Un giorno in pretura, il miglior crime show della tv italiana
Un giorno in pretura è un esercizio di complessità e riparte dal difficile processo ad Alessia Pifferi, rea di aver fatto morire di inedia la figlia di 18 mesi
Un giorno in pretura è tornato in onda proprio ieri, 31 maggio, con la prima puntata della sua 38esima edizione (o meglio l’ultima della sua 37esima): il programma, nato nel 1985 e precursore della Rai 3 improntata all ‘Tv Verità’, è stato ideato e da sempre condotto da Roberta Petrelluzzi, che si prepara a festeggiare i suoi primi 40 anni alla guida di un format che non ha mai mostrato crepe e che si conferma di una potenza narrativa e di una capacità di rappresentare la società rare in tv oggi.
Come spiegava la stessa Petrelluzzi in un’intervista concessa qualche anno fa a TvBlog, “Un giorno in pretura è un affresco della realtà italiana”: lo ha dimostrato ancora una volta ieri, presentando il processo di Alessia Pifferi, la 36enne accusata dell’omicidio della figlia Diana, 18 mesi, lasciata da sola a casa per 6 giorni a morire di fame e di sete. Un processo di I Grado che ha cercato di stabilire se la donna fosse consapevole delle conseguenze delle sue azioni; un processo che ha raccontato un contesto familiare e sociale di disagio ed emarginazione, al di là del crimine in sé.
Un giorno in pretura è il miglior crime in circolazione
C’è tutto, dunque. Ci sono protagonisti multiforme, personaggi ambigui, vittime più o meno innocenti, ricercatori di verità, manipolatori di verità, giudici, parenti, tifoserie… Il tutto portato in tv con grande asciuttezza, anche nei momenti più difficili legati alle testimonianze sul ritrovamento dei cadaveri e alle immagini utili per far capire al pubblico tv ‘in aula’ quali fossero le condizioni delle vittime.
È un esercizio di complessità. Di fronte alla piattezza con cui i casi di cronaca vengono abitualmente presentati dalla stampa al grande pubblico e alla modalità solo apparentemente problematizzante dei talk show, che finiscono per polarizzarsi su posizioni dettate per lo più da sensazioni e opinioni personali, Un giorno in pretura si premura di offrire alla conoscenza – e alla riflessione – dei telespettatori i diversi aspetti di un crimine, affrontato in quella che è la sua unica dimensione socialmente rilevante: il processo.
La necessità di sintesi si trasforma in una lente d’ingrandimento che mette in luce le posizioni dell’Accusa e della Difesa, ne evidenzia i pregiudizi, le forzature e le strategie, apre al pubblico le porte della gestione di un interrogatorio, offrono un ventaglio di eccezionale ‘normalità’ che il più delle volte passa per i testimoni e i periti più che per gli imputati. Forze dell’Ordine, primi soccorritori, invece, rappresentano la ‘bussola’ di una realtà che viene ‘piegata’ dagli interessi di parte. Niente è sicuro, niente è certo, tutto è continuamente messo in discussione, per chi è in aula e per chi è davanti allo schermo: una costruzione crime perfetta, con tutte le sue imperfezioni, che non ha la pretesa di raccontare la verità, non vuole intrattenere morbosamente, non cerca neanche di ‘affascinare’ il pubblico, ma che proprio per questo, come scriveva Fabio Morasca qualche anno fa, riesce ad essere affascinante.
Un format che non invecchia
In quaranta anni, il format non ha avuto cambiamenti sostanziali facendo del suo rigore la sua cifra: non segue le mode, non insegue i social, ma tiene la barra dritta cercando di restituire una ‘trasposizione fedele’ del procedimento processuale attraverso un montaggio che cerca di dare conto di tutte le posizioni. Il ‘cerca’ non è una diminutio, ma una necessità, vista la complessità di sintetizzare un processo e di dipingere al contempo i profili dei tanti protagonisti. Certo, ha avuto degli spin-off (si veda il recente speciale sulla revisione del processo di Rosa Bazzi e Olindo Romano per la Strage di Erba), ha cercato di variare la propria offerta, ha affrontato casi ‘gossip’ – come quello della Lollobrigida -, ma restituendone tutte le cifre più amare e più reali, al di là delle patine con cui i talk gossippari hanno ammantato storie terribili e durissime.
Questo non vuol dire che non ci sia una ‘posizione’: diciamo che si ha sempre la sensazione di capire da ‘che parte sia’ la Petrelluzzi, dal momento che nei suoi interventi tradisce sempre una propria ‘visione’ del caso, ma questo non impatta sulla costruzione del racconto. Un merito.
Trial tv ‘a posteriori’
Prima ancora che gli USA si bloccassero davanti alla tv per seguire il processo contro O.J. Simpson, trasmesso rigorosamente in diretta così come l’inseguimento ‘farsa’ della Bronco per le strade di Los Angeles prima del suo arresto, in Italia avevamo già aperto le porte delle procure, ma con un’attenzione in più, quella dell’elaborazione post-sentenza. Non una diretta emotiva, ma una rilettura dei fatti attraverso il lavoro dell’Aula, scalettato, riordinato, ma non per questo manipolato. In pratica Un giorno in pretura offre quella visione d’insieme, quella ‘bigger picture’ che l’attualità, il ‘racconto a puntate’ non può rendere. Nei casi più fortunati abbiamo il ‘boxset’ completo di un processo, dal I Grado alla Cassazione, in altri bisognerà rimettere insieme i pezzi. In ogni caso, Un giorno in pretura è un patrimonio da conservare.