I Am Celine Dion, il doc su Prime Video che ci permette di apprezzare di più l’esibizione all’inaugurazione di Parigi 2024
Uscito a giugno su Prime Video, il documentario ripercorre la vita di Celine Dion e si sofferma sulla Sindrome della Persona Rigida, da cui è affetta e che le sta impedendo di esibirsi in pubblico, fino alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi
Fonte: Prime Video
Sono bastati pochi, pochissimi minuti, ai telespettatori che venerdì scorso hanno seguito da casa la cerimonia di apertura delle Olimpiadi 2024 di Parigi per dimenticarsi dei “mah” sparsi lungo le più di tre ore di inaugurazione lungo la Senna, e lasciare spazio ai “wow” che l’esibizione di Celine Dion ha suscitato. Da quattro anni l’artista canadese non si esibiva il pubblico, e possiamo dire senza ombra di dubbio che la sua performance de “L’Hymne à l’amour” di Edith Piaf direttamente dalla Torre Eiffel non abbia deluso le aspettative.
Celin Dion, un atteso ritorno in pubblico
Trucco semplice e capelli raccolti, Dion si è mostrata alla platea mondiale che la stava aspettando (le voci di un suo coinvolgimento durante la cerimonia erano in circolo da qualche giorno) con un abito di Dior che non distolto lo sguardo dalla sua voce, così perfetta da entrare direttamente nella Storia delle cerimonie di apertura dei Giochi Olimpici.
Se l’esibizione di Dion è stata di per sé il momento migliore di tutta la cerimonia, assume un significato più importante e umanamente toccante se si è a conoscenza della battaglia che l’artista sta conducendo da anni contro la condizione di salute che la sta affliggendo e per cui ha dovuto interrompere le sue attività in pubblico. Ecco che, allora, il documentario I Am Celine Dion, uscito a giugno su Prime Video, diventa un importante elemento per interpretare quei pochi minuti che hanno incantato il mondo.
I Am Celine Dion, una storia, due linee
Diretto da Irene Taylor Brodsky, I Am Celine Dion è stato annunciato nel 2021, un anno prima che la cantante annunciasse pubblicamente la diagnosi che le era stata fatta, quella della Sindrome della Persona Rigida. Un rarissimo disturbo neurologico che causa spasmi muscolari e che le impedisce di poter reggere la pressione e lo stress a cui un’artista di calibro internazionale come lei, per quanto abituata, viene sottoposta.
Il documentario vive in bilico tra due linee narrative: la prima, più classica per il genere biografico, ripercorre la vita e la carriera di Celine Dion, facendo affidamento a immagini di repertorio, scatti di vita privata e immagini inedite della cantante nella sua abitazione.
Seguendo la più tradizionale delle narrazioni documentaristiche, Dion si racconta o, meglio, racconta ciò che ritiene più giusto gli spettatori sappiano su di lei e su come abbia fatto a diventare la Celin Dion che tutti conosciamo. I successi internazionali, le hit cantante dal pubblico (poco lo spazio riservato a “My heart will go on”), i ricordi d’infanzia. Tutto ruota intorno a chi era e chi è Celine Dion, senza la pruriginosa volontà di entrare nei dettagli più privati e, nel caso dello scomparso marito René Angélil, di affidarsi esclusivamente alla commozione.
Poi c’è l’altra linea narrativa, quella che esplora le condizioni di salute della cantante: come detto da lei stessa, una delle ragioni di questo documentario sta nell’aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica nei confronti della sindrome da cui è affetta. Un modo per tenere alta l’attenzione su una malattia rarissima (e sulla cui cura la ricerca insiste meno rispetto ad altre condizioni più diffuse), per dare ai fan quelle risposte che cercavano da tempo e per svelarsi, finalmente, senza filtri.
Una storia di consapevolezza
La Celine Dion che ha cantato dalla Torre Eiffel sembra lontana anni luce dalla donna costretta a stare immobile, travolta dagli spasmi, su un lettino dopo aver riprovato l’emozione di incidere un brano. Eppure, sono la stessa persona. Non a caso abbiamo usato, poco fa, il termine “consapevolezza”: I Am Celine Dion è una storia di consapevolezze. Quelle nei confronti di un talento innato, di quello che si vuole nella propria vita e delle proprie ambizioni future.
Celine Dion, sia da artista internazionale che da donna affetta da una rara sindrome, è una persona consapevole di sè stessa: un dettaglio non da poco, non attribuibile a tutti, che sa fare la differenza. I minuti finali del documentario, sulle note di “Who I Am” di Wyn Starks cantate da Dion poco dopo uno degli attacchi di cui soffre, restituiscono la drammaticità della sua storia, ma anche la certezza che non è ancora giunto il momento di scrivere la parola “fine”.
Rivedere la sua performance de “L’Hymne à l’amour” dopo aver visto questo documentario rende ancora più straordinario e struggente quel momento, che supera i confini del talento e assume i contorni della lezione di vita da cui tutti possiamo attingere per le piccole o grandi sfide.