modello dei confronti che facevo a Sky. Contestualmente a quell’offerta mi si propose anche un importante agente tv per seguire e gestire la trattativa, ma io decisi di condurla da solo. Non potendomi permettere salti nel buio, chiesi alla Rai, che mi aveva cercato, di offrirmi le stesse condizioni con le quali lavoravo a Sky, ovvero un contratto da caporedattore a tempo indeterminato. Mi sembrava un atteggiamento lineare in base alle regole del mercato, mentre in Rai si alzò subito un polverone da parte del sindacato, in maniera molto pretestuosa, con tanto di sciopero delle firme, neanche avessi fatto il giardiniere fino al giorno prima. Tutto questo ha creato un clima di ostilità nei miei confronti. A questo si sommava anche la mia inesperienza perché io venivo da Sky, un canale all news, dove al massimo realizzavo un evento singolo, mentre in Rai dovevo imparare a costruire un talk show con altre dinamiche, che richiedevano quindi altre conoscenze sulla tv. Le premesse erano però quelle di costruire un programma diverso dal classico talk. Dopo le prime tre puntate con ascolti traballanti, che erano comprensibili alla luce della novità del programma, di un volto sconosciuto e della scommessa di anticipare la chiusura alle 22:45, non è stata retta la pressione da parte della dirigenza, probabilmente anche da un punto di vista politico. Anche io mi sono trovato a subire altre pressioni rispetto a Sky nel fare la politica. Probabilmente una persona con più struttura e con più peso avrebbe resistito maggiormente: io, appena arrivato, ho resistito di meno. Nonostante tutto questo, lo rifarei altre mille volte.
Non ti sei mai pentito di aver accettato quella proposta?
Alla fine se lavori bene, se sei affidabile, le opportunità arrivano e io credo di essere stato una risorsa per la Rai, che mi ha utilizzato in più situazioni. Venivo da dieci anni di radio, tra radio privata e gruppo Espresso, e da tredici anni di Sky. Con l’arrivo in Rai mi sono costruito una carriera giornalistica completa. Nella vita di un professionista esistono poi gli alti e i bassi dettati dalle situazioni. Credo che nel mio caso sia stato premiato il fatto che lavorassi la notte su Rai News con lo stesso rispetto per il lavoro che mettevo in prima serata.
Chiudendo Politics dicesti: “Per le rivoluzioni ci vuole tempo e coraggio, non si può avere paura dopo i primi insuccessi”. Con Daria Bignardi vi siete mai chiariti?
No. Quando mi arrivò la lettera di richiamo, che era molto pesante e citava l’articolo 6, che prevede anche il licenziamento, dissi: “Questa era proprio l’ultima cosa che mi dovevate fare”. Mi venne risposto che ero stato sempre protetto. “Non mi sembra proprio” dissi. È finita lì.
Riguardo invece all’acrimonia con cui sei stato accolto da alcuni colleghi giornalisti in Rai, c’è qualcosa che ancora oggi, a distanza di anni, ti amareggia?
No, assolutamente no. Ci abbiamo scherzato e riso. In Rai ho trovato colleghi che lavorano come in tutte le altre aziende, al di là di quello che spesso si è soliti dire. Come in tutte le aziende c’è chi entra per merito, avendo lavorato con le gambette sue, e chi invece viene più spinto: questo però avviene ovunque.
Ci sono stati momenti in cui hai sentito di essere scarsamente valorizzato dall’azienda?
A tutti i giornalisti capita di sentirsi poco valorizzati. Mi è successo di lavorare con gli inviati, che dopo un po’ si lamentano perché sono sempre in trasferta e costretti ad andare da una parte all’altra. Appena non li chiami per due volte, si sentono esclusi e si lamentano perché non fanno niente. Anche a me magari a volte è capitato di fare lo stesso ragionamento. Sono però consapevole che la mia carriera me la sono costruita da solo, senza l’appoggio della politica, checché se ne sia detto quando sono arrivato in Rai, senza il sostegno del sindacato, senza agenti: dove sono arrivato, sono arrivato da solo. Quando mi hanno chiamato quest’anno per propormi per il quarto anno consecutivo la conduzione di Estate in diretta, ho chiesto di essere trasferito definitivamente ai programmi sotto la direzione Intrattenimento Day Time. A 54 anni ho voluto cambiare un po’.
Continuerai a fare l’inviato a Storie Italiane, come nella scorsa stagione?
In realtà questo ancora non lo so. Potrei essere impegnato anche come autore, limitando le dirette. Mi piacerebbe cimentarmi in questo aspetto, che finora ho curato poco. È un’esperienza che potrebbe integrare delle caratteristiche che ora non ho. Poi sto cominciando a diventare vecchio, non è che posso andare sempre in diretta (ride, ndr). Adesso è un momento della mia carriera in cui mi devo anch’io saper valorizzare e proporre. Questo mi stimola molto, soprattutto in Rai dove ci sono molte opportunità.
A marzo hai sostituito per due puntate Marco Liorni alla conduzione di Italia Sì. Potevi essere il candidato numero uno per ereditare quella fascia da lui, eppure l’azienda ha fatto una scelta diversa. Ti è dispiaciuto?
Se fosse rimasto Italia Sì, mi sarei potuto aspettare una scelta di questo tipo. Visto che l’azienda ha deciso di cambiare programma, capisco la scelta di affidare quello slot a un altro volto, magari per costruire qualcosa di più simile rispetto a quanto va in onda su Canale 5. Resto comunque contento di avere sostituito per quelle due puntate Marco Liorni alla guida di Italia Sì perché è stato proprio lui a chiamarmi e a volermi. Non ci conoscevamo – ci saremo incrociati tre volte negli studi televisivi – eppure quando mi ha chiamato mi ha detto: “Voglio che mi sostituisci te perché hai i miei stessi valori”.
Nel 2020 andasti vicino alla conduzione in coppia di Agorà, che alla fine sfumò e venne affidata in solitaria a Luisella Costamagna. Ti venne promessa la conduzione di Frontiere, che però non si concretizzò mai. Come vivesti quella situazione?
In quella situazione non ci siamo capiti con Franco Di Mare (l’allora direttore di Rai 3, ndr). Visto quello che è accaduto, preferisco non aggiungere altro.
Qual è il sogno professionale che ti piacerebbe realizzare nei prossimi anni?
Ci pensavo l’altro giorno. Mi piacerebbe lavorare come autore di un programma più leggero, dove ci sia dietro l’umorismo, l’intrattenimento. Questo non vuole dire abbandonare completamente il genere news e infotainment. Nella vita mi piace essere completo e mi piacerebbe aggiungere ora anche questo tassello.