Luca Cassol, il primo Capitan Ventosa: “La gente ancora mi dimostra affetto. Non guardo più Striscia, la trovo un po’ monotona”
Luca Cassol, il primo a vestire i panni di Capitan Ventosa a Striscia: “C’era il timore di apparire ridicolo, ma dopo il primo servizio compresi che era la strada giusta. L’addio? Feci capire che non me la sentivo più e probabilmente colsero la palla al balzo”
Dieci anni nei panni di Capitan Ventosa, prima di mollare sia il personaggio che Striscia la Notizia. “Cominciai con servizi in borghese e per tutta la prima stagione li realizzai senza indossare alcun costume”, ricorda Luca Cassol a TvBlog. “Poi un giorno Antonio Ricci mi convocò nel suo ufficio e mi comunicò che aveva la necessità di creare una situazione particolare. Si munì di pennarelli e disegnò una bozza davanti ai miei occhi. Non ci volevo credere”.
Prese così vita il supereroe ‘anti-truffa’, con lo sturalavandini attaccato sulla testa che stava ad indicare la capacità di portare a galla ogni magagna ed ingiustizia. “Antonio mi fece la proposta: ‘proviamo e vediamo come va’. L’esordio ottenne buoni ascolti e proseguimmo. Ricordo ancora il cameraman che non riusciva a tenere la telecamera ferma a causa delle risate”.
Classe 1968, Cassol è di origini milanesi, ma nella sua vita si è spesso spostato, approdando addirittura all’altro capo del mondo: “Giocavo a calcio nel ruolo di centrocampista e militavo in Interregionale. Rimasi senza squadra e un amico che viveva in Australia mi invitò a raggiungerlo e ad effettuare un provino per i Parramatta Eagles. Partii e rimasi là per due anni. Fu un’esperienza meravigliosa nel Paese più bello del mondo. A quei tempi il calcio non era molto sviluppato, non era uno sport d’eccellenza. Ora si è parecchio evoluto”.
Abbandonasti presto la professione di calciatore.
Smisi a 27 anni, ero una testa matta. Stranamente, ho ripreso a giocare da nove anni, ossia da quando mi sono trasferito in Svizzera. Qui ci sono un sacco di campionati di veterani, composti da giocatori over 40. Ormai è più una passione che altro.
L’approdo nel mondo dello spettacolo come avvenne?
Ebbi la fortuna di incontrare personaggi del mondo dello spettacolo, a partire da Diego Abatantuono. Entrai nel suo giro e mi arruolarono nella Nazionale Calcio-Tv per delle partite di beneficenza. Quasi per gioco mi ritrovai con Diego nello spot della Buitoni. A quel punto mi dissi: ‘questo mondo mi interessa’. Mi trasferii a Roma per un corso di recitazione e venni scelto per il film di Pupi Avati ‘Il testimone dello sposo’. Girammo per due mesi a Bologna.
Con Abatantuono lavorasti anche in Metronotte.
Sì, siamo tuttora molto amici, ogni tanto ci sentiamo. A questo va aggiunto qualche film con Gianmarco Tognazzi, come ‘Stressati’ e ‘La Spiaggia’.
E Striscia come è entrata nella tua vita?
Conobbi un autore che partecipava a queste partite benefiche e mi informò che avevano bisogno di un inviato. Nel 2002 svolsi il provino e mi presero. Come spiegavo prima, il primo anno realizzai servizi senza travestimenti, mentre nella stagione 2003-2004 nacque Capitan Ventosa. Ho prodotto complessivamente circa 800 inchieste. Non poche.
Il primissimo servizio te lo ricordi?
Certo, fu su dei fabbri furbetti. Era un periodo in cui le prestazioni degli artigiani erano abbastanza esose. Chiedevano cifre assurde. Successivamente allargammo il campo anche agli elettricisti. Con i nostri stratagemmi coglievamo sul fatto chi se ne approfittava. Quando girammo i primi servizi nessuno ancora conosceva il personaggio. Puoi immaginare la reazione delle persone nel momento in cui sbucai mascherato in quel modo.
Non temevi che quel travestimento potesse ridicolizzare anche le battaglie che portavi avanti?
C’era il timore di apparire ridicolo. Lo stesso Ricci mi disse di aspettare l’esito delle prime uscite. C’era l’imbarazzo, ma anche la fragorosa risata che quel contesto scatenava. Dopo il primo servizio capii che era la strada giusta e nei dieci anni successivi mi divertii moltissimo. Pian piano mi abituai e fu come andare vestito normalmente, non ci feci più caso. Girai l’Italia in lungo e in largo, frequentai posti che non pensavo esistessero in Italia e in Europa e lanciai addirittura un Tapiro ad Albano a Santo Domingo, quando era a ‘L’isola dei Famosi’.
Come andò la consegna?
Fu un servizio fantastico, in assoluto il mio preferito. Arrivammo con due elicotteri durante la diretta di ‘Quelli che il calcio’. Era il periodo in cui la domenica pomeriggio Simona Ventura si collegava con i concorrenti. L’incursione fece da lancio per la puntata di ‘Striscia’ del giorno dopo. Facemmo ascolti incredibili.
Ma la spedizione del Tapiro non spettava a Valerio Staffelli?
Devi sapere che Valerio ogni tanto fa fatica a prendere l’aereo (ride, ndr), allora mandarono me. Mi avvisarono il giovedì sera, il venerdì mattina partii e tornai in Italia la domenica sera. Avevo addosso un’adrenalina incredibile.
Si è mai verificato un imprevisto che vi ha costretto a tagliare o cestinare qualche filmato?
Non ho mai ricevuto censure, ma ricordo un episodio clamoroso. Stavamo seguendo il caso delle interferenze che mandavano in tilt telecomandi, cancelli automatici e allarmi e scoprimmo che il problema partiva dallo studio di un professionista di Milano. Ci recammo sul posto e capimmo che tutto partiva da una presa di corrente. La smontammo e ci trovammo una microspia nascosta. La persona in questione era sotto osservazione ed era al centro di un’indagine molto importante del Ministero dell’Interno. Quindi dovemmo rinunciare al servizio.
Quanto era scomodo indossare quel costume?
Per i primi due anni il vestito era sintetico. D’estate sentivo un caldo allucinante e in inverno un freddo assurdo. Una volta ero ad Aosta, di sera e all’aperto, c’erano -24 gradi. Pregai i costumisti di farmelo di cotone.
Nel 2013 arrivò l’addio.
Volevo cambiare. Avrei potuto fare un’altra stagione, ma non ci trovammo più d’accordo e arrivammo a una risoluzione assolutamente pacifica, senza nessuno screzio. Dopo tanti anni ero stufo di andare in giro con quel costume. Feci capire che non me la sentivo più e probabilmente colsero la palla al balzo.
Ti sostituì per un breve periodo Marco Della Noce, che a sua volta cedette il testimone a Fabrizio Fontana. Cosa si prova nel vedere una propria creatura nelle mani di altri?
Ammetto che è brutto vedere quel costume indossato da altri, forse potevano trovare un abito diverso e inventarsi una roba differente, ma non discuto certe scelte. Ci sono persone che ancora mi scrivono esprimendomi affetto e dicendomi che hanno nostalgia della mia versione. Fa piacere, significa che ho lasciato qualcosina nella mente della gente.
Striscia la guardi ancora?
No, non so da quanti anni. Non mi piace più, la trovo un po’ monotona. Quando vedi in onda sempre le stesse tipologie di servizi ti annoi. Una volta era diverso, si colpivano le persone che facevano cose sporche. Adesso si rompono le palle a dei parcheggiatori che non sanno come arrivare alla fine del mese. Io mi scaglierei piuttosto su persone di alto livello.
Forse il programma comincia a mostrare i segni del tempo.
Può darsi, è in onda da oltre trentacinque anni. La redazione è sempre la stessa e inventarsi idee nuove non è semplice. Il mio non vuole essere un giudizio negativo, anche perché se la trasmissione viene ancora trasmessa in prima serata significa che il pubblico la guarda.
Essere “quello che impersonava Capitan Ventosa” ha influito sulle successive esperienze lavorative?
Ci sono stati lavori presi, dove il personaggio ha giocato un ruolo favorevole, e altri sfuggiti, come nel cinema. Probabilmente Capitan Ventosa mi ha un po’ limitato per la selezione in qualche film.
Nel 2016 approdasti a TeleNorba al fianco di Fabio e Mingo, due ex inviati di Striscia.
Ero uscito da ‘Striscia’ da qualche anno e mi chiamarono. Accettai la collaborazione. Impersonavo Mister Trullo ed ero corrispondente dalla Lombardia, dove intervistavo personaggi famosi pugliesi che vivevano a Milano, da Linus e Albertino ad Abatantuono, passando per Leone Di Lernia. Durai una stagione, poi mollai perché non mi divertivo più.
Perché hai scelto la Svizzera come luogo in cui vivere?
Mi sono sposato con una ragazza svizzera, ma abbiamo divorziato. A Locarno però stavo bene e mi sono stabilizzato qua. Ho iniziato a lavorare a La1, il primo canale televisivo della Rsi, e in seguito anche in radio, per due ore tutti i giorni. Sono andato avanti per quattro anni.
Come mai non hai proseguito?
Non mi piacevano più certe dinamiche e l’invidia che c’è in questo settore. Ho deciso di distaccarmi totalmente da quel mondo. Oggi mi dedico a tutt’altro: gestisco un centro fitness a Bellinzona e alleno le persone che vogliono perdere peso. Inoltre, ho un altro lavoro che condivido con Gianmarco Tognazzi, che per me è come un fratello. Da circa dieci anni commercializza il vino del vitigno del padre Ugo e gli do una mano per esportarlo dal Lazio alla Svizzera. E’ un’occupazione molto divertente, che mi sta dando grandi soddisfazioni.
In Svizzera ti trovi bene?
C’è una buona convivenza. Gli svizzeri ti prendono con le pinze, ma se sei bravo e fai capire che non sei uno che se la tira puoi entrarci in confidenza. Spesso gli italiani vengono visti come i classici guru che arrivano ad insegnare la vita. Senza contare la diatriba eterna con i frontalieri.
L’Italia ti manca?
Qui ho accanto la mia compagna Michela e ho un sacco di amici; vado d’accordissimo con tutti. Comunque torno spesso in Italia, è a due passi. Da dove vivo posso raggiungere Milano in appena un’ora e venti.
Della televisione hai nostalgia?
Qualche volta. Quando rivedo qualche collega o un programma che mi interessa capita di averla. Ma succede di rado.
Parteciperesti ad un reality?
Ci furono dei contatti negli anni scorsi per prendere parte a ‘L’Isola’, poi non se ne fece nulla. Se mi chiamassero, potrei pensarci.